Im Keller, nei cinema gli inquietanti segreti delle cantine austriache

Dopo la trilogia del Paradiso (Love, Faith, Hope), Ulrich Seidl si cimenta in un progetto documentaristico piuttosto singolare e indiscreto, un’idea curiosa che lo porta a ricercare ossessioni, paure, perversioni, stranezze, libertà sessuali e personali delle più disparate. Dove? Nelle cantine degli austriaci.

Presentato Fuori Concorso a Venezia 71, Im Keller entra nelle case austriache per introdursi in una zona remota e simbolica delle abitazioni: la cantina. Il documentario disturbante e potente di Seidl mette a nudo i proprietari di casa mostrando il rapporto privato, libero e liberatorio tra individuo e cantina.

“Nell’inconscio collettivo la cantina è, inoltre, il luogo dell’oscurità, della paura, degli abissi umani”, scrive Olaf Möller nel suo saggio ispirato a Im Keller. Se alcune libertà del popolo austriaco strappano sorrisi gioviali, altre li smorzano in smorfie di tristezza, fino a suscitare gelo e distacco.

Per completare questo ritratto rivelatorio e senz’altro invadente – sebbene i proprietari di casa abbiano concesso a Seidl di filmare e svelare la propria anima – l’autore ha portato avanti un lavoro di porta a porta inizialmente infruttuoso fino a quando la ricerca non è stata affinata e mirata. “Dopo diverse settimane di ricerca – consistente soprattutto nel bussare a ciascuna porta – i risultati erano così deludenti che abbiamo iniziato a concentrarci sui temi più diffusi: armi o poligoni sotterranei, e poi abbiamo iniziato ad esplorare la scena sadomaso” dice Seidl.

Ed ecco che in Austria nel silenzio e nell’oscurità del seminterrato, luogo dedicato al tempo libero, si compiono pratiche scabrose e di solito negate-nascoste-limitate nel vivere quotidiano.

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Una peculiarità di Seidl, e in special modo presente nel film Im Keller, è il mix di finzione e realtà calibrato secondo l’occhio del regista. Tra battute maschiliste e sessiste, sesso sadomaso, culti nazisti, mobilia kitsch, caccia fiera, c’è una donna che nasconde in cantina delle bambole che di tanto in tanto va a coccolare. “La donna con le bambole è un buon esempio di come, dato il mio approccio alla realtà, la narrazione filmica è a volte inventata. Quella donna aveva davvero una bambola straordinariamente realistica in casa, ma non nella cantina. La storia raccontata nel film (…) è finzione. Solo la location è reale. Le scene sono state girate nel suo attuale seminterrato”. Una delle storie del documentario su cui si poggia forse lo sguardo più schernitore – se fosse reale – non è altro che una rielaborazione personale di Seidl.

Questa modificazione della materia ricercata è la misura del cinema dell’autore austriaco, affascinato da quei luoghi fisici modellati quasi in antitesi al luogo sociale e mostrabile del salotto. Dalla fascinazione antropologica di Seidl si creano immagini e narrazioni davanti alle quali non si sa bene se ridere o piangere.

Un’idea, quella di sondare e reinterpretare gli abissi dell’immaginario austriaco, che risale ai tempi di Dog Days (Canicola, 2001 – vincitore del Premio della Giuria alla mostra del cinema di Venezia), quando insieme alla sua crew esplorava i sobborghi, lo sviluppo abitativo, i deserti urbani.

“Più case visitavo con le rispettive cantine e più mi rendevo conto che le seconde erano concepite con più stravaganza dei soggiorni e che gli abitanti di queste dimore preferivano i seminterrati alle abitazioni soprastanti, spendendo più tempo lì. Il soggiorno era solo per fare scena. Questo concetto era nuovo per me, una nuova presa di coscienza”.

Nei cinema tedeschi dal 4 dicembre.

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