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Il mio incidente in bici a Kottbusser Tor, Berlino, e l’importanza del tedesco

di D.A. 

Kreuzberg, Berlino, mancano un paio di minuti circa alle 2 di pomeriggio. Come sempre, sono in compagnia della mia fedele bici.

È una splendida giornata di sole con un filo di vento. Sono in bicicletta lungo l’Adalbertstraße, direzione Kottbusser Tor. Palazzoni e gente da ogni angolo dl mondo. È una delle poche aree di Berlino dove non c’è pista ciclabile. Viaggio sul bordo della strada.

Tra due fuochi

Alla mia stessa velocità, proprio accanto a me, viaggia una Renault Twingo viola. Passo accanto la fermata dell´autobus e noto una Mercedes Classe A appena parcheggiata. Che genio ha parcheggiato sulla fermata dell´autobus? Nemmeno il tempo di finire il pensiero che il genio apre la portiera della sua auto. Ho qualche attimo a disposizione per reagire e provare ad evitare l’impatto. Alla mia sinistra ho la Twingo, davanti a me la portiera della Mercedes. La mano è sul freno e… Bam! Prendo la porta in pieno, la bici si alza i si scaraventa contro la Twingo, poi cade per terra e io con lei, a qualche metro di distanza. Mi guardo le mani sanguinanti. Sul petto il dolore è forte.

Il genio è una signora che  esce dalla macchina, mi guarda e dice: «Oh, tut mir leid» con quel tono come se mi avesse pestato un piede e ora si aspettasse che io possa continuare come se nulla fosse, alzarmi, togliermi la polvere dai pantaloni e proseguire la mia corsa. Magari si aspettava un «Kein problem», «Sono cose che succedono» per poi continuare serena e felice la sua spensierata giornata già caratterizzata da un parcheggio alla fermata dell’autobus e un incidente con un ciclista. Normale tran tran quotidiano. Del resto chi non dà  una sportellata in faccia a qualcuno almeno una volta al giorno?

Peccato che a me faccia male tutto.

Sento la mano destra cominciar a gonfiarsi. La bici giace a terra completamente distrutta. Dietro di me c’è la Twingo di prima che per fortuna ha fatto in tempo a fermarsi. Ne esce una signora turca. Vuole accertarsi che stia bene. La donna alla guida della Mercedes invece sta li davanti, sorride a aspetta che me ne vada. «Please call an ambulance» le chiedo. Nessuna risposta. «Please… call… an… ambulance.»

Lei mi guarda e indignata. «Ich verstehe nicht. Wir sind in Deutschland. Wir mussen Deutsch reden» che tradotto significa «Non capisco, siamo in Germania, dobbiamo parlare tedesco» Lo fa a voce alta e si gira intorno per vedere se ha suscitato delle simpatie dei passanti. La gente che si è raccolta a vedere cosa è successo la guarda indignata. Magari, se lo diceva a Reinickendorf, zona sicuramente meno cosmopolita di Berlino rispetto a Kreuzberg, qualcuno avrebbe pure annuito. Ma a Kottbusser Tor ha proprio sbagliato luogo. I passanti, che siano turchi, arabi, italiani, spagnoli e anche tedeschi (pochi) la guardano con l´orrore.

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Allora glielo chiedo in tedesco. «Bitte, rufen Sie die Polizei an.»

Niente. Ora nemmeno il tedesco le piace? Mi giro verso le persone che osservavano tutto e chiedo il numero da chiamare. Mi dicono il 110. Prendo il cellulare dalla tasca, per fortuna integro. Compongo il numero. Rispondono i pompieri. Con il mio tedesco da fumetti Sturmtruppen cerco di spiegare cosa sia successo e dove mi trovi. Arriveranno in pochi minuti. Prima di loro è arrivata però già una volante della polizia contattata probabilmente dagli stessi pompieri con cui ho parlato.

La signora vola verso uno dei poliziotti e comincia a dire che non è colpa sua. A fatica riesco a stare in piedi. La fermo e le dico cha la polizia l’ho chiamata io, quindi ci parlo io per primo. Comincio a spiegare tutto quello che è successo in inglese, lingua con cui mi sento al momento più sicuro, finché la signora si intromette semplicemente per dire «Er spricht kein Deutsch! Wir sind in Deutschland hier» (Lui non parla tedesco. Siamo in Germania qui!). Il poliziotto però le spiega che l’inglese va benissimo.

Arriva il turno della signora.

Dice che lei aveva parcheggiato e inizialmente aperto la porta solamente un po’. Solo dopo essersi accertata che non ci fosse nessuno l’ha aperta completamente. Non ha idea da dove io sia arrivato. Hmmm, dal cielo forse? Peccato non si trovi il mio paracadute…

La polizia fa degli accertamenti. Mi danno i dettagli della macchina e della signora al volante e mi dicono che entro tre giorni la signora dovrà comunicare tutto alla sua assicurazione dopodiché potrò chiedere il risarcimento per la bici. Mi lasciano ai pompieri. Sono loro a portarmi in ospedale. Ne esco sei ore dopo con mano gonfia, graffi sul petto e costole incrinate.

La bici, fedele compagna, che ha fatto migliaia di chilometri, la stessa che che mi ha portato da Seattle a Los Angeles in un mitico primo viaggio si è dovuta arrendere a una Mercedes Classe A brutta e antipatica. Quella che ha sopravvissuto gli inverni ghiacciati di Berlino, alle pedalate per le montagne dei Balcani e ai deserti americani, mi ha lasciato a pochi metri da casa perché caduta nell’agguato di una signora a cui la lingua tedesca sta a cuore più del senso civico.

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Photo:© Alper Çuğun CC By SA 2.0

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