Muro di Berlino, ©https://pixabay.com/it/photos/graffiti-muro-di-berlino-wall-745066/

L’isola murata, il documentario italiano girato a Berlino poco prima che cadesse il Muro

Berlino, la città che non si lascia odiare

Una voce guida l’ascoltatore attraverso il video documentario come un filo in un labirinto. Le parole risuonano quasi solennemente come in una profezia: «io sono Berlino, la grande città, colma di tutti i vizi e i piaceri, in me si aggira l’inganno come un cagnolino dal collare blu… Io sono Berlino e ho dentro di me un paesaggio immenso. Chi impreca contro di me, mi deve vincere, chi mi vuole sfuggire ritorna. Io sono Berlino e chi mi odia è quello che più mi ama» Chi arriva per la prima volta a Berlino ed è già stato magari a Londra o Parigi, potrebbe infatti rimanere inizialmente deluso. Non ci si innamora di Berlino a prima vista, occorre conoscere il suo passato, la sua storia. Il Muro non ha, infatti, diviso per quasi trent’anni solo la città, ma anche la Germania, l’Europa e il mondo intero.

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Quando vivi a Berlino, sai esattamente dove sei

Ludovica Scarpa, ricercatrice dell’Università IUAV di Venezia, spiega nel documentario realizzato in collaborazione con Gabriella Lasagni ed Emilio Lamari come per lei il Muro avesse reso la città la più realistica del mondo, dove i conflitti tra i due blocchi assumevano addirittura una forma. Sempre nel documentario, il critico di architettura Dieter Hoffmann-Axthelm definì inoltre la città come «il centro della vita culturale che attira da fuori tanti artisti. Un luogo trascendentale che il Muro taglia, ma dall’altra parte di esso c’è la vita quotidiana e le due realtà si confrontano ogni giorno, incredibilmente. Basta affiancarsi e vedere la vita dall’altra parte e sentirla come qualcosa che sfugge». L’Isola murata è un reportage che offre una doppia visione, in grado di immortalare e raffigurare la capitale tedesca con tutte le sfaccettature che la contraddistinguono. Berlino ha a lungo costituito un microcosmo politico avvincente ed inquietante. Per questo la storia del Muro fa discutere ancora oggi. Ed è giusto chiedersi cosa si lascia fuori ogni qualvolta se ne innalza uno nuovo. Perché i muri dividono, separano, allontanano. Così come si può evincere dalle parole di un ragazzo intervistato durante le riprese del documentario: «dopo un certo periodo il Muro non è più solo materiale, ma te lo trovi in testa, ti chiude la mente».

Berlino, due città in una sola: un po’ di storia del Muro

Nel periodo tra il 1949 ed il 1961, circa due milioni e mezzo di tedeschi emigrarono dalla Germania dell’Est alla Germania dell’Ovest. Si trattava spesso di laureati, intellettuali, professionisti e lavoratori qualificati, stanchi della situazione economica difficile e della libertà vigilata. Mentre Berlino Ovest era divenuta la vetrina del capitalismo all’interno della DDR, una vera e propria gabbia d’oro. La decisione di costruire il Muro venne presa dai due blocchi senza avvisare la popolazione, che si ritrovò di colpo divisa. Da una parte i “Wessis”, dall’altra gli “Ossis”. Il Muro, però, non tagliava la città in due, bensì circondava la zona Ovest come un’isola. I prezzi degli edifici che si trovavano nelle immediate vicinanze della cortina di ferro crollarono e questi ultimi vennero abitati da studenti e Gastarbeiter, lavoratori stranieri, in prevalenza turchi. Ecco così spiegato perché un quartiere come Kreuzberg, situato nel cuore della capitale tedesca, sia oggi a prevalenza turca. Altri edifici rimasero vuoti fino a quando vennero occupati da giovani alternativi alla ricerca di spazi per le Kommunen, ovvero comunità dove tutto, ma proprio tutto, veniva condiviso.

Ecco chi è oggi Ludovica Scarpa, la ragazza del documentario

Ludovica Scarpa è tornata a vivere in Italia ed insegna Teorie e Tecniche di Comunicazione ed Interazione personale all’Università Iuav di Venezia. Si occupa di empatia cognitiva e interventi sistemici. Nei suoi corsi mostra la pratica dell’ascolto attivo. Propone uno sguardo etnografico per un’antropologia quotidiana dell’esperienza soggettiva. Espone, infine, quello che le scienze cognitive definiscono “percezione selettiva”, per la costruzione di una cultura della pace e della mediazione.

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Immagine di copertina: Muro di Berlino, ©schaerfsystem CC0 on pixabay