Toni Ricciardi

Ecco perché io del PD farei l’interesse di voi italiani all’estero

Conversazione con Toni Ricciardi, candidato alla Camera dei Deputati nella circoscrizione estero-Europa per le elezioni del 4 marzo.

«Ho passato metà della mia vita in Svizzera e metà in Italia e mi reputo una persona fortunata perché ho potuto fare del mio percorso geografico e di una mia passione, di una voglia di riscatto, una professione»: classe 1977, figlio di emigranti irpini in Svizzera, oggi storico delle migrazioni presso l’Università di Ginevra, Toni Ricciardi ci racconta la centralità che il tema della migrazione italiana in Europa ha assunto nella sua vita personale e lavorativa. Il desiderio di portare questa sua vocazione anche al di fuori del contesto di ricerca ha indotto Ricciardi a candidarsi alla circoscrizione estero-Europa con il PD per le elezioni del 4 marzo. Arrivato a Baar (Zurigo) a soli otto mesi, Ricciardi vive i suoi primi quattro anni come bambino clandestino. Rientrato in Italia nel 1992 con la sua famiglia, dopo aver terminato il liceo in Irpinia si laurea in Scienze Politiche all’Orientale di Napoli con una tesi sull’emigrazione degli italiani in Svizzera. Qualche anno dopo vince un dottorato di ricerca in Storia a Napoli, durante il quale si occupa di associazionismo e di emigrazione, in particolar modo approfondendo il caso delle Colonie Libere Italiane in Svizzera. «Ho vissuto sulla mia pelle entrambe le fasi della migrazione: quella di seconda generazione nel corso della mia infanzia e ora quella che oggi si definisce la “nuova mobilità”».

Cosa pensa dell’Unione Europea oggi?

«L’Unione Europea viene vista come molto distante dalla vita delle persone. Io sono fermamente europeista e sono convinto che abbiamo bisogno di molta più Europa, ma in maniera diversa. Dovremmo uniformare i diritti su scala europea, garantire il diritto alla sicurezza, quello alla sanità, all’assistenza sociale, al welfare state in egual misura al cittadino di Berlino come a quello di Lampedusa, a un greco come a un portoghese. Quando raggiungeremo questo obiettivo, probabilmente riusciremo anche a superare le difficoltà e le paure di tanti europei. Oggi molte decisioni prese a Bruxelles in contesti distanti dalla vita quotidiana possono cambiare le sorti di un agricoltore tedesco o italiano, che ne subisce le conseguenze senza capire chi ha preso la decisione. Sono stati fatti passi avanti, ma oggi siamo in una fase difficile nella quale si cavalca l’onda della paura: una paura che ti porta a immaginare che chiuderti dietro un recinto, lasciando il mondo fuori, ti metta al sicuro da tutte le tue insicurezze. Ma non è così: bisogna avere la responsabilità di immaginare una visione complessa e complessiva delle cose e quindi soluzioni complesse e complessive ai problemi».

Qual è la sua opinione sull’Euro?

«Il problema non è avere una moneta unica, il problema è avere una moneta unica che abbia lo stesso valore e potere d’acquisto da Helsinki fino a Lampedusa o ad Atene per cercare di uniformare la qualità della vita. È chiaro che crea una difficoltà avere una moneta unica che non ha egual valore già all’interno dei singoli Stati, figurarsi tra Stati. Ma non bisogna ragionare di chi ha dei privilegi per togliere loro quei privilegi. Ovviamente ci sono delle ingiustizie che vanno sanate, ma la vera domanda è: come innalziamo gli stipendi e la qualità della vita di milioni di europei ed europee che vivono in difficoltà?».

Quali sono, secondo Lei, le cause principali dell’emigrazione di massa degli italiani oggi?

«Non c’è tanta differenza tra l’emigrazione di ieri e quella di oggi. Oggi tendiamo a utilizzare un’espressione che è una pura sciocchezza: la “fuga dei cervelli”. Non esiste la fuga dei cervelli. Esistono ieri come oggi persone che si muovono. Perché si parte? Per svariati motivi, soprattutto quello di immaginare un percorso di vita diverso, una qualità di vita diversa. Poi possiamo discutere se si viva meglio sulla costa sarda o se si viva meglio ad Oxford, questi sono punti di vista, però quello che ha indotto molti a partire è la ricerca di una condizione economica migliore. Fino a qualche anno fa si commetteva l’errore di immaginare che fossero solo le eccellenze, i “cervelli”, a spostarsi: quelli si spostavano ieri come si spostano oggi, ma secondo una dinamica che è totalmente avulsa ed estranea alla classicità della migrazione. Oggi noi riassistiamo da almeno quasi un decennio alla partenza di tante ragazze e ragazzi che partono semplicemente perché vogliono potersi guadagnare uno stipendio che non sia per forza di cose quello dei 500 €. È chiaro che c’è un elemento che accomuna storicamente da sempre la migrazione, quella di ieri come quella di oggi: si sa da dove si è partiti, ci si guarda indietro e ci si vede oggi proiettati in una dinamica nella quale, sì, sono stati fatti dei passi in avanti, però ti manca sempre qualcosa. Poi c’è la domanda di fondo che resta inevasa alla quale io, avendo vissuto la migrazione da quando sono nato e occupandomene professionalmente da più di 15 anni, non so rispondere: è più facile partire o restare? Chi è stato più forte? Quelli che partono o quelli che restano? O quelli che ritornano?».

Toni Ricciardi

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«Io credo che l’articolo uno della costituzione italiana sia stato scritto nella maniera sbagliata. L’Italia non è una Repubblica fondata sul lavoro ma è una Repubblica fondata sulle migrazioni. Lo stesso De Gasperi nel ‘49 dice “Sono disposto a rinunciare al piano Marshall purché ci diano la possibilità di finanziare la nostra emigrazione”. Questo che cosa significa? Che l’emigrazione per le classi dirigenti, per i padri costituenti della Repubblica ha rappresentato un pilastro portante dell’economia del secondo dopoguerra. Oggi la migrazione, o questa nuova mobilità, rappresenta una dinamica diversa: da un lato rappresenta indubbiamente la ferita aperta di un processo democratico involutivo. Io mi rendo conto che c’è una forte contraddizione: tanti italiani sono partiti nel momento stesso in cui hanno visto altre persone arrivare nell’Italia che hanno lasciato. Ma questo è un processo ciclico che la storia ripete, anche se mai nella stessa maniera. Sono le dinamiche umane: la mobilità è un processo che esiste da quando esiste il genere umano. Ed è un processo inarrestabile. Il problema della politica non è preoccuparsi di arrestarlo ma di governarlo».

Cosa proponete per gli italiani all’estero?

«Innanzitutto l’equipollenza delle professionalità, perché oggi si ha il riconoscimento dei titoli accademici ma non il riconoscimento delle professionalità. E poi ci scandalizziamo se leggiamo che un architetto per un anno fa il lavapiatti a Londra o in qualche altra capitale dell’Europa. Secondo punto: una ridefinizione delle reti consolari. Quello che si può fare è una ridefinizione del quadro generale da un lato con la digitalizzazione dei servizi, dall’altro facendo delle riforme strutturali. Questo significa, per quanto mi riguarda, l’istituzione del Ministero degli Italiani all’Estero. L’Italia dedica agli italiani nel mondo lo 0,13% del PIL: bisogna passare a un punto, in prospettiva due punti percentuali del PIL. Ed è un’operazione che si può fare. Terzo punto: la ridefinizione di una fiscalità globale degli italiani all’estero. È inaccettabile immaginare di trattare gli italiani nel mondo come se fossero tutti dei grossi evasori fiscali. Qualche passo in avanti è stato compiuto già dal governo uscente. Ci sono tuttavia ancora tante decisioni da prendere: parallelamente alla direttrice della fiscalità nazionale si deve avere una direttrice della fiscalità degli italiani nel mondo. Il quarto e ultimo punto è quello relativo alla storia degli italiani nel mondo. In Italia ad oggi ancora non esiste una cattedra di storia delle migrazioni. Nei manuali di storia la storia degli italiani nel mondo, di quello che hanno fatto, è pressoché inesistente. Noi tendiamo a dimenticare, a non conservare memoria e nel momento in cui un popolo non conserva la memoria, rischia molte volte di non comprendere le difficoltà del presente e di proporre delle soluzioni che tanto danno hanno fatto in passato».

Che peso ha secondo Lei la Germania nell’attuale crisi europea?

Guardi, io non mi ascrivo nel partito che deve individuare il colpevole delle dinamiche o la colpa che ha la Germania nell’attuale crisi europea. L’attuale crisi europea nasce, se proprio vogliamo stare nel quadro generale, con il crollo e la bolla speculativa dei mutui negli Stati Uniti. Bisogna avere il coraggio di dire che l’Italia la Germania sono alla pari delle province all’interno di un grande Paese che si chiama Europa. Altrimenti continuiamo a dare la colpa alla Germania, poi all’immigrato che arriva, e daremo sempre la colpa a qualcun altro.

Cosa importerebbe dal sistema tedesco?

Importerei la capacità che hanno avuto gli italiani di contribuire alla crescita della Germania. Importerei l’essere italiani in Germania. Importerei in Italia quello che hanno fatto gli italiani nel mondo, seduta stante: e forse così risolveremmo qualche problema in una maniera diversa e più veloce.

NOTA BENE: L’articolo su Toni Ricciardi è parte di una serie di interviste che Berlino Magazine dedicherà ai candidati della circoscrizione Estero-Europa alle elezioni politiche del prossimo 4 marzo. Nella circoscrizione Estero sono eletti diciotto parlamentari, suddivisi in dodici deputati e sei senatori. Per sapere di più sul voto cliccate qui.

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