La Germania è la meta più ambita dai rifugiati. Per andare avanti però l’UE deve fare ordine a livello normativo

La primavera mite che ha caratterizzato il 2014 ha permesso che gli sbarchi di immigrati provenienti dalle coste meridionali del Mediterraneo riprendessero prima del solito e con maggiore intensità rispetto agli anni precedenti. I dati sui rifugiati in Europa diffusi dall’Agenzia Onu per i Rifugiati spiegano come siano stati oltre 207.000 i migranti africani che hanno tentato di raggiungere i litorali di Italia e Grecia negli scorsi 12 mesi: una cifra quasi tre volte superiore alle 70.000 persone fuggite durante le primavere arabe. A conferma, sembra, che il Mare Nostrum, così battezzato dalle operazioni militari di salvataggio dei migranti, si riveli sempre più un monstrum divoratore di speranze, in cui la longue durée delle biografie annegate manifesta un’angosciante continuità.

Le epopee lampedusane hanno avuto il merito, nonostante tutto, di attirare l’attenzione sul dramma che bussa alle porte dell’Europa, scuotendo il torpore delle coscienze nei confronti dei protagonisti dei cosiddetti viaggi della speranza.

L’UNHCR ha utilizzato, a questo proposito, un’espressione efficace e priva di dispute lessicali: “colossale catastrofe umanitaria”. Espressione che apre gli occhi, forse, su una vicenda umana quantitativamente e mediaticamente imponente, che lascia poco spazio alle interpretazioni e che non coinvolge, vale la pena ricordarlo, solo l’Africa settentrionale.

Cosa emerge? Secondo i numeri pubblicati dalla stessa UNHCR, i conflitti in Libia, in Siria e in Ucraina, la destabilizzazione del Medio Oriente e l’avanzata dell’Isis hanno costretto più di 40 milioni di persone a fuggire dalle loro case. Nel corso del solo 2013, 612.700 migranti hanno fatto richiesta d’asilo in una delle 44 nazioni industrializzate. Di queste, gli stati europei rappresentano la principale meta di chi arriva via mare.

Gioverà al lettore far presenti alcuni dati oggettivi: i paesi di provenienza dei rifugiati che maggiormente emergono dalle statistiche, sono Siria, Federazione Russa, Afghanistan, Iraq, Serbia e Kosovo. In tutti e 5 i casi, la Germania si registra sempre fra le prime destinazioni (preferita, oggi, anche agli Stati Uniti): 109.600 domande totali, di cui 15.000 solo dalla Federazione Russa. Segue a distanza la Francia, con 60.000 richieste, e poi la Svezia (54.300). L’Italia è solo sesta in Europa come paese di accoglienza dei richiedenti asilo: nel 2013, sono state registrate 27.800 nuove domande, cifra nettamente inferiore rispetto al numero degli sbarcati (circa 43.000).

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Insomma, non si va più in America. Ma non si va più nemmeno in Italia: anche quando vi si arriva, ci si dirige poi altrove.

Ciò che oggi maggiormente determina le domande d’asilo, al di là dei network sociali preesistenti, sembra essere, piuttosto, la situazione economica del paese di destinazione. Italia, in negativo, e Germania, in positivo, dicono forse qualcosa sull’impatto che la crisi ha avuto sul fenomeno migratorio.

Anche in questo caso occorre fare i conti con un curriculum politico, quello italiano, che non ha mai maturato una legge organica sull’accoglienza, ma solo regole flessibili. Per quanto il salvataggio in mare funzioni oggi meglio che in passato, manca ancora una logica dell’integrazione. Non meno di due anni fa, dopo aver paventato pugno duro nei confronti degli sbarcati, l’Italia concedeva alla maggior parte di essi il cosiddetto “permesso temporaneo per ragioni umanitarie”: la più debole delle figure giuridiche della protezione internazionale. Appellandosi, da un lato, alla libera circolazione per i migranti, e dall’altro lasciando che fossero gli altri stati europei a prendersene carico.

In generale, per quel che concerne il contesto europeo, pare quasi che la retorica dell’emergenza che invoca qua e là misure straordinarie e flessibili e finanziamenti dall’estero, prenda sempre più il posto, piuttosto che lasciarlo, di una presa di coscienza dell’impreparazione. D’altronde, si sa, l’accoglienza non ha mai portato consensi.

La questione rimanda ad un serio nodo politico che riguarda l’intero continente: la gestione delle domande d’asilo è diversa da paese a paese. Le decisioni di primo grado possono trasformarsi, in ultima istanza, in concessioni dello status di rifugiato, di protezione sussidiaria o di semplice permesso di soggiorno per motivi umanitari.
Tant’è. Eppure alcuni stati hanno accolto rifugiati in misura notevole. Non è un caso che il maggior numero di decisioni finali positive in materia d’asilo si registri, ancora una volta, in Germania e Svezia (entrambe circa 26.000 nel 2013, contro le 14.500 italiane).

Il Bel Paese, insomma, così come Spagna e Grecia, benché nazioni destinate tutte ad un ruolo di ponte tra le sponde del Mediterraneo, sono riuscite a tenersi al riparo dai grandi flussi dei migranti. Sarà forse per questo che gli altri Stati stanno cercando di riequilibrare la situazione attraverso le Convenzioni di Dublino, obbligando il primo paese in cui i richiedenti asilo vengono registrati ad occuparsi della loro accoglienza.

Ovvero sia: in un’Europa che ha abolito i confini interni, il “carosello dei dublinati” fa sì che non esista ancora una gestione condivisa del problema-asilo.

Forse allora l’Italia, che pure difficilmente potrebbe beneficiare di una qualche forma di dossier sull’immigrazione in Europa, non è l’unico paese a voler “mollare il colpo”. Sì, perché la logica più frequente, di chi anche sembra immacolato, è quella del “non è possibile accoglierli tutti”. Il senso è lo stesso dell’opzione lanciata qualche mese fa dal Ministro degli Interni tedesco Thomas De Maiziere, che proponeva di distribuire meglio i migranti per alleggerire chi è più colpito dagli arrivi. «La Germania è fra i Paesi UE che accolgono più profughi, non possiamo più farlo».

Il presidente del Consiglio Europeo Martin Schulz ci ha comunque tenuto a specificare che la sua Germania, locomotiva europea ricca e solida, debba dare un contributo forte ed assumere un ruolo di leadership anche nel tema dell’immigrazione.

Incredibile ma vero, in nessun testo normativo è previsto che l’obbligo di accoglienza umanitaria si interrompa una volta superata una certa soglia nel numero di accessi. Ma non solo: occorre forse ricordare, anche, che all’epoca delle guerre jugoslave, l’Italia aveva dato asilo a 77.000 rifugiati. E il paese non ne era stato sopraffatto, né abbattuto. Perché oggi dovrebbe succedere?

Beninteso, si sta solo parlando di dettagli. Dai quali tuttavia si rinviene una forte contraddizione tra diritti umani e regolazione del fenomeno migratorio, in un gioco politico caratterizzato un giorno dalla creazione di barriere e gerarchie, il giorno dopo dalla loro messa in discussione. Quasi che l’orgoglio del territorio sia rimasto il barlume ultimo di ciò che rimane della sovranità nazionale.

la foto dell’articolo è © United Nations Photo  / CC BY-NC–ND 2.0