Come e perché il 99% degli ebrei danesi si salvò nonostante l’occupazione nazista

Quando Stato e numerosi volontari si opposero all’ideologia nazista salvando migliaia di persone

L’Olocausto è certamente uno dei capitoli più cruenti della storia moderna. La politica del terrore, portata avanti dalla Germania Nazista, ha coinvolto molteplici Paesi in Europa, causando la morte di milioni di persone. Nonostante ciò, resta ancora poco conosciuto il caso della Danimarca, dove la maggior parte della popolazione ebraica riuscì a sfuggire alla deportazione. Furono, infatti, 7.000 le persone che riuscirono a salvarsi grazie all’aiuto di numerosi volontari e al supporto dello Stato danese.

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La relativa libertà della Danimarca

Il 9 Aprile 1940 la Danimarca fu invasa dalle truppe tedesche. Data la situazione, lo Stato decise di non opporre resistenza e di collaborare con gli occupanti. Per questa ragione (oltre alla simpatia di Hitler nei confronti della Danimarca, che ben rispecchiava la sua idea di “purezza razziale”) il Paese restò relativamente libero, mantenendo il proprio assetto politico e controllando perfino la censura al suo interno. Questa collaborazione gli valse il titolo di “protettorato modello” fino al 1943.

Propaganda nazista in Germania. Il cartello riporta “Gli ebrei sono la nostra sciagura” ©Bundesarchiv Bild 133-075, Worms, Antisemitische Presse, “Stürmerkasten”, CC-BY-3.0

“Non esiste alcun problema legato agli ebrei danesi”

Nonostante la collaborazione, lo Stato danese mantenne sempre un pugno fermo riguardo alla situazione degli ebrei presenti sul territorio, sostenendo a più riprese che “non esisteva alcuno problema legato agli ebrei”. La posizione della Danimarca nei confronti dell’antisemitismo, tuttavia, si manifestò chiaramente quando un giornale locale pubblicò un articolo a sfondo antisemita. Successivamente, un’associazione criminale diede fuoco ad una sinagoga. A seguito degli eventi, tutti i responsabili, tanto del fatto criminale quanto dell’articolo, finirono per essere accusati e mandati in carcere. La posizione del governo danese fece capire alla Germania Nazista che la deportazione degli ebrei danesi non sarebbe stata semplice, tanto più se si considera che all’epoca l’agricoltura danese garantiva il cibo a circa 3 milioni di tedeschi.

Un tedesco all’origine della mancata deportazione

Nel 1943 la resistenza contro l’occupazione nazista divenne più importante. In questo contesto Werner Best, che si occupava dell’amministrazione degli affari civili nello Stato danese, propose l’attuazione di un piano di deportazione degli ebrei. La proposta fu ovviamente ben accolta da Adolf Hitler. Fortunatamente, Georg Ferdinand Duckwitz (all’epoca addetto alle relazioni marittime presso il consolato tedesco di Copenhagen, nonché consigliere di Best) venne a sapere del piano e chiese personalmente aiuto alle autorità svedesi, anche se inizialmente senza successo. La risposta positiva arrivò solo nell’agosto dello stesso anno, dopo che l’allora Ministro svedese degli affari esteri si rese conto che il pericolo per gli ebrei danesi era, di fatto, imminente.

Il Rosh Hashanah del 1943

Il piano dei nazisti era di attuare la deportazione durante il periodo di Rosh Hashanah (il nuovo anno ebraico, che quell’anno cadeva tra il 29 settembre ed il 1 ottobre), sicuri di trovare le persone nelle loro case. Fortunatamente, grazie all’intervento di Duckwitz, le comunità ebraiche furono avvertite in tempo: solo poche persone e alcuni malati si fecero trovare in casa. Degli altri non c’era traccia. La Svezia, dopo l’esitazione dei mesi precedenti, capì la gravità della situazione. Nell’agosto dello stesso anno accettò di ospitare tutti gli ebrei danesi con lo status di rifugiati. In questo frangente, giocò un ruolo importante la dichiarazione fatta da Niels Bohr, ebreo danese in Svezia. All’uomo, un fisico di successo, fu proposto di recarsi negli Stati Uniti per partecipare al progetto di costruzione della bomba atomica. Egli rispose che non l’avrebbe fatto fino a quando la Svezia non avesse accettato di accogliere i rifugiati danesi.

La solidarietà dei danesi

La fuga fu resa possibile grazie alla solidarietà non solo dello Stato danese (e, ovviamente, della Svezia), ma anche grazie all’aiuto di numerosissimi civili danesi, così come la stessa polizia locale. I danesi aiutarono i loro compatrioti ebrei a nascondersi in un primo momento, a eludere poi i controlli e le domande dei nazisti, e ad accompagnarli al porto dove si sarebbero poi imbarcati per la Svezia. Un episodio particolarmente conosciuto riguarda la reazione di alcuni cittadini danesi quando, all’interno della chiesa di un villaggio, la Gestapo vi trovò nascosti diversi ebrei. Qui uno dei paesani, confrontandosi personalmente con un ufficiale nazista, si vide rispondere “è il loro destino, è scritto nella Bibbia”, affermazione alla quale rispose “non c’è scritto da nessuna parte che debba succedere proprio a Gilleleje” (ovvero la cittadina in questione).

Il viaggio verso la Svezia

La maggior parte degli ebrei lasciò la Danimarca attraverso dei pescherecci, per un tragitto che si rivelò spesso molto costoso (a volte il doppio di un normale salario danese dell’epoca). Anche in questo contesto fu fondamentale l’aiuto dei “non-ebrei” danesi, che aiutarono a pagare parte della somma insieme a numerosi benefattori locali. Nonostante ciò, non tutti arrivarono in Svezia: circa 400 ebrei furono deportati nel campo di concentramento di Theresienstadt. In questo frangente, le pressioni della Danimarca resero possibile il monitoraggio e l’approvvigionamento dei deportati da parte della Croce Rossa Danese. Circa 50 ebrei morirono durante questo periodo, mentre i restanti furono inviati in Svezia dopo la fine della guerra. Il salvataggio degli ebrei danesi è la dimostrazione che, se gli altri Stati avessero avuto un maggiore coraggio ed una maggiore coesione statale, la storia moderna sarebbe potuta essere molto diversa.

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Foto di Copertina: ©Elissa Capelle Vaughn, Holocaust Memorial SF, CC-BY-2.0