Anche Amburgo e Monaco dissero no alle Olimpiadi. Ed è sembrato normale

Sarebbe stato bello vedere le Olimpiadi a Roma nel 2024  e i fautori del sì hanno proposto tante argomentazioni (a volte sensate, a volte slogan meramente emozionali). Ma sono legittime anche le ragioni del no, e la giunta di Virginia Raggi non è l’unica a pensarla in questo modo: nell’efficiente e trasparente Germania sia i cittadini di Monaco per le Olimpiadi invernali 2022, sia quelli di Amburgo per le Olimpiadi 2024 hanno espresso mediante referendum un secco no alle loro candidature perché preoccupati da speculazioni edilizie, sprechi, ecomostri. Lo stesso ha fatto l’americana Boston, sempre per i giochi del 2024. Al di là dei contesti differenti, nessuno potrà negare che si tratta di città più ricche, organizzate e in salute della martoriata Capitale e che, dunque, il rifiuto di grandi eventi, appalti faraonici, opere mastodontiche, non esprime necessariamente una mesta rinuncia o un’attestazione di incapacità, ma può significare anche un diverso approccio allo sviluppo, alla crescita economica, al benessere delle città.

Chi ha votato Raggi sapeva. Certo, permangono delle obiezioni, ad esempio che il gran rifiuto di Monaco, Amburgo e Boston è arrivato dopo una consultazione popolare mentre quello romano tramite la decisione di una sindaca appena eletta, peraltro giovane e inesperta. Ma i referendum costano, e indirne uno in una città profondamente indebitata e già oberata di tornate elettorali in questo 2016 è scelta che avrebbe probabilmente sollevato altre critiche. Inoltre Virginia Raggi ha basato la sua campagna anche sul no alle Olimpiadi, dunque si deve ipotizzare che chi l’ha votata (il 67 percento dei romani al ballottaggio) si aspettasse e desiderasse un tale indirizzo politico, da ascrivere alla categoria “rispetto del mandato elettorale”, piuttosto sconosciuta in Italia.

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Le altre ragioni del no. Al di là delle polemiche da osteria (Raggi che fa ritardo al pranzo con il presidente del Coni Malagò), delle contrapposizioni in stile guelfi-ghibellini che sempre ammorbano il Belpaese e della inedita quanto attendibile scrupolosità dei media nel fare le pulci a ogni decisione di un’amministrazione romana, non ci preme fare la difesa della giunta Raggi che, dopo un inizio complicato e non privo di leggerezze, ha davvero tanto da dimostrare, e deve farlo in condizioni disperatamente complesse. Ma le ragioni del no alle Olimpiadi meritano quantomeno rispetto, e possono essere lette anche come frutto di coraggio e avvedutezza, non solo di paura o inadeguatezza. Quasi tutte le Olimpiadi e i grandi eventi sportivi degli ultimi decenni hanno fatto registrare passivi spaventosi, da Barcellona 1992 ad Atene 2004, e mentre i profitti vanno spesso a finire nelle tasche di pochi costruttori e imprenditori, le perdite e i danni infrastrutturali ricadono sulla collettività. Anche se ben silenziati, in Brasile ci sono stati scontri, proteste e morti prima dei giochi, perché il Paese chiedeva infrastrutture, lavoro, fine delle favelas e uscita dalla povertà più di un enorme luna park di cemento.

Il tempo dirà se è stata una scelta coraggiosa. E tutto l’ottimismo del mondo e la briatoresca voglia di “sognare” non possono far trascurare le poco invidiabili specificità italiane e romane: siamo un Paese dove ancora si continuano a pagare costi di impianti costruiti per Italia ’90 e nel frattempo demoliti, dove una capitale è stata de facto amministrata, tra cecati e mondi di mezzo, da un’associazione di stampo mafioso, dove le Vele di Calatrava – 60 milioni di euro e mai inaugurate – svettano mestamente come un gigante scheletrico. Ricordiamo anche questo, prima di dire «tutti volevano le Olimpiadi». Se chi governa Roma le ha messe da parte per occuparsi davvero delle drammatiche emergenze che rendono impossibile la vita dei cittadini – e solo il tempo sarà in grado di dirlo -, allora sarà stata una scelta lungimirante.

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