Berlinale: Ana, mon amour, la recensione del film rumeno su amore e psicanalisi

A quattro anni di distanza dalla vittoria dell’Orso d’oro con Il caso Kerenes (2013), torna in concorso alla Berlinale il regista rumeno Călin Peter Netzer.

Alla 67esima edizione del Festival del cinema di Berlino Netzer presenta il film Ana, mon amour, melodramma che narra la relazione amorosa tra Toma e Ana, una storia di co-dipendenza in cui l’amore e il sesso si intrecciano con la psichiatria e la religione.

La trama

Ana e Toma sono due giovani studenti universitari. Quando iniziano a frequentarsi, Ana già soffre di frequenti attacchi di panico, causati da una situazione familiare complicata che non vuole confidare. Con il tempo emergerà il trauma di un padre mai conosciuto e scomparso, forse di una violenza subita da parte del patrigno. La debolezza di Ana non spaventa Toma, che si scontra addirittura con la propria famiglia per starle vicino: la accompagna da psichiatri e sacerdoti, non la lascia mai sola, la rassicura quando viene sopraffatta da un forte attacco. Gradualmente i due si allontanano da famiglia e amici per isolarsi nella dipendenza totale che li lega. Ma la gravidanza (non cercata) della giovane donna cambierà tutto: Ana inizierà infatti una terapia sistematica da cui uscirà più forte e consapevole. A questo punto sarà Toma a vacillare, a dubitare dell’amore di Ana, a considerarla ingrata. Sarà il giovane stesso a rivolgersi a uno psichiatra per discutere degli sviluppi della relazione con Ana.

Amore, religione e psicanalisi

Il racconto della storia d’amore tra Ana e Toma non avviene in modo lineare. Il regista Netzer opta per una narrazione caratterizzata da salti avanti e indietro nel tempo, la cui complessità corrisponde a una relazione altrettanto problematica. Dall’alternarsi dei piani temporali lo spettatore trae sempre più elementi per comprendere una storia che inizialmente sembra poter avere un futuro nonostante l’instabilità di Ana, ma che a poco a poco mostra margini di errore. La narrazione del rapporto iniziale tra i due personaggi si alterna a scene in cui un Toma ormai maturo si sottopone a sedute psichiatriche per analizzare le derive drammatiche della relazione. Attraverso scene estremamente intime e ricche di primi piani, Netzer racconta dapprima la fase di avvicinamento tra Ana e Toma. L’intimità e la dolcezza che caratterizzano questa fase cedono però subito il passo a un attaccamento morboso dovuto all’instabilità psicologica di Ana, strascico dei traumi subiti in famiglia: gli stessi primi piani utilizzati per le scene di sesso della prima fase della relazione vengono poi impiegati per mostrare ciò che normalmente viene celato. Nella prima parte del film Toma appare come il personaggio forte, senza il quale Ana non potrebbe sopravvivere; un giovane uomo che sceglie di starle accanto, nonostante la famiglia lo metta in guardia di fronte alle possibili conseguenze dell’instabilità di Ana. Quando la ragazza rimane incinta, i ruoli però si invertono. Toma viene assalito dalle incertezze, non sopporta che Ana possa sentirsi finalmente guarita e autonoma. Gradualmente emergono anche i traumi famigliari di Toma e la constatazione che è proprio l’instabile Ana a essere uscita dalla dipendenza e ad aver realizzato qualcosa nella propria vita. Un tema sicuramente non nuovo per il grande schermo, che Netzer intreccia però abilmente con il ruolo della religione quale surrogato della medicina in situazioni di smarrimento psicologico. Ed è proprio l’ostinazione a (psico)analizzare ogni minimo dettaglio con ogni mezzo possibile che immerge lo spettatore in un lacerante abisso che per i personaggi ha preso il posto della vita vera.

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Foto di copertina: Ana, mon amour – Wettbewerb 2017 – ROU/DEU/FRA 2016 – von: Călin Peter Netzer – Mircea Postelnicu, Diana Cavallioti