Berlino, il migliore dei peggiori mondi possibili

di Renato Indrio

Cosa rende Berlino il posto dei sogni di tanti, per non dire il paese della cuccagna? Durerà? Non durerà? Per ora,comunque, le possibilità ci sono, e vanno prese al volo.

La prima volta che sono stato ad Amsterdam, per puro scrupolo morale, ho fatto un tour gratuito che partiva da piazza Dam e in una giornata e mezzo ti portava praticamente ovunque: musei, parchi, edifici di interesse storico, coffee shop e mignotte.

Il tour era in spagnolo e la guida era un ragazzo argentino molto simpatico, che alla fine dell’escursione mi diede anche degli ottimi consigli di carattere tecnico-lisergico… Ma questa è un altra storia.

Fatto sta che el quillo, arrivati nel cuore del red light district, rivolse al folto gruppo composto da famiglie sud americane, coppie spagnole in viaggio di nozze e ventenni Erasmus devastati dal primo impatto con le allucinanti Haze di Barney’s, una domanda sottile, provocatoria e volutamente stronza:

“Secondo voi perché gli olandesi hanno legalizzato le droghe leggere e la prostituzione?”

Liscio come il piscio che le risposte assunsero sfumature sociali delle tinte più classiche ed evergreen: “apertura mentale e culturale storicamente radicata nei popoli nordici”, “assenza della Chiesa Cattolica”, “mentalità marinaresca del popolo olandese” e di nuovo, a furor di popolo, “assenza della Chiesa Cattolica”.

L’argentino ci lasciò blaterare come i poveri stronzi che eravamo, poi sollevò una mano e, sorridendo, si sfregò il pollice con l’indice e il medio, regalandoci l’antico suono del violino più piccolo del mondo.

Che riusciate o meno a sentire quel suono, cazzi non ce ne vogliono: gli olandesi hanno liberalizzato prostituzione e droghe leggere con il preciso e poco romantico intento di lucrarci sopra il più possibile. E di fatto ci sono riusciti.

Da quel giorno, dopo quella gita, quando mi ritrovo a cercare il senso di una manovra politica, di un’ingiustizia sociale o di una guerra santa, provo a pensarla un po’ meno da studente no profit di scienze politiche in libera uscita alla notte della Taranta e un po’ più da hustler-rapper americano… E non indovinereste mai che cosa ho scoperto: troppo spesso il risultato delle equazioni sociali più complesse, non è altro che la cara vecchia esse maiuscola sbarrata in verticale e affanculo la retorica.

Incredibile, vero?

Il fatto è che l’arte e la società progrediscono, ma il progresso vero è sempre e soltanto quello economico.

Si, ho voglia di stupirvi stasera.

Non c’è poesia senza otium, non ci sarebbero stati i filosofi greci senza le ricche città stato, niente Andy Wharol senza boom economico dei ’50 e niente Umberto Smaila senza strategia della tensione.

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Attenzione: non sto negando l’esistenza di preziosissima arte in paesi poverissimi o contesti sociali più degradati. Anzi. Il problema non è la mentalità di un popolo o la qualità/quantità dell’arte che quel popolo è in grado di produrre, quanto piuttosto il numero di persone che vorranno e potranno apprezzare quell’arte: una società che produce, produce anche utenza, pubblico. Un pubblico di carne, occhi e orecchie, propenso a lasciarsi stimolare e a provare emozioni reali, in un effetto domino di crescite sociali e personali. In altre parole, che cazzo frega a me del festival dell’arte povera contemporanea, se sono laureato ma non ho un lavoro e a 30 anni dormo nella stessa cameretta a casa dei miei da quando ne ho 8?

Chiunque abbia detto che l’arte nasce dal disagio, si riferiva ai disagi personali, non certo sociali, perché un artista per produrre arte deve poter mantenersi in vita, senza cambiare vita, altrimenti si iscriverà a Giurisprudenza.

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Ed è qui che entra in gioco BerlinCalling.

Perché Berlino non è solo la capitale dello stato che fa il buono e il cattivo tempo a Bruxelles. E’ uno stato a parte. E’ un atollo distopico a metà strada fra Mad Max e Vogue uomo, dove le persone vivono con poco e di poco, mentre i mezzi arrivano in orario, l’automobile diventa un peso, i datori di lavoro ti rispondono educatamente via mail che il tuo profilo non matcha le loro richieste, e il sistema previdenziale si lascia sfruttare placidamente dai milioni di disperati che accorrono qui da tutto il mondo in cerca di una vita dignitosa.

Qui con un prezzo accettabile ti prendi un bilocale a Pankow, poco distante dall’area new-yuppie di prenzlauerberg/mitte, e con 1200€ al mese, sulla carta, non devi preoccuparti di molto altro che non sia l’inverno lunghissimo, le sirene dei mezzi di soccorso che ti provocano momentanee sordità e i turisti che passeggiano sulla pista ciclabile e allungano la fila del Berghain.

Parte tutto da qua, dall’accessibilità economica: Das geld macht den beat. E’ questo quello che ha attirato gli artisti e in generale le persone convinte che nella vita, lavori improvvisati, musica elettronica, ecstasy e vernissage, siano più importanti di reddito fisso, bamba, bambini e campionato. Questo è quello che ha fatto di Berlino, oggi, il migliore dei peggiori mondi possibili.

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Certo, è un Mondo perfetto manco per il cazzo… ma a chi è che interessa la perfezione?

A nessuno, ve lo dico io. Nessuno vuole affannarsi troppo, ed è giusto così.

Qui i discorsi e i progetti seri, restano seri, ma vengono solo abbozzati, quasi ci fosse la paura che possano prendere vita per davvero, rovinando la nostra splendida routine e facendoci invecchiare di colpo. Qui tutti vogliono e ottengono quello che tutti meriterebbero: una vita tranquilla, senza ammazzarsi di problemi e odio e lavoro, con uno stato che funziona (piu o meno, ma più più che meno) e una città che parla cento lingue e una sola, in cui le cose succedono e dove avere un figlio non è un lusso, ma una possibilità concreta. That’s it.

Ok, Berlino non è affatto una città oggettivamente bella e non ti accoglie a braccia aperte come può sembrare. La lingua, quel tedesco cacofonico che impedisce alla città di Londrizzarsi, è un dito al culo girato con la sabbia per chi pensa di conquistare il mondo con il B2 di inglese. Bianco, grigio e nero, sono i colori degli inverni che passano lentissimi tra i palazzoni in stile DDR e i party in cantina. Senza contare che tutte le libertà offerte dalla città, si pagano al prezzo dei piccoli grandi sacrifici quotidiani dell’emigrante, con i tuoi parenti che invecchiano tra le chiamate Skype e il groppo in gola di quando tiri fuori dal cassetto una maglietta che non metti mai, e che profuma del bucato di casa.

Ma ‘sti cazzi.

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Passato il primo variabile periodo di party, droga e tech’n’roll, o te ne torni a casa povero e intossicato, o trovi il tuo posto, ci resti, e capisci il senso reale di questa depravata isola che non c’è, diventando parte attiva di una generazione che aveva messo da parte i sogni per accontentarsi della realtà, e che oggi, in una città che glielo permette, si riprende i suoi sogni dal primo all’ultimo.

Quasi tutti arrivano qui e prendono il primo lavoro che capita, volentieri e senza fare troppe storie, perché in realtà sono lì per un altro motivo: una passione, una vocazione artistica o la semplice voglia di essere se stessi, lontani dai pregiudizi e dai limiti che hanno segnato la loro vita pre-berlin.

Si diventa facilmente e coscienziosamente degli ingranaggi di una macchina sociale ben oliata e in continua evoluzione.

I bar allestiti nei sottoscala delle project house, arredati con materiale di risulta, l’odore farlocco degli shisha bar, i buttafuori gentilissimi del Tresor, gli spacciatori che ti fanno le consegne sul pianerottolo (meglio dei fattorini delle pizze, che ti aspettano al portone), i party dove ti viene voglia di gridare “Jumanji!” per far sparire tutti quelli strani esseri ketaminosi in rigorosa mise total black, la puzza di gomma, petrolio e calore, che ti avvolge nella U-Bahn, il kebab di Mustafà a X-berg, il Kugel Bar a Wedding, il Mauer Park di domenica, la spesa al mercato turco, open air e esposizioni volutamente no-sense, droga sintetica a secchiate, Job Center, bicicletta, le bottiglie che ricicli a 8,15 e 25 cent. al pezzo, e poi milioni di persone, con milioni di storie mai banali, mai scontate. Questa, mas o menos, è la vita che ti aspetta.

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E non durerà molto.

Perché l’economia è come la vita. Credo. Ci sono i cicli. Qui un ciclo sta finendo e ne sta iniziando un altro, la città sta cambiando: gli affitti salgono, si costruisce ovunque, il nucleo urbano è in continua espansione, la popolazione aumenta e quello che oggi è underground, domani sarà commerciale.

Berlino diventerà una metropoli a tutti gli effetti, con tutto quello di buono e meno buono che questo comporta.

Ma per il momento, andateci.

Può andarvi di culo.

Dedicato a Tante C. e alla Wedding Family, immer in meinem herzen.

Foto a cura di Daniel Margiotta 

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