Io che amo e lavoro con la musica elettronica, detesto le droghe e condanno i club

«Le droghe? Nei club è la norma, e non potrebbe essere altrimenti. Certa musica elettronica va ballata così, senza non raggiunge il suo completo potenziale. Chi l’assume, e io l’assumo abbastanza spesso, ne conosce bene i rischi.» Una chiacchierata sulla vita notturna nei club di Berlino.

«Io conosco gli effetti della Speed, so quanto prenderne e dove e quando comprare. È sull’acquisto consapevole che si deve lavorare, senza demonizzare e fare finta che il fenomeno non esista. Nella vita quotidiana ci sono tante altre contraddizioni nocive alla salute della persona, ma sono legali e quindi nessuno le condanna come forse sarebbe giusto fare. Il Cocoricò? Non so cosa sia, ma è una storia della norma, molti club sono pieni di sedicenni e diciassettenni che si atteggiano a fare i grandi».

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L’approccio alla serata

Markus L. studia filosofia a Stoccolma, parla tre lingue straniere (inglese, francese, arabo, ma anche un po’ di italiano), ha 23 anni e frequenta i club da sempre. Non solo in Svezia. Tutte le estati degli ultimi 5 anni le ha passate a Berlino. «Ha la migliore vita notturna di tutta Europa, i club non chiudono mai, costano poco e la qualità della musica è eccezionale». Di giorno – ma a volte anche la sera – lavora in un ostello del centro come barista. Alto, magro, carnagione chiarissima, viso dai tratti spigolosi e capelli color cenere, Markus non è il tipo che va in discoteca per rimorchiare: «Chi lo fa nei club dove suonano elettronica o techno non ha capito molto. Nei club si va per la musica, e perché no, per le droghe. La combinazione tra le due è fondamentale. Riesco a passare una bella serata anche senza drogarmi, ma se accade cerco di vivere il tutto come un’intensa esperienza di vita one shot e non come una dipendenza». Accanto a Markus, durante l’intervista (siamo fuori dal Suicide Circus, Berlino, vicino a dove un tempo passava il muro) c’è Aaron G., australiano di Melbourne, 28 anni, suo caro amico. Finora ha ascoltato la nostra conversazione in silenzio, annuendo ogni tanto finché non prende la parola: «Certa musica nasce appositamente per chi fa uso di droghe. Altra, anche elettronica, è godibile a prescindere da ciò che uno assume. A me piace e penso di essere in diritto di fare ciò che voglio del mio corpo fin tanto che non do fastidio a qualcuno, cosa che non accade mai». Entriamo. Ad accompagnarci c’è Simone Mancin, dj torinese del duo elettronico Synästhesie: «In base a come si muovono e ballano le persone è facile capire cosa abbiano assunto. Sono abituato a fare l’osservatore. Sono l’eccezione che conferma la regola. Non mi drogo, ma frequento questo ambiente da quando ho quattordici anni. Purtroppo gli stupefacenti caratterizzano la vita del clubber. Nel corso degli anni i prezzi sono scesi molto e sono ormai accessibili a chiunque, qui a Berlino poi sono ancora più economici rispetto ai club italiani. Si può comprare Speed a 10 €, Ecstasy a 7 € e Ghb-Gbl (quella che in Italia viene chiamata la “droga dello stupro” ndr) a 10 € a dose sempre che non la si trovi gratis grazie a qualche conoscenza».

I club e la droga

Lo staff delle serate tollera l’ingresso di droghe e spacciatori? «Si, non sempre, a volte non ne sanno nulla, ma quando accade è anche perché non vogliono saperlo». La cronaca ci dice di sì. I locali chiusi perché al loro interno lo spaccio di droga era o tollerato o addirittura direttamente gestito, sono continui. «Le droghe nei locali ci sono e non ci arrivano per caso. Spesso sono gli stessi organizzatori ad avere spacciatori di fiducia all’interno del locale. Non so se gli viene data una percentuale o se è importante la loro presenza affinché chi, oltre alla musica, cerca droghe, possa stare sicuro di trovarle e di passare una serata come se l’è immaginata. C’è spesso – non sempre – una collaborazione tra le due parti. Credo ormai che si sia arrivati a un punto di non ritorno, per troppe persone la vita nei club è questa e fa fatica ad immaginarla diversa, fatta solo di musica. E dire che a me basta un pezzo di Stephan Bodzin per sorridere e passare sereno una decina di minuti». La soluzione? Secondo Emiliano Di Clemente, 24 anni, altro membro del duo: «Quella della droga è una tematica che tocca trasversalmente tutti i club di musica elettronica e techno. Nel lungo periodo deve essere affrontata con tanta informazione, nel breve offrendo assistenza fuori dai locali. Più medici, meno bouncer». Chiacchieriamo con un paio di ragazze davanti ai bagni, unico luogo in cui si riesca a parlare senza strillare. La fila è abbastanza lunga, ma non sembrano molto interessate a parlare. «Stiamo qui, oggi, solo per goderci la serata. Domani? Staremo a letto, poi forse riusciremo. Con il timbro possiamo stare qui fino a lunedì mattina». Secondo Marco Zac, fondatore dell’organizzazione eventi Four on the Floor: «Tempi addietro drogarsi era parte di una cultura, con la musica elettronica le cose non sono diverse. Forse l’unica cosa che cambia è l’approccio del consumatore alle sostanze, drogarsi è diventata una tendenza, molto più di quanto lo fosse tempi addietro». Quella stessa ansia di vivere che spingeva i giovani del primo ‘900 ad una vita dedita all’eccesso o quelli degli anni ’60 inneggianti la libertà e sprezzanti ogni forma di violenza e di capitalismo si è trasformata in un inno al consumo sintetico scevro di ogni poesia e rivolto solo all’immediato.

Un approccio diverso è possibile, ma il problema esiste

L’amore per la musica elettronica non è amore per la droga. «Il pregiudizio è continuo. Il pensiero generale di chiunque guarda le cose dell’esterno, senza conoscerle davvero, è che se passi le serate in un club fino all’alba è perché ti droghi. Non è così. E non lo è sia per me che per tanti miei amici. Al massimo beviamo un paio di Club Mate. Quando si ama la musica elettronica la si ama a prescindere, è un interesse che si coltiva come la passione per lo sport, la cucina o l’arte. Io potrei passare interi pomeriggi in un negozio di dischi. Colleziono vecchi vinili e supporto gli artisti emergenti come posso. Il club è solo il mezzo attraverso cui la musica viene proposta» spiega Marta D., 22 anni. «Ovviamente ogni città e nazione ha la sua micro realtà. Quando ho vissuto a Londra le droghe non mancavano, ma i controlli all’entrata e all’interno del club erano molto frequenti e rigidi. Qui a Berlino le politiche sull’outfit, come ci si deve vestire e come non, sono più severe del controllo di eventuali pasticche o altro nelle tasche. Forse chiudere i club almeno alle sei di mattina, e non lasciarli andare avanti per tutto il weekend come accade, potrebbe essere un buon modo per arginare l’abuso di droghe all’interno dei locali». Secondo Matteo Roma, conduttore M2o e autore per dj Mag: “La droga è tollerata eccome. Dj, staff, organizzatori, clienti ne fanno uso abituale. Solo quando i traffici illeciti vengono scoperti, i giudizi e i proclami dei più perbenisti condannano il fenomeno. Il declino di responsabilità è la regola. La società è ricoperta di ipocrisia, tutti sono pronti a sentenziare condotte che fino al giorno prima tenevano. In realtà maggiore tolleranza l’ho vista all’estero, in Italia si è ancora abbastanza severi. Tendenze o meno sembra che il denominatore comune dell’assunzione delle più svariate misture di morte sia solo uno l’ “ansia di vivere”. La stessa che spingeva i giovani del primo ‘900 ad una vita dedita all’eccesso e alla poesia. O quelli degli anni ’60, fautori di pace e di libertà perpetua, sprezzanti verso ogni forma di violenza, e di capitalismo. Per non parlare di quelli degli ’70 e ’80 il cui slogan di vita era costituito da tre vocaboli, “Sex, Drugs and Rock’n Roll.”

Come si entra nella dipendenza

Spiega Cristina Nardini, psicologa di Roma specializzata nello studio sui disturbi giovanili. «Ciò che spinge i giovani – sia quelli degli anni ’70 e ’80 che associavano i concerti punk e rock con la somministrazione di eroina in vena, e quelli di oggi che sostituiscono al rock e all’eroina, la musica elettronica e le droghe sintetiche – è la necessità di ricerca di un piacere immediato, palpabile e alla portata di tutti, in ogni momento in cui la frustrazione e insoddisfazione prenda il sopravvento. La soddisfazione che si prova dall’assunzione delle droghe sostituisce quella che un giovane dovrebbe provare da un successo scolastico, professionale o sentimentale. Il cervello questo lo recepisce e, soprattutto, lo associa. L’associazione causa/effetto che crea è droga = piacere. Ed il risultato, a livello fisico, è devastante, peccato che loro non lo sappiano». Per loro conta solo l’oggi. È questo, spesso, l’unico orizzonte possibile.

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Photo: © andronicusmax CC BY SA 2.0