Lavorare nella ristorazione italiana oggi a Berlino

di Isotta Ricci Bitti

«No, no, non ci sto più insieme. Litighiamo come cane e gatto, quindi sono venuto qua perché tanto in Sardegna non c’è niente da fare. Quella si aspetta che mantenga lei e il bambino, ma io lo so che è a casa di sua mamma a non fare niente. E io qua a lavorare tutti i giorni». M. è nato a Lanusei, in Sardegna, ha appena compiuto vent’anni, ed è arrivato a Berlino da tre settimane. Dal collo della maglietta spunta un tatuaggio, sono numeri scritti in caratteri gotici: 8.8.2013. La data di nascita di sua figlia. Oltre a quella bambina, non è rimasto molto che lo lega all’Italia. Berlino è una prova, un esperimento, una speranza. Gli hanno detto che si trova lavoro anche senza parlare tedesco e “di rimanere in Sardegna, non se parla proprio”, ripete. Per il momento abita in un ostello a Schöneberg, dove divide la stanza con altre sette persone. Otto euro a notte, dieci il weekend. Lavora come lavapiatti in un ristorante italiano vicino a Kurfürstendamm, a Berlino ovest. “Trovare è stato facile” ammette, ma l’euforia è finita in fretta. Due giorni di prova non pagati e poi quattro euro l’ora per i primi mesi, queste sono le condizioni. “La lavastoviglie ovviamente non funziona, ma se ne fregano”, racconta. Le sue mani sono rosse e screpolate, e il suo volto da ragazzino porta già tutti i segni di quello che gli è capitato l’estate scorsa, e della sua nuova occupazione.

Maggio 2014: la Germania discute l’approvazione del salario minimo per tutti i lavoratori dipendenti. Un passo importante, se consideriamo che il salario minimo era già previsto in ventuno dei ventotto paesi europei, anche se calcolato e applicato con diverse modalità, e visto che la Germania è storicamente nota per avere sempre lasciato le parti sociali libere di contrattare in materia. La legge dovrà essere varata dai deputati di Bundestag e Bundesrat entro l’estate, per poi entrare in vigore dal primo gennaio 2015. Si tratta di un provvedimento che ha provocato molte contestazioni tra gli economisti della BDA (Bundesvereinigung der Deutschen Arbeitgeberverbände), la Confindustria tedesca. Gli stessi economisti avvertono che questa nuova legge potrebbe determinare proprio il contrario di quanto auspicato, e cioè la perdita di molti posti di lavoro o la diminuzione di molti stipendi. Secondo gli esperti si tratta, infatti, di una misura ingiusta a livello nazionale, poiché nell’ex Ddr, ancora oggi, si guadagna meno che in Germania Ovest, dove spesso il salario supera gli 8,5 euro previsti in futuro, e dove molti datori di lavoro potrebbero approfittarsene, abbassando gli stipendi. Il consenso tra i tedeschi sfiora invece l’80%, ed è proprio questo che ha convinto i socialdemocratici a entrare nella grande coalizione, anche se la cancelliera avrebbe preferito una diversificazione per categoria affidata ai Laender. Quel che è certo, è che nel disegno di legge sono esclusi i disoccupati che non lavorano da più di un anno nei primi sei mesi di reimpiego, mentre sono inclusi i diciottenni e i praticanti in stage. Secondo la stima dell’istituto di ricerca Diw, saranno ben 3,7 milioni di lavoratori a beneficiare della nuova legge, molti dei quali residenti nei Bundeslaender Orientali.

“Sono appena arrivato. Ero a Monaco prima”, racconta L. che ha trentun anni e viene da Licata, Sicilia. “A Monaco si lavora notte e giorno. Sono stato lì cinque mesi con un contratto da pizzaiolo da 1800 euro al mese, ma a lavorare dalle dieci di mattina alle due di pomeriggio, e poi dalle quattro alle due di notte, sette giorni su sette, non ce la facevo più. Voglio vedere se qui a Berlino va meglio. Ora però non posso aspettarmi che mi facciano un contratto subito, lo so che non funziona così, ma piano piano…”. Anche lui a Berlino lava i piatti. La paga è di cinque euro l’ora. Gli piacerebbe continuare a svolgere la professione di pizzaiolo, ma, al momento, questo è l’unico lavoro che ha trovato. Ha un parente che ha accettato di ospitarlo e col tempo spera di trasferirsi in un appartamento da solo. Visto il suo nuovo stipendio, l’ottenimento dell’Hartz IV (il sussidio di disoccupazione che è possibile chiedere dopo tre mesi dall’arrivo a Berlino) è la sua priorità. “Ovviamente non posso dichiarare questo lavoro” dice. “Almeno non subito: devo pur iniziare in qualche modo e mettere da parte i soldi per l’appartamento… Poi ovvio, se mi faranno un contratto vero e proprio, anche meglio!”. In Sicilia faceva il contadino: “non c’è altro da fare là adesso, è deprimente. Se non conosci qualcuno, non fai nemmeno quello”. Ha la terza media, parla italiano e un po’ di tedesco, che ha imparato nella cucina della pizzeria dove lavorava a Monaco.

Così, mentre la Germania si appresta al cambiamento epocale del salario minimo, negli ultimi 10 anni il numero dei giovani emigranti italiani è più che raddoppiato. Chi ha la licenzia media rappresenta la maggioranza degli emigranti con il 37,9%. È più che raddoppiato anche il numero di laureati, dal 11.9 fino al 27,6% nel 2011. I giovani laureati partono per aumentare le possibilità di trovare un lavoro che in Italia non esiste, non è pagato o ancora non si trova. Chi ha una formazione accademica va soprattutto in Gran Bretagna, Svizzera, Germania e Francia. Chi lascia l’Italia però non è sempre specializzato o ha una laurea alle spalle, e sembra che le migrazioni del passato, quelle degli operai non qualificati o di giovanissimi che partono allo sbaraglio, alla ricerca di una vita migliore, stiano tornando in auge, meno silenziose di quanto si immagini. Dato che il settore della ristorazione è quello prediletto, gli italiani vanno a Monaco, a Baden-Baden, a Stoccarda, a Friburgo, ovunque si possa lavorare nel terziario, e poi arrivano fino a Berlino e Amburgo. È molto difficile calcolare il tasso di occupazione e conoscere le condizioni lavorative con precisione, perché spesso, chi arriva in Germania, abita in ostello e non si registra, non parla tedesco, e all’inizio, quasi sempre, lavora in nero. Anche nel caso di Berlino, se non ci sono parenti o amici già residenti in città che possano dare una mano con i documenti più importanti, i tempi per la regolarizzazione si allungano ancora di più.

Il numero dei giovani italiani sembra crescere di un migliaio ogni anno, complici l’attrattiva degli affitti bassi e la qualità della vita offerta dalla capitale tedesca. La migrazione è quasi sempre legata alla paura di “rimanere bloccati”. Chi viene dalle regioni del Mezzogiorno spesso vuole scappare, più che realizzarsi professionalmente. “Io sono arrivata perché il mio ragazzo era già qui. Suo padre era venuto qui vent’anni fa e poi lui l’ha raggiunto. Non mi andava di rimanere a casa a piangere perché mi mancava. E poi non avevo niente da fare” dice G., ventun anni, sempre siciliana. “Sono qui da due mesi e non ho visto niente di Berlino, solo la strada che va dalla casa del padre del mio ragazzo al ristorante dove lavoro. Ah, e l’Europa Center. E Primark! Quello è una bomba. Compro le camicie per lavorare a cinque euro”. Se si pensa a chi emigra oggi a Berlino, si pensa ai nativi digitali, a chi in Italia non può svolgere le professioni per cui si è preparato all’università. Basta scavare un po’, e sotto la superficie della Berlino hype, dell’avanguardia startuppara, delle società dell’innovazione, dei cervelli in fuga forgiati in master all’estero e che parlano almeno tre lingue, si trova molto di più. “Un computer? Macché, mai avuto” ride G.. “Ho questo Samsung e ci faccio tutto. Ma senti… Come faccio a trovare casa? Col mio ragazzo e suo padre mi son già rotta”. Il passaparola e gli amici sono l’unica salvezza in questo caso. Ma G. è qui da sola, e non conosce nessuno che parli tedesco a parte il padre del suo ragazzo. Navigare su WG-Gesucht, il sito web più utilizzato da chi cerca un appartamento condiviso a Berlino, o telefonare ad annunci trovati sul giornale non è possibile per lei, perché non parla né tedesco né inglese. Lavora come barista in un ristorante italiano gestito da due siciliani del suo paese, emigrati a Berlino più di vent’anni fa, e guadagna cinque euro all’ora. Le hanno detto che “senza esperienza per il contratto deve aspettare”. Ha un sacco di domande e soprattutto ci tiene a precisare che vorrebbe andare dal ginecologo. L’ansia le ha fatto venire un’infezione alle vie urinarie e non sa cosa fare. Racconta che la seconda settimana si è tagliata mentre asciugava i bicchieri, che l’hanno medicata sul posto, senza portarla in ospedale “perché non era grave”. “Mi hanno messo un po’ di Vecchia Romagna sul polso e via, adesso sta già cicatrizzando, ma mi sono spaventata”. Lavorare in nero nella ristorazione comporta spesso rischi altissimi, come non avere un’assicurazione sanitaria, ma per molti italiani come G., non è possibile agire altrimenti.

Oggi non esiste un registro valido degli italiani a Berlino. L’AIRE, Anagrafe Italiani Residenti all’Estero, riesce a contarne forse meno di metà, perché un italiano su due non si iscrive. Berlino è piena di volti nascosti, persone che rimangono nell’ombra fin quando possibile, e poi si spostano di nuovo. Rimanere al confine tra la legalità e l’illegalità, in una città dove quasi ogni documento ufficiale è autocertificato, è possibile. Tuttavia, il settore della ristorazione italiana, come molti altri, è in crisi, e non riesce più ad assorbire tutti quelli che arrivano. Sono moltissimi i ragazzi italiani che arrivano a Berlino senza un titolo di studio e vogliono lavorare proprio in quel settore, ma la realtà che trovano non è tanto distante da quella che hanno lasciato in Italia, e le condizioni lavorative sono molto dure per chi riesce a trovare qualcuno che lo assuma. “Berlino non mi piace. È una città grigia, pensavo fosse diversa. Sono tutti sfruttatori. Però meglio che stare in Calabria. Lì sanno tutto di tutti. Io ho fatto mia figlia a quindici anni e non sto più col padre. Qui mi sono potuta fare una vita nuova, anche se a volte mi sento molto sola.” racconta F., ventun anni, di origine calabrese. L’aria di libertà che si respira a Berlino è reale, e i nuovi migranti italiani che arrivano hanno molti tratti comuni: l’età, tra i diciannove e i trent’anni, la mobilità estrema e la voglia di cambiamento. Ciò che li differenzia è avere finito le superiori, avere una laurea e possedere un computer. Simili nelle speranze, ma ancora profondamente diversi nel background culturale d’origine. Il rischio è che il gruppo più grande e significativo, quello di chi non si riesce a integrare nello stato tedesco, di chi lavora nei settori ormai non più redditizi, come quello della ristorazione italiana, rimanga nascosto, e si continui a parlare solo di chi è stato più fortunato, e una possibilità, a casa come all’estero, forse ce l’avrà sempre.

(I nomi di tutti i protagonisti di questa storia sono stati modificati per proteggere la loro privacy)

*Isotta Ricci Bitti è nata il 29 novembre 1987 a Castel San Pietro Terme. Sagittario. Ha studiato Scienze Politiche e prima di trasferirsi stabilmente a Berlino nel 2012 ha vissuto a Imola, Rimini, Dublino, Parigi, Milano, Sarajevo e Pristina. Amante dei Balcani e delle teorie del complotto. Esperta di Social Media, PR e Project Management. Genuinamente dotata nell’arte del procrastinare. Convinzioni personali: le opinioni vanno espresse, sempre; l’arroganza è il peggior difetto; la calma la migliore qualità.

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Immagine di copertina: Vecchie insegne nella stazione FS di Laveno-Mombello © Arbalete – CC BY-SA 3.0