No ad un mondo di multinazionali: a Berlino in 70 mila per protestare contro CETA e TTP

A Berlino, sabato 17 settembre 70 mila manifestanti sono scesi in strada per protestare contro i due accordi commerciali di libero scambio, CETA (Accordo di liberalizzazione con il Canada) e TTIP  (Trattato transatlantico con gli Stati Uniti), attualmente in corso di negoziazione. Un anno fa erano più di 250mila, ma il rischio di un’intesa tra UE e Stati Uniti era più alto.

Al grido di CETA wollen wir nicht, il corteo si è snodato lungo le strade della città in modo pacifico e ordinato. Sciami di ragazzi hanno danzato allegramente guidati dalla musica che pulsava potente, sotto l’occhio vigile delle forze dell’ordine.Tra le fila dei manifestanti, giovani, adulti, bambini e anziani dall’andatura incerta.

Dal palco di Alexanderplatz, dove il corteo ha avuto origine, si snocciolavano le prime cifre, successivamente confermate dagli organi di stampa: 320 mila partecipanti nelle 7 città interessate dalla manifestazione, di cui 70 mila a Berlino.Oltre alla capitale tedesca, la manifestazione ha coinvolto contemporaneamente Amburgo, Colonia, Francoforte sul Meno, Lipsia, Monaco e Stoccarda.

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Cosa prevede il Trattato. Il TTIP è un accordo, ancora in corso di negoziazione, che si propone di liberalizzare le relazioni commerciali tra gli Stati Uniti e l’Unione Europea, coinvolgendo in tal modo più di 800 milioni di cittadini e una percentuale del PIL mondiale rilevantissima, superiore al 40%. Le trattative, dopo anni di preparazione, dovrebbero concludersi nel 2015, e ufficialmente si propongono di rafforzare il mercato transatlantico, facilitando scambi, investimenti e concessione degli appalti,uniformando le normative, sopprimendo i dazi e le altre barriere non tariffarie (ad esempio il contingentamento delle merci e le legislazioni di controllo sulla qualità ritenute troppo severe).

Le argomentazioni dei fautori. I sostenitori dell’accordo, basandosi sugli studi del Center for Economic Policy Research di Londra, sono convinti che il TTIP, favorendo il mercato, la libera concorrenza e la semplificazione burocratica, incrementerà il volume degli scambi e il PIL mondiale e abbasserà i prezzi, con grande beneficio dei consumatori. Le classiche tesi di scuola neoliberista, che affidano alla mano invisibile del mercato il compito di autoregolamentarsi.

e critiche degli oppositori. Chi si oppone al Trattato, contesta innanzitutto la segretezza con cui i tecnici europei e americani lo stanno discutendo, a loro modo di vedere sospetta e poco democratica. Anche i centri scelti per studiare gli effetti del TTIP sono valutati troppo vicini ai diktat di governi e multinazionali interessati all’accordo, e dunque tacciati di parzialità. Le stime rilasciate su lavoro, PIL, volume degli scambi vengono considerate ottimistiche e, in ogni caso, poco affidabili, vista la complessità dei fattori economici in gioco. Una delle argomentazioni sostanziali, poi, è che il TTIP garantirebbe sì maggiore uniformità normativa, ma al ribasso, dunque a tutto vantaggio delle aziende e non dei consumatori e dei cittadini. Verrebbero così messi a repentaglio i diritti dei lavoratori, semplificati delocalizzazioni e licenziamenti, distrutta la competitività di piccole e medie imprese, incentivate le privatizzazioni di beni e servizi essenziali. Ma soprattutto, se ci si appiattisse sulla legislazione americana, più permissiva, diminuirebbero drasticamente le tutele dei consumatori per quanto riguarda OGM, pesticidicarne agli ormoni, impiego del fracking (nell’estrazione del gas), controllo degli alimenti. Inoltre, dicono gli oppositori, se passasse la clausola ISDS(Investor-State Dispute Settlement), si darebbe alle multinazionali la possibilità di ricorrere a tribunali terzi contro gli Stati che proponessero politiche lesive dei loro profitti. Proprio il governo tedesco è particolarmente critico verso questa misura, dopo che nel 2009 l’azienda svedese Vattenfall provò a citarlo in giudizio per 1,4 miliardi di euro a causa della decisione di uscire dal nucleare.

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