«Ecco come educo i turchi in Germania a non essere violenti con le loro donne»

Quando era ancora in servizio, Kazim Erdogan era solito arrivare per primo nell’ufficio dei servizi sociali per minorenni del quartiere berlinese di Neukölln.

Aveva l’abitudine di svegliarsi all’alba e di aprire la sede alle 5. Le giornate erano lunghe, ma Erdogan era instancabile. Originario di Gökçeharman (Turchia) e approdato in Germania nel 1973, lo psicologo e sociologo Kazim Erdogan – come lui stesso sottolinea, non imparentato con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan – è conosciuto a livello nazionale come uno dei più autorevoli esperti di integrazione. Nel 2007 fondò i primi gruppi di autoaiuto allo scopo di educare uomini e padri di origine turca alla non violenza; in seguito avviò progetti a favore di donne e madri turche con problemi psicosomatici e classi di ripetizioni per bambini. Nel corso della sua carriera al servizio dell’integrazione ha ricevuto venti prestigiosi riconoscimenti, fra cui l’Ordine al merito di Germania conferitogli nel 2012 dal Presidente della Repubblica Federale Tedesca Joachim Gauck. Dopo quasi 15 anni di lavoro nell’amministrazione del quartiere e una vita dedicata all’impegno nel sociale, nell’estate del 2016, all’età di 63 anni Erdogan ha raggiunto la pensione, ma non intende interrompere il lavoro sul campo: «Continuerò a dedicarmi all’associazione Aufbruch Neukölln e.V.. Al momento sto scrivendo un libro, ma ho molti altri progetti in cantiere, a Berlino e in Turchia».

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A tu per tu con Kazim Erdogan

Incontriamo Kazim Erdogan a Neukölln, nel suo ormai ex ufficio del Bezirksamt. Gli scaffali sono quasi vuoti, la scrivania carica di pile di documenti. Erdogan ci fa accomodare a un tavolo rotondo coperto da una variopinta tovaglia dai ricami orientali e ci offre del tè turco. Al titolo di “esperto di integrazione” che gli attribuiamo reagisce con una risata ironica, quasi non si sentisse all’altezza, e afferma di preferire lo scherzoso appellativo “califfo di Neukölln”. Durante la sua carriera Erdogan si è dedicato anima e corpo al miglioramento del dialogo tra tedeschi e turchi in Germania, all’educazione alla non violenza e al conseguente scardinamento dei valori obsoleti di una società patriarcale come quella turca.

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© Linda Paggi

La storia di Kazim Erdogan

«Ogni giorno, al mio risveglio, penso a quando arrivai in Germania 42 anni fa. Mi trovavo alla stazione centrale di Monaco di Baviera ed ero indifeso come un bimbo. Volevo raggiungere Berlino Ovest, ma non ero in grado di comprarmi un biglietto perché non parlavo nessuna lingua straniera. Allora mi guardai attorno alla ricerca di un Gastarbeiter turco con baffi e capelli neri. Dopo circa 20 minuti ne trovai uno e gli chiesi di accompagnarmi allo sportello e di comprarmi un biglietto per Berlino Ovest. Superata la riluttanza iniziale, quell’uomo mi aiutò. Sul treno che mi condusse a Berlino decisi che se mai sarei stato nella condizione di aiutare altre persone, l’avrei fatto senza esitazione. Nei successivi 39 anni di volontariato non ho mai avuto dubbi: sono consapevole di non essere in grado di guarire il mondo, ma intendo fare comunque quello che posso, sempre. Nel 1974 stavo per essere espulso dalla Germania perché non avevo un permesso di soggiorno valido. Mi arrestarono di venerdì per rimandarmi in Turchia il martedì successivo, ma il lunedì venni rilasciato perché la Freie Universität zu Berlin mi offrì un corso di tedesco, consentendomi così di rimanere e proseguire i miei studi accademici di psicologia e sociologia. Questo episodio fu un incentivo al mio impegno: può essere che gli sforzi non vengano premiati subito, ma prima o poi succede».

I gruppi di autoaiuto

«Ho fondato il primo gruppo per uomini e padri di origine turca nel 2007, gruppo che esiste e si incontra tuttora. Parallelamente conduco un gruppo internazionale formato da uomini di diverse provenienze. Ci si incontra una volta alla settimana oppure una volta al mese, a seconda delle necessità dei partecipanti. Sono convinto che tutti gli uomini di questo mondo abbiano più o meno gli stessi problemi, a prescindere dalla loro origine. Nei gruppi di aiutoaiuto non c’è tema che non si affronti: parliamo di tutto ciò che è importante nella vita di un essere umano e invitiamo esperti di ogni settore affinché ci aiutino ad affrontare le problematiche con competenza. Il focus degli incontri resta la non violenza, nell’educazione dei figli e nel matrimonio».

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© Linda Paggi

Il problema della violenza

«La violenza è un problema antico. Esiste da quando gli uomini vivono su questo pianeta. Le ragioni del suo esercizio possono essere varie, ma in generale possiamo affermare che se si cresce con la violenza, sia essa fisica o verbale, allora questa viene replicata. Per rompere il cerchio bisogna mettere in discussione metodi di educazione ormai obsoleti. Esistono poi fattori che facilitano la generazione di violenza. Se ci basiamo sui partecipanti dei miei gruppi, possiamo notare che un terzo degli uomini è rappresentato da padri soli, il 40% è costituito da “mariti importati”, dunque da uomini che si sono sposati in Turchia e che hanno poi raggiunto le mogli in Germania, il 70% da disoccupati che vivono di Hartz IV (sussidio di disoccupazione ndr). L’assenza di prospettive future e la mancanza di riconoscimenti positivi può sfociare in comportamenti violenti. È un dato di fatto che in alcuni Paesi la violenza giochi un ruolo importante nella società: è così nella Turchia di oggi, dove 40 donne su 100 vengono picchiate dai mariti, dove ogni anno muoiono tra le 1000 e le 1500 donne per mano dei loro familiari uomini e dove 3000 donne commettono suicidio per aver subito un matrimonio imposto. Non ha senso negare la verità di questi dati. I problemi ci sono e possono essere risolti, ma per farlo bisogna disporre di strumenti adeguati. Questo è ciò che tento di fare con i gruppi di autoaiuto, ovvero fornire ai partecipanti i mezzi per scegliere consapevolmente la non violenza. Affrontare i problemi in gruppo dà un grande vantaggio: con più occhi si vede meglio».

Gli uomini dei gruppi di autoaiuto

«I componenti dei gruppi sono molto diversi tra loro. Ci sono persone istruite che desiderano migliorarsi per i propri figli e le proprie mogli. Ci sono soggetti violenti. Ci sono uomini che non riescono a sopportare l’idea che sia la donna a mantenere economicamente la famiglia. Altri non accettano di sentirsi inferiori alle mogli da un punto di vista linguistico. Ci sono poi giocatori d’azzardo, tossicodipendenti e alcolisti. Nel gestire tutte queste persone e le rispettive problematiche non mancano certo le difficoltà, ma il bilancio è decisamente positivo. Ci sono uomini scettici che stanno sulla difensiva e oppongono resistenza, ma dopo un paio di incontri solitamente finiscono col rimanere nel gruppo. Altri individui per nulla ragionevoli ritengono di essere nel giusto e mi danno del “malato”. Penso che nell’approcciare gli uomini che si hanno di fronte sia importante prenderli sul serio, comunicare con loro ponendosi al loro stesso livello, utilizzare un linguaggio chiaro e “recuperarli” nel punto dove si trovano, senza disprezzarli. Inoltre è fondamentale che nei gruppi regni un’atmosfera intima e di fiducia affinché si possa parlare liberamente, mettendo in discussione tradizioni, valori, usi e costumi. Non esiste un’assoluta sicurezza di successo, ma anche coloro che non vogliono essere aiutati sono consapevoli della bontà del mio lavoro e del fatto che con la mia attività sto dando loro una nuova chance. In 39 anni di attività sono stato minacciato una sola volta. Si trattava di un tossicodipendente che sotto l’effetto di stupefacenti mi telefonò per dirmi che sarebbe venuto nel mio ufficio e mi avrebbe ucciso. Gli dissi di venire, ma non lo fece. Si presentò tempo dopo per scusarsi con un mazzo di fiori».

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© Linda Paggi

La storia di Mohammed

«Mohammed è marito e padre di quattro bambini. Un giorno venne nel mio ufficio, si sedette al tavolo e mi mise davanti una pistola, spaventandomi a morte. Disse di avere i nervi distrutti e di voler uccidere la moglie per amore dei figli. La donna in questione era al contempo moglie e cugina di Mohammed. Partita per Istanbul dove intendeva sfondare come cantante, aveva iniziato una relazione amorosa con un altro cugino. Per la società turca un comportamento tale conduce all’omicidio. Nella storia venne coinvolta tutta la famiglia. Molti invitarono Mohammed a salvare il proprio onore uccidendo la moglie. Quando venne da me, cercai di convincerlo a pensare a cosa sarebbe successo ai bambini se avesse compiuto quel folle gesto: lui sarebbe finito dietro le sbarre e i bambini in un orfanotrofio. Gli chiesi di pensarci su e mi offrii di conservare la sua arma fino al lunedì successivo. Quando venne da me la settimana seguente, Mohammed non smetteva di ringraziarmi per averlo fermato e mi disse di voler essere padre e madre per i suoi figli. Oggi Mohammed mi aiuta a calmare quegli uomini che sono sul punto di scoppiare, proprio come lui qualche tempo fa».

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Integrazione e accoglienza

«Al termine “integrazione” preferisco “partecipazione”. Non si tratta infatti soltanto di integrare un gruppo in un altro, bensì di prestare un servizio alla società, un servizio che giova a tutti noi. In quanto alla politica dell’accoglienza, sono convinto che la posizione di Merkel sia positiva per i nuovi arrivati in Germania. Ma l’integrazione e la partecipazione non possono essere semplicemente prescritte o regolamentate tramite leggi. Sono stati organizzati vertici sull’integrazione e conferenze sull’islam, ma non è rimasto molto di questi incontri. Oggi è più che mai necessario superare la mancanza di comunicazione che affligge la nostra società e tornare a parlare gli uni con gli altri, a esprimerci e a condividere. Per farlo ognuno di noi deve applicarsi: solo così potremo ottenere dei risultati».

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© Linda Paggi

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Tutte le foto © Linda Paggi