9 novembre, Muri e Trump: quando la storia non insegna niente

Quando i cittadini di Berlino e della Germania Est si svegliarono la mattina del 9 novembre 1989, ancora non potevano sapere cosa avrebbe riservato per loro quel giorno. Non potevano sapere che Günter Schabowski, portavoce del governo della Repubblica Democratica Tedesca, avrebbe commesso un errore in conferenza stampa annunciando la revoca immediata delle restrizioni di viaggio per i cittadini della Germania Est, errore che quello stesso giorno avrebbe contribuito all’abbattimento del Muro di Berlino e che quasi un anno più tardi avrebbe portato alla riunificazione tedesca. Lo stesso giorno, a 27 anni di distanza, i cittadini berlinesi, tedeschi ed europei allo stesso modo non potevano sapere che al loro risveglio si sarebbero ritrovati il repubblicano Donald Trump come Presidente degli Stati Uniti d’America: un Presidente volgare e reazionario nato come imprenditore e showman ed entrato in politica a suon di frasi sessiste, senza dare troppa importanza alla propria preparazione politica; un Presidente che tra i punti del suo sconclusionato programma prevede la costruzione di un muro al confine con il Messico per limitare l’immigrazione clandestina. 9 novembre 1989 e 9 novembre 2016, un muro crollato e un muro in procinto di essere costruito.

La caduta del Muro di Berlino era già nell’aria quando Schabowski, appena rientrato da una vacanza, fece la sua storica dichiarazione nella conferenza stampa del 9 novembre 1989: «Ci siamo decisi per un nuovo regolamento secondo cui i cittadini della Germania Est potranno espatriare attraverso i posti di confine della Repubblica Democratica Tedesca». Le manifestazioni di protesta contro il governo della RDT erano già da mesi piuttosto frequenti, Erich Honecker, leader del Partito di Unità Socialista di Germania (SED), si era dimesso il 18 ottobre 1989, la cortina di ferro iniziava a dare segni di cedimento, come in occasione del Picnic Paneuropeo del 19 agosto 1989 che portò alla fuga in Occidente di centinaia di cittadini della RDT attraverso il confine austro-ungherese. La conferenza stampa di 27 anni fa era stata organizzata al fine di annunciare nuove riforme all’insegna dell’apertura verso l’Occidente. Alla dichiarazione di Schabowski seguirono le domande dei giornalisti. Il primo fu Riccardo Ehrmann, giornalista italiano dell’ANSA, che mise in crisi il portavoce del SED insinuando che il governo stesse facendo marcia indietro. Fu poi Peter Brinkmann a porre la domanda decisiva in merito a quando sarebbe entrato in vigore il nuovo regolamento. Schabowski dapprima tentennò poiché dal Politburo non aveva ricevuto informazioni a riguardo, ma alla fine, non senza esitazione, rispose «a me è stato comunicato soltanto questa sera, ma a quanto ne so io, da subito, immediatamente». Schabowski e i giornalisti presenti alla conferenza stampa del 9 novembre 1989 contribuirono così involontariamente ad innescare una svolta che cambiò la storia dell’Europa e del mondo, ovvero l’abbattimento del Muro di Berlino, quel muro di 3 metri e 75 centimetri che per 38 anni divise in due la capitale tedesca e il vecchio continente, soffocando le ambizioni di libertà dei cittadini della Repubblica Federale Tedesca.

27 anni dopo quella storica conferenza stampa dovremmo partire dal presupposto che i muri non servano a controllare o frenare i flussi migratori e che il concetto classico di Stato nazionale sia ormai tramontato. Ma il 9 novembre 2016 Donald Trump viene eletto Presidente degli Stati Uniti d’America e altre barriere rischiano di essere costruite. Lo scorso 1 settembre Trump, ancora candidato repubblicano alla Casa Bianca, ha infatti minacciato la costruzione di un muro al confine con il Messico con queste parole: «Costruiremo un grande muro lungo il confine meridionale e il Messico lo pagherà, credetemi, al 100%». A ben vedere, l’elezione di Trump e la costruzione del suo muro tra USA e Messico non giungono così inaspettati, esattamente come la caduta del Muro di Berlino 27 anni fa: la sua vittoria non è soltanto da attribuire alla “debolezza” della candidata avversaria, la democratica Hillary Clinton, nome trito, ritrito e compromesso e forse per questo incapace di personificare una vera e propria aria di cambiamento e di suscitare attrazione sufficiente da sconfiggere il repubblicano. Sono la nostra epoca e il nostro mondo a tratti distopici a rendere possibile il conferimento di uno dei ruoli politici più potenti a un personaggio come Trump. E il muro tra USA e Messico sarebbe sono l’ennesimo di una serie che caratterizza il nostro presente: ricordiamo la barriera di separazione tra Ungheria e Serbia voluta dal premier ungherese Viktor Orbán volta a respingere i migranti che percorrono la rotta balcanica, il muro anti-migranti costruito accanto a un centro profughi di Monaco di Baviera per “proteggere” i residenti della zona e il muro che si ergerà a Calais, finanziato dal Regno Unito, che intende impedire ai migranti di attraversare la Manica. A 27 anni dalla caduta del Muro di Berlino, un’Europa e un mondo senza muri né barriere rimangono un miraggio. La storia a volte si ripete e non insegna nulla.

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 Foto di copertina: collage di Juggling on the Berlin Wall on 16. November 1989 © Yann Forget / Wikimedia Commons / CC-BY-SA-3.0 Donald Trump speaking at CPAC in Washington D.C. on February 10, 2011 © Gage Skidmore CC BY-SA 3.0