Guardiamo i numeri e sfatiamo i miti: la Germania non è invasa dai rifugiati

Nel mondo ci sono più di 60 milioni di uomini in fuga da conflitti, fame, persecuzioni politiche e religiose. La maggior parte di loro proviene da Stati dilaniati dalla guerra civile come la Siria, l’Afghanistan, la Somalia. Spesso si parla in Germania di Flüchtlingsstrom o Flüchtlingswelle, vale a dire di una fiumana, di un’ondata di rifugiati. Metafore che rimandano a un orizzonte concettuale di incontrollabilità, ingestibilità, forza distruttiva, rivelando un’arcana paura collettiva che può e deve essere dissolta mediante un’accorta pianificazione politica e una comunicazione responsabile da parte dei media, affinché non diventi il brodo di coltura di movimenti xenofobi ed estremisti.

E proprio ad informare razionalmente, decostruendo i timori “di pancia” con la forza dei numeri, punta un breve video pubblicato nei giorni scorsi dalla Süddeutsche Zeitung. La Germania – esordisce lo speaker della testata bavarese – è indubbiamente ai primi posti in Europa per numero di domande d’asilo: la proiezione per il 2015 – probabilmente al rialzo – è di 1 milione di richieste, provenienti prima di tutto dalla Siria, seguita a ruota da Albania e Kosovo (dati Die Zeit), dunque dai cosiddetti migranti economici che, come in Italia, sono al centro delle polemiche più aspre.

Questa cifra in apparenza minacciosa si sgonfia però improvvisamente se si pongono i richiedenti asilo in correlazione con l’ampiezza della popolazione nazionale. Compiendo tale semplice calcolo, si scopre che in Germania, per ogni 1000 abitanti, ci sono solo tre rifugiati. In Ungheria e in Svezia la percentuale sale leggermente (rispettivamente 7,3 e 8,4 rifugiati su 1000), mentre schizza drasticamente verso l’alto in Paesi sicuramente meno attrezzati per l’accoglienza come la Turchia (21 su mille) e il Libano (addirittura 232 su mille). Per non parlare di Stati come la Giordania, 114 rifugiati per ogni 1000 abitanti, o il Pakistan, che ospita in assoluto il numero più alto di profughi (1.6 milioni, dati UNHCR 2014). Sarebbe insomma il caso, prosegue l’infografica, di usare con prudenza espressioni sensazionalistiche come “ondata migratoria” o “fiumana di profughi”, perché in tal modo si rischia soltanto di fare il gioco di chi vuole solleticare gli istinti più beceri e favorire un autentico scontro di civiltà.

Ma cosa si potrà obiettare a chi sostiene che il problema migranti costituisce un insostenibile fardello per le finanze pubbliche tedesche? A questa argomentazione la SZ risponde che nel 2015 la spesa prevista per l’accoglienza dovrebbe aggirarsi intorno ai 10 miliardi di euro, una somma ingente, che però, a conti fatti, ammonta solo al 3% della spesa pubblica. Nella maggioranza dei casi, inoltre, non si tratta di un investimento a fondo perduto: dopo una prima fase di ambientamento e di integrazione, ovviamente onerosa per le casse pubbliche, i rifugiati provvedono ben presto a sdebitarsi con la società tedesca, sborsando mediamente, in tasse e contributi sociali, 3.300 euro in più rispetto agli aiuti ricevuti.

Più in generale, i migranti garantiscono alla Germania innegabili vantaggi da un punto di vista economico e demografico. Con una forza-lavoro giovane e non di rado qualificata, iniettano nuova linfa nel mercato del lavoro tedesco e contribuiscono in modo essenziale ad abbassare l’età media di una popolazione sempre più anziana: se nel 1950 gli over 65 erano soltanto il 10%, nel 2050 dovrebbero arrivare al 32%, con tutti i problemi di produttività e di welfare che ne conseguono.

Il servizio della SZ – che su Facebook ha riscosso approvazioni, ma anche le critiche di chi vi scorge soltanto propaganda di governo, da inghiottire in ossequio a Mutti Merkel e per controbilanciare l’atavico senso di colpa storico dei tedeschi – si pone in ultima istanza una domanda: perché la Germania dovrebbe accogliere i migranti?
Perché ha gli spazi, le risorse e le possibilità per farlo. Perché sarà il Paese stesso a giovarne enormemente, sul lungo termine. O semplicemente perché, ancor prima di ogni valutazione opportunistica, si tratta di una questione di umanità.

Forse aveva ragione il buon Proudhon, quando ammoniva che «chi parla di umanità vuol trarvi in inganno»; ed è evidente che, al di là del buon cuore, la storica apertura della Merkel è legata anche ad un lungimirante calcolo politico: gli analisti tedeschi hanno compreso che i flussi migratori non sono un’emergenza temporanea, bensì un fattore geopolitico strutturale dei prossimi anni o decenni e hanno deciso conseguentemente di accaparrarsi la forza-lavoro più istruita e adattabile al loro sistema produttivo. Tutto questo senza contare lo straordinario ritorno in termini di immagine di fronte all’opinione pubblica internazionale.

Ma, al di là di queste considerazioni da Realpolitik, bisogna anche riconoscere la caratura politica della Cancelliera che, senza appiattirsi sulla ricerca del consenso e provando a contemperare interessi confliggenti, ha scelto con coraggio un’opzione impopolare, pagandone lo scotto negli ultimi sondaggi, semplicemente perché col suo staff l’ha ritenuta la strada migliore per il futuro del Paese.
E non è forse il compito autentico di una politica intesa in senso alto provare a pilotare la costruzione del futuro, anziché limitarsi all’amministrazione dell’esistente? La nostra classe dirigente, con la sua ossessione per gli indici di gradimento e la sua passione per il tirare a campare, si sarebbe mai assunta una tale responsabilità?

SCUOLA DI TEDESCO

Photo: Treating Refugees as the problem is the problem © TakverCC BY-SA 2.0