Cannes, alla Quinzaine Risk di Laura Poitras, la regista sulla “terrorist watchlist” degli USA

Proiezione decisamente carica di attesa quella del nuovo documentario di Laura Poitras, Risk, che per qualche ora ruba la scena alla sezione principale del Festival di Cannes. L’aver ospitato una simile anteprima deve aver avuto un valore aggiunto per La Quinzaine des Réalisateurs, impegnata da un paio di anni a mostrare sui propri schermi prima delle proiezione dei film dei messaggi “politici” a favore della libertà di espressione, come nel caso dello scorso anno con la richiesta di liberazione di Oleg Sentsov, cineasta ucraino detenuto per “terrorismo” dalle autorità russe.

Poitras, una regista sulla terrorist watchlist americana. Impegnata da tempo ormai con la sua arte a raccontare, o meglio, svelare i sistemi di monitoraggio da parte dell’ente governativo americano e non solo –  per motivi di sicurezza ha vissuto anche a Berlino – Laura Poitras, attualmente sulla terrorist watchlist statunitense per la sua attività “anti-americana” torna con il suo nuovo documentario Risk a raccontarci Wikileaks, l’organizzazione internazionale che ha come obiettivo di portare alla luce documenti coperti dal segreto di stato, la cui pubblicazione possa aiutare a svelare verità scomode sull’operato di governi e aziende.

Nel cuore di Wikileaks. Risk arriva dopo il successo di Citizenfour, documentario su Edward Snowden e le pratiche di intercettazione illegali condotte dalla NSA, con il quale Laura Poitras ha vinto l’Oscar nel 2015. Risk doveva già essere in lavorazione quando la Poitras si è trovata tra le mani il soggetto di Citizenfour che richiedeva assoluta precedenza. Arriva quindi un po’ come un prequel il film che ci fa entrare,anche grazie all’autorizzazione diretta dello stesso Assange, direttamente nel cuore di come ha operato Wikileaks dal 2011 ad oggi. Molta della fortuna di Laura Poitras deriva infatti dalla fiducia che Assange le ha concesso – non certo cosa facile vista la personalità paranoica che lui stesso si riconosce – permettendole di riprendere tratti inediti dell’operato dell’organizzazione, tratti che a volte ricordano quelli di una setta per la forza con cui condividono ideali e intenti. Attorno ad Assange abbiamo due dei suoi più fedeli accoliti: l’esperto di sicurezza informatica Jacob Appelbaum e Sarah Harrison, principale collaboratrice di Assange. Il racconto si incentra sui fatti più importanti che hanno riguardato Wikileaks negli ultimi anni: dal processo a Chelsea (ex Bradley) Manning ai tentativi di estradizione di Assange in Svezia, dove viene accusato di stupro, e il pericolo di una sua successiva estradizione negli Stati Uniti, dove è invece accusato di spionaggio e rischia la pena di morte. La Poitras abbandona quindi ad un certo punto l’interesse per il lavoro dell’organizzazione per concentrarsi più sulla figura di Assange. Sono le sue vicissitudini a segnare la storia di Wikileaks, facendo prendere una piega più personalistica al documentario che termina con alcune scene di vita quotidiana di Assange, costretto da quattro anni ad una reclusione forzata nell’ambasciata ecuadoriana di Londra, unico governo a riconoscergli l’asilo politico.

Un documentario dal sapore di thriller. Il rapporto instaurato con Assange rende sì unico il punto di vista raccolto dalla regista ma è anche per certi versi eccessivamente parziale, finendo per tingere inevitabilmente il racconto del cospirazionismo che è proprio di Assange e delle sue paranoie costanti. Viene per esempio ricordato in più occasioni come qualsiasi apparecchio elettronico possa essere un mezzo per spiare, anche solo ascoltando il battere delle dita su di una tastiera. Le scene in cui Assange si traveste per raggiungere come ultima destinazione l’ambasciata sono emblematiche però di come Laura Poitras riesca a dare a questo documentario il sapore del thriller, così come si appropria dei tratti del romanzo di spionaggio nelle scene di una conversazione in mezzo al verde, unico posto in cui si possa parlare liberamente. Ma forse nemmeno troppo.

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Foto di copertina © allocine