La Berlinale omaggia Francesco Rosi. Ecco il ricordo di amici e colleghi

Il 12 Gennaio scorso si sono svolti alla Casa del Cinema di Roma i funerali del celebre cineasta Francesco Rosi. Si è spento all’età di 92 anni, assistito fino all’ultimo dai colleghi Marco Tullio Giordana, Roberto Andò e Giuseppe Tornatore. In molti fra artisti, colleghi, amici ed ammiratori hanno voluto rendere l’ultimo commosso omaggio al Maestro, fra cui Giuseppe Piccioni, Paolo Sorrentino, Ettore Scola, Franco Zeffirelli, Giuliano Montaldo, Nicola Piovani, Lina Wertmuller, Paolo Villaggio, Paolo Virzì, Paolo Taviani, Michele Placido.

Il direttore della 65. Berlinale Dieter Kosslick ha deciso di ricordare l’opera di Francesco Rosi proiettando Uomini contro nel corso della manifestazione. Ha così commentato la sua decisione: “La morte di Francesco Rosi ci ha privato di un regista eccezionale. Con la loro potenza esplosiva, i film di Rosi sono attuali ancora ai giorni nostri. Le sue opere sono classici del cinema politicamente impegnato”.

Quando si pensa al cinema di Francesco Rosi subito tornano alla mente titoli di pellicole che hanno fatto la storia del cinema italiano, come Salvatore Giuliano (1962), film che svela alcuni misteri insoluti del primo dopoguerra attraverso la storia del bandito siciliano Salvatore Giuliano e delle sue relazioni con lo Stato; il capolavoro Le mani sulla città (1963), documento senza orpelli che denuncia la corruzione e la feroce speculazione edilizia nell’Italia degli anni Sessanta; Il caso Mattei (1972) in cui Rosi analizza la morte misteriosa dello scomodo capo dell’ Eni (interpretato magistralmente da Gian Maria Volontè); Uomini contro (1970) altro capolavoro del regista di denuncia dell’assurdità della guerra. Ed ancora Lucky Luciano (1973), pellicola sulla figura di Salvatore Lucania, boss della criminalità italo-americana di New York rispedito in Italia come “indesiderabile” nel 1946. Numerosi sono i romanzi che Francesco Rosi ha portato sul grande schermo. Tra gli altri Cristo si è fermato ad Eboli (1979), tratto dal romanzo autobiografico di Carlo Levi; Cronaca di una morte annunciata (1987) di Gabriel Garcia Marquez; Dimenticare Palermo (1990) di Edmond Charles-Roux; La tregua (1997) di Primo Levi.

Un regista che in quarant’anni di instancabile attività ha visto innumerevoli riconoscimenti, tra cui la Legion d’onore e tributi alla carriera a Locarno e Berlino (2008), per non parlare di Grolle, David di Donatello, Nastri d’argento.

Pioniere del cinema d’inchiesta, il cinema di Rosi è profondamente intriso di un sincero amore per la realtà e di ricerca incessante di Verità. Il suo linguaggio coniuga, come nel cinema di Elio Petri, il film documentario alla fiction. Lo descrive in un interessante intervento Michele Diomà, regista della pellicola coprodotta da Renzo Rossellini Born in the U.S.E. in cui Rosi ha preso parte lo scorso anno.

Cineasta instancabile e profondamente coerente fra impegno intellettuale e vita, Rosi aveva recentemente incoraggiato i giovani del Cinema America Occupato a Roma durante una proiezione del suo film Uomini Contro. In quest’occasione aveva dichiarato: “Il cinema è insostituibile. È la visione della nostra vita e della nostra realtà. La memoria esce fuori dai film come una cosa indispensabile per continuare vivere in maniera civile. Perché la nostra vita, se non c’è memoria e speranza nel futuro, purtroppo vacilla”.

Il regista Paolo Sorrentino lo ricorda con queste parole “Rosi è stato uno dei più grandi registi del mondo, non solo italiani. Esistono degli autori, e sono pochissimi, che sono portatori di mondi, che sanno costruirli attraverso l’invenzione di metodi e di stili. Lui era uno di questi. E’ stato un grande innovatore, un esempio per tutti coloro che hanno voluto frequentare un certo tipo di cinema che non ha solo a che fare con la politica ma che è anche di grande esplorazione umana.

Roberto Saviano ha commentato sulla sua pagina facebook con poche semplici righe dicendo: “Senza “Le mani sulla città” non avrei mai scritto “Gomorra“. Francesco Rosi è stato il mio maestro: nessuno come lui ha raccontato il potere.”

Quando viene a mancare una figura così importante per la Cultura italiana come quella di Rosi, un Maestro del calibro di Pasolini e Rossellini, inevitabilmente ci troviamo a confrontarci con un vuoto enorme.

Daniele Vicari, noto per il suo impegno in film come Diaz – Don’t Clean Up This Blood (2012) e nel film documentario La nave dolce (2012) dopo aver visitato la camera ardente ha scritto un bel discorso che ha pubblicato sulla fanpage “Mi unisco alla commozione per la scomparsa di un uomo che ho conosciuto ancora saldo e lucido nella sua tarda età. Lo piango come si piange un parente caro e insostituibile, e alla domanda se possiamo ereditare la sua grandezza rispondo NO. Rosi è unico e irripetibile. Però possiamo imparare molto dai suoi film, dal suo coraggio e dalla sua determinazione. Possiamo imparare ad essere un po’ meno vittimisti e un po’ più seri, perché se non ci buttiamo nel cinema a capofitto rischiando di romperci l’osso del collo non solo non otterremo mai il risultato di avvicinarci a quella grandezza, ma nemmeno di essere all’altezza del nostro tempo, che secondo me è anche peggio che non essere all’altezza dei tempi che furono.”

Photo: © Augusto De Luca CC BY SA 2.0