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5 cose da sapere assolutamente per lavorare in regola nella gastronomia in Germania

Lavorare nella gastronomia in Germania, ecco le istruzioni per l’uso

Chi scrive sa bene di cosa si parla quando si tratta di condizioni di lavoro “opache” a Berlino, un po’ per averle vissute e un po’ per averle studiate. Siccome gran parte di questa opacità è determinata da informazioni scorrette (raccontate anche qui) , ecco le 5 regole di base per lavorare in regola in Germania e evitare che il proprio lavoro diventi un rischio per sé e per gli altri.

1. Mettere tutto per iscritto

La prima regola per lavorare in regola è la più importante e la più semplice da ottenere: infatti perché venga messa in pratica un dipendente non deve fare proprio nulla. L’obbligo di mettere per iscritto le condizioni fondamentali di lavoro è un obbligo del datore di lavoro, come prescrive la legge tedesca sulla documentazione, la Nachweisgesetz. Due infatti sono le situazioni in cui dovreste trovarvi quando venite assunti:

a) il vostro chef stipula il contratto per iscritto (di gran lunga l’opzione più trasparente per entrambe le parti)

b)  voi e lo chef stipulate oralmente le condizioni del contratto. Questa cosa in Germania è perfettamente legale ma, in questo, il datore di lavoro è obbligato a consegnarvi un documento riassuntivo scritto firmato di suo pugno, il Nachweis, entro un mese dall’inizio del rapporto di lavoro e indipendentemente dal fatto che voi lo chiediate o no.

Se dopo un mese dall’inizio del rapporto di lavoro non avete niente né un contratto scritto né un documento riassuntivo, avrete almeno la garanzia che il vostro datore di lavoro sia o un po’ smemorato o direttamente in malafede.

2. Chiedere ( e pretendere) le ferie

Il datore di lavoro è obbligato a corrispondevi le ferie, che sono giorni di assenza da lavoro retribuiti, che non possono essere meno di 24 all’anno, calcolati su una settimana lavorativa di 6 giorni su 7. Capita purtroppo di frequente che le ferie però non vengano retribuite. Molti datori di lavoro anzi lo specificano tranquillamente già dal colloquio di lavoro e nella maggior parte dei casi sono gli stessi che non scrivono né un contratto né un documento riassuntivo. Questo è illegale: va contro quanto specificato nella Bundesurlaubgesetz (la legge federale sulle ferie). Ricevere le ferie pagate (lo sottolineo perché in gastronomia è prassi chiamare ferie dei giorni di assenza da lavoro non retribuiti) è un diritto inalienabile dei lavoratori dipendenti. Significa che se andaste al primo piano dell’Arbeitsgericht (il tribunale del lavoro berlinese, che si trova sulla Magdeburger Platz 1, ed è aperto dal lunedì al venerdì dalle 8:30 alle 13) dopo aver calcolato quante ferie vi spettano, il vostro datore di lavoro verrà invitato ad un appuntamento chiarificatore di li a qualche settimana. Di norma non si arriva mai a processo per questioni simili: nessun datore di lavoro è tanto sprovveduto da sostenere di fronte ad un giudice che il proprio dipendente non abbia diritto alle ferie. Perché non pretendere quanto ti spetta allora?

3. Pretendere il pagamento delle assenze per malattia

Dire che lo stipendio deve essere pagato anche in malattia è una cosa ovvia. Eppure sono molto frequenti i casi in cui dipendenti ammalati o addirittura infortunati sul posto di lavoro non vengano pagati. Questo è doppiamente grave quando si esercita una professione in cui si ci si trova continuamente a contatto con i clienti e con quello che consumano. Anche qui vale quanto detto per le ferie: non esiste tribunale o interlocutore di sorta che giustificherebbe un comportamento simile da parte del vostro datore di lavoro, quindi se vi imporrete otterrete giustizia e aiuterete gli altri (di norma quando un dipendente pretende quello che gli spetta anche gli altri ne traggono beneficio). La legge sulle modalità di pagamento dello stipendio in malattia, la Entgeltfortzahlungsgesetz, è molto chiara. Perché rinunciare quindi?

4. Pretendere – e garantire – il preavviso di licenziamento

Il principio generale è semplice: durante il periodo di prova il preavviso di licenziamento è di due settimane. Successivamente è di 4 settimane, da comunicarsi al 1 o al 15 del mese. Spesso però si arriva al limite della sopportazione senza proferire parola e poi si va via sbattendo la porta o, se si lavora in ristorante, ci si sfila furiosamente l’odiato grembiule, lo si appallottola e lo si lancia via in maniera plateale, magari imprecando contro clienti, colleghi e ovviamente, il proprio ex-datore di lavoro. Un discorso simile vale per certi datori che, in preda a delirio d’onnipotenza, licenziano un dipendente dall’oggi al domani tuonando senza rifletterci troppo: “Tu domani puoi anche non farti vedere!”

Ecco, anche se l’ego di ciascuno ne risulta un po’ sminuito, le cose non stanno proprio così: esistono certo casi in cui il licenziamento senza preavviso è giustificato. Rappresentano però l’eccezione. La norma è il preavviso di licenziamento, magari preceduto dalle lettere di avvertimento che, contrariamente a quanto si pensa, non sono solo uno strumento esclusivo del titolare. Vi stupirà infatti scoprire che anche i dipendenti possono scrivere lettere d’avvertimento al proprio titolare per comunicargli cosa non va. Certo, se escludiamo Facebook, non ho notizia di dipendenti che l’abbiano mai messo per iscritto le proprie rimostranze, ma in un mondo dove un datore di lavoro può sostenere senza battere ciglio che “Qui non si danno ferie” non mi stupisco più di niente.

5. Pretendere rispetto sul posto di lavoro

Finora ho solo elencato alcuni dei punti più delicati e sui quali troppo spesso si fa confusione. Naturalmente ne mancano tanti altri (uno su tutti “Non accettare buste paga inferiori al tuo stipendio”). Ma il punto più interessante è certamente questo: pretendere rispetto per sé stessi. Questa massima, che ricorda un po’ lo stile della famosa pubblicità di un balsamo per capelli, quella del perché voi valete, si applica benissimo anche al tema della legalità sul lavoro. Per quale motivo dovreste infatti accettare un rapporto di lavoro illegale?

Sia quando si è vittima di un ricatto …

Alcuni dicono: “Perché sono obbligato: se al colloquio chiedessi quante ferie mi spettano non prenderei il posto”. Vero. Io stesso che ho lavorato in nero in gastronomia non ho avuto il coraggio di affrontare l’argomento al momento del colloquio e mi ci è voluto del tempo per capire quale ne fosse la vera ragione: non ero abbastanza sicuro di come funzionasse il sistema qui. In realtà, non sapevo assolutamente nulla di cosa fosse legale e cosa non lo fosse. Ma al di la di queste giustificazioni un po’ deboli (l’ignoranza è purtroppo una colpa), quello di cui parliamo è un ricatto da parte del datore di lavoro. Quindi trattiamolo come tale e iniziamo a parlarne in maniera costruttiva. Esistono infatti istituzioni italiane attive a Berlino (ComItes, ItalUil, Ambasciata) o circoli non ufficiali: partiti politici (PD, 5 Stelle), collettivi (Berlin Migrant Strikers) che saranno bel lieti di ascoltare questi racconti. Non ti fidi di nessuno? Odi tutto quello che “puzza” di sistema perché ti ha deluso? Capisco benissimo. Fonda (o fondiamo) un gruppo specifico: come nome propongo Bancone del Mutuo Soccorso: io ci sono. Giuro.

… sia quando si truffa il Job Center

Ma magari non sei stato ricattato, anzi, hai chiesto direttamente buste paga basse per prendere il famoso sussidio sociale. Nessun ricatto, quindi, ma un “semplice” accordo illegale. Benissimo. Ma allora ti dico, fatti bene i tuoi conti, perché o stai mettendo da parte quei soldi in nero per investirli in un ciclo di corsi intensivi al Goethe Institut, un fondo pensionistico privato o qualsiasi altro investimento sul lungo periodo o ti converrà essere ricco di famiglia. Alla lunga risulterà infatti chiaro chi tra te e il tuo datore di lavoro ha guadagnato di più dall’accordo: se lui si farà bene i suoi conti tra qualche decina d’anni avrà magari un ristorante in più. Tu invece nello stesso arco di tempo potrai ambire, bene che ti vada, ad essere chiamato per nome dal personale del tuo Job Center di fiducia.

In conclusione, sappiamo tutti quanto il discorso sia delicato e quanto poco si creda oggi nella possibilità di “cambiare le cose”, un’espressione che anzi sa sempre più di fregatura. Ma perché allora io sono sicuro che non lo sia? Perché ho visto quanto sia facile avere ragione del proprio datore di lavoro quando si parla di temi così ovvi. L’unico problema vero è non volerne parlare; non voler dedicare un minimo di tempo a capire dove sta la ragione e nel non rendersi conto che curandosi solo dei propri interessi, magicamente si finisce per fare solo quelli degli altri.

Per altre info: kurtzmaltese@gmail.com

 

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di Jacopo Riccardo Marghinotti

Photo: © CC 0 Pexels