Dora, Giada e Laura, © di Dora Di Vittorio

«Noi, tre ostetriche italiane, finite nello stesso ospedale a due passi da Berlino: qui siamo soddisfatte»

Dora, Giada e Laura sono le tre ostetriche italiane di Oranienburg: la loro storia racconta sia dell’Italia che della Germania

«Siamo tre ostetriche italiane che lavorano nello stesso ospedale a Oranienburg, 35 km a nord di Berlino. Ogni giorno facciamo almeno un paio di parti a testa, a volte anche di coppie italiane trasferitesi in Germania da qualche anno. A volte gli ospedali di Berlino sono pieni e le pazienti vengono trasferite qui. In Germania la professione di ostetrica è rispettata più che Italia. Io sono di Rieti, Giada Paglia di Ramacca, provincia di Catania e Laura Volpe dell’Aquila. Tutte e tre siamo andate via perché non trovavamo lavoro, pur essendo plurispecializzate. Laura, ad esempio, in Abruzzo era finita a fare la segretaria». A raccontarci la sua storia, e quella delle sue due colleghe, e amiche, è Dora Di Vittorio, classe 1993, a Berlino da maggio 2016. «In Germania non ci si deve laureare per fare l’ostetrica, ma bisogna ottenere un Ausbildung, un percorso alternativo all’università con una forte alternanza scuola-lavoro. Può essere svolto da chiunque, senza un titolo di studio o una qualifica professionale. In Italia invece devi ottenere almeno una triennale. È per questo che in Germania ci stimano moltissimo. Siamo, almeno sulla carta, più preparate delle nostre colleghe tedesche. Io, poi, nonostante in Germania stessi lavorando solo con la mia triennale, ho continuato a studiare a distanza per prendere anche il diploma magistrale, con voli Berlino-Roma ogni settimana. La frequenza era obbligatoria. Quando non riuscivo ad essere presente, i professori – miei angeli custodi – mi ripetevano le lezioni interamente nel fine settimana. Ho ottenuto la laurea magistrale a marzo del 2018, ma ho deciso di rimanere qui».

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Studiare in Italia, i “contrattini” e la frustrazione di un sistema che non funziona

«Mi sono iscritta a ostetricia a L’Aquila un po’ per caso, dopo aver scartato l’accademia militare e scienze motorie. Sentivo che questo era il percorso giusto per me. Per mantenermi lavoravo come cameriera, per avere un minimo di indipendenza economica, 25 euro al giorno per cinque ore, tutto in nero. Ho preso la laurea triennale a novembre del 2015, in autunno supero il test per iscrivermi alla magistrale sempre a L’Aquila e inizio un tirocinio presso uno studio di una ostetrica privata. A gennaio il ristorante mi nega definitivamente il famoso “contrattino”, come lo chiamano in Italia, che mi era stato a lungo promesso e anche le ore di servizio mi vengono ridotte in modo del tutto aleatorio. Ci rimango talmente male che decido di lasciare l’Italia. Qualche tempo prima, grazie a due colleghe universitarie, avevo sentito parlare di un’agenzia che recluta giovani ostetriche o in generale medici italiani. Per 200€, offrivano un corso intensivo di tedesco in Germania fino al livello B2. Cinque mesi di corso, con vitto, mezza pensione, e pernottamento in hotel, più un successivo inserimento lavorativo presso strutture ospedaliere locali. I miei genitori mi appoggiano e mi sostengono economicamente. “Ciò che conta è il tuo futuro”».

Come tre italiane finiscono a lavorare nello stesso ospedale in Germania

«Ho meno di 23 anni, ma parto. Parlo poco inglese e non conosco nessun’altra lingua oltre l’italiano. La mia destinazione è la piccolissima cittadina di Ürzig, a tre ore di macchina da Francoforte sul Meno. La scuola appare fin da subito poco professionale. Il clima in classe è intenso e cupo. Ci fanno dormire in un albergo fatiscente ben diverso da quello promesso nei depliant. Vige un clima “strano”, ci sentiamo “liberi, ma controllati”. Sembra un film, abbiamo la sensazione che ci siano telecamere dappertutto. La richiesta di puntualità tedesca si fa sentire sin dalle prime lezioni, venivamo infatti penalizzate per anche solo un minuto di ritardo e alla terza segnalazione scattava l’espulsione, perché “Germania è puntualità, perché Germania è serietà”. Ci dicevano che in cinque mesi avremmo raggiunto il livello B2, sette ore di lezione al giorno, cinque giorni alla settimana. Nella mia classe eravamo in diciassette, un po’ da tutta Italia, tutti “disperati”, ed è lì che ho conosciuto Giada, un anno più grande di me. La nostra amicizia è nata così». Le due rimangono unite, nonostante tutto, e si sostengono a vicenda, fino al fatidico giorno dell’esame finale. Per poter ottenere un lavoro in Germania è necessario, infatti, avere il B2, ma il corso preparativo non è adeguato e ottenere il certificato di lingua sembra un’impresa insormontabile. Dora e Giada non ce la fanno subito a prendere il B2. «Abbiamo cominciato come “Assistenpflegerin” (lavoravamo come ostetriche comunque, ma la responsabilità era delle colleghe in regola) e contemporaneamente abbiamo continuato a studiare. Una volta ottenuto il certificato, ci hanno modificato il contratto, segandoci come ostetriche. In Germania senza la certificazione B2, in molti ambiti, non puoi lavorare e la differenza di stipendio tra ostetriche e assistenti è assai notevole! Inizia così la nostra avventura nel sistema sanitario tedesco. L’ospedale in cui veniamo mandate è l’Oberhavel Kliniken Oranienburg, nell’omonima cittadina a nord di Berlino. Arriviamo ad ottobre del 2016. Siamo in cinque, ma dopo poco restiamo in due, io e Giada. Una torna in Italia, due si spostano, pur restando sempre in Germania. L’ospedale ci aiuta a trovare una sistemazione e ad ottenere tutti i documenti per essere effettivamente in regola. All’inizio i colleghi tedeschi sono infastiditi. Non abbiamo un vero e proprio livello B2 di tedesco. È difficile lavorare con noi. Il nostro senso di inadeguatezza diventa insopportabile, ma non penso di tornare in Italia. Sono una persona che vuole arrivare in fondo alle cose. E poi, volevo vivere un’esperienza diversa. Teniamo duro, entrambe. A giugno del 2017 arriva in ospedale una terza ragazza italiana, è Laura, classe 1990, anche lei di L’Aquila, laureata in riabilitazione psichiatrica e ostetricia. ma in Italia aveva dovuto reinventarsi segretaria. Laura ed io ci conoscevamo dai tempi dell’università. Diventiamo ancora più amiche, ci aiutiamo a vicenda e insieme, noi tre, cominciamo ad apprezzare la nostra nuova vita in Germania».

Vivere in Germania e il rispetto istituzionale per il concetto di famiglia

«I tedeschi non sono così “spassionati” come noi, sono più distaccati, per esempio non ti abbracciano, ti danno una stretta di mano. Anche se, lo dico sempre, una volta entrato nel cuore di un tedesco, non ne esci più. E poi ci sono le regole. E questo migliora anche il rapporto genitore-figlio, che viene quindi vissuto con molta più serenità. I genitori hanno inoltre molta più libertà per quanto riguarda le ore lavorative, possono ridurle senza rischiare conseguenze negative sul lavoro per passare più tempo coi propri figli. La famiglia viene sostenuta. Gli assegni genitoriali sono di 195 euro al mese, fino a quando il figlio non ha terminato l’università o l’Ausbildung. Questo contribuisce non di poco all’aumento delle nascite, mentre l’Italia è ormai da troppo tempo un paese a crescita zero, o “sottozero”. In Germania, addirittura, esiste l’Eltern Zeit, ovvero il “momento dei genitori” di congedo dal lavoro, valido anche per i padri, e gli anni di aspettativa possono protrarsi negli anni. In questo tempo i genitori possono creare un rapporto autentico con il loro bambino, nonché instaurare una fiducia e un reciproco intendimento. I bambini sono lasciati liberi di sporcarsi, cadere, correre… “farsi le esperienze da soli”. Sanno di poter fare quello che vogliono, nel rispetto delle regole dei genitori. Per cui non si vedrà mai, per esempio, un bambino tedesco in bicicletta senza caschetto». Non nega che le piacerebbe tornare a vivere in Italia, ma sa che non troverebbe lo stesso rispetto che invece c’è qui per la sua professione.

Fare l’ostetrica in Germania

«In alcune parti in Italia c’è ancora un concetto molto sbagliato di quello che significa essere un’ostetrica, ovvero è molto “medicalizzato”, è il medico che decide. Invece c’è una grande differenza: l’ostetrica si occupa della fisiologia e il ginecologo della patologia. Questo significa in primis autonomia, significa che posso lavorare davvero. La lingua, che nel frattempo ho migliorato, non è un problema». Sabrina Ferilli nel film Come l’America, in cui interpreta il ruolo di un’ostetrica italiana emigrata nel nuovo continente, diceva: “i bambini piangono tutti nella stessa lingua”. Dora si ritrova in questa affermazione e aggiunge: «non esiste solo il linguaggio verbale, ma anche quello dei gesti. Laura, per esempio, è più una persona “di contatto”. Riesce a mostrare più empatia con una semplice carezza che con mille parole. Tante volte le parole non servono per stare accanto a qualcuno». Quando chiediamo a Dora dove farebbe nascere un eventuale suo figlio, lei arrossisce e risponde: «In Germania, almeno per quanto riguarda appunto il nascere. Qui il parto è vissuto in modo naturale, più spontaneo. Il bambino nasce praticamente da solo. Una volta nato, con tutto il cordone ombelicale, si poggia nudo “pelle a pelle” sulla mamma è si aspetta che il cordone smetta di pulsare. Una volta completatosi questo processo si può clampare e recidere. Appena tagliato, lo si ridà in braccio alla mamma invece che al neonatologo». Infine aggiunge: «sul crescere non so. Il bilinguismo è utile, ma appena possibile lo porterei con me in Italia, anche solo per trascorrere le vacanze. Perché l’Italia è la mia casa e rappresenta una cultura davvero bellissima, da nord a sud. Peccato essere andate vie, l’Europa però è anche questo. E allora, se si trova il proprio posto in Italia, è bene restare lì. Purtroppo inseguire la graduatoria dei concorsi da noi può essere frustrante. La Germania, almeno per noi ostetriche, è sempre pronta ad offrire nuove avventure e possibilità. Magari prima di partire è bene mettersi prima in contatto con persone che già vivono qui».

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Immagine di copertina: Dora, Giada e Laura, © foto di Dora Di Vittorio