Libeskind: “Berlino è spacciata, finite fantasia e creatività”.

“La nuova area attorno alla Hauptbahnhof è terribile”. L’aggettivo tedesco “schrecklich” rende bene l’idea della visione che l’architetto Daniel Libeskind ha della nuova zona in costruzione intorno la stazione principale di Berlino. Un’area che si sta trasformando in maniera completamente piatta ed omogenea, con i tempi lunghi, propri delle costruzioni di grandi complessi immobiliari. Il piano di sviluppo intorno allo scalo principale della città, inaugurato in fretta e furia per i mondiali del 2006, da allora è un groviglio unico di gru e cantieri, ed i grattacieli che fan capolino dalle transenne non sono di certo un bel vedere.

Questa visione a quanto pare non è limitata solo al nuovo quartiere in costruzione: “Quello che a Berlino oggi manca è la fantasia e la creatività” dichiara l’architetto in un intervista al quotidiano Der Tagesspiegel, aggiungendo “la pianifiazione urbana è ormai piatta ed omologata”. L’autore del Museo Ebraico di Berlino che tanto care ha le tematiche legate al sociale, non ci dice in sostanza niente di nuovo. L’omologazione nella progettazione e la crescita delle città, legate più a logiche economiche che ad un disegno ragionato e funzionale, è un problema annoso e comune a tutte le metropoli contemporanee. Certo è che, in una città che ha solo venticinque anni di nuova vita, questa dinamica è molto più visibile. “Il punto sta nel trovare l’equilibrio nello sviluppo urbano e nell’altezza delle costruzioni e Berlino ha perso di vista questo obiettivo” continua l’architetto.

La bellezza è qualcosa della quale oggi non si parla più, sta scomparendo, e per quanto sia anacronistico parlare di spazi pubblici rinascimentali e della bellezza di città italiane come Firenze, in questo siamo d’accordo con Libeskind. Mi soffermerei forse sul concetto di creatività e della ricerca del bello, più che della bellezza in sé e per sé. Il senso dell’immaginazione estetica e l’idea potenziale di uno spazio che possa essere “bello” per vivere ed abitare: questo è quello che si è davvero perso, anche a causa della realtà virtuale con la quale viene disegnato e progettato il tutto.

“Il pericolo – continua l’architetto – è che se non si torna alla consapevolezza dell’architettura come disciplina artistica e arte pubblica, ci ritroveremo come gli omini dello schermo, in città che sembrano perfette nei render ma che sono orribili per vivere”. Ruolo fondamentale in questo campo lo giocano i burocrati e tecnocrati che sviluppano i piani regolatori in funzione di una città a misura di investitore. Berlino è un ottimo esempio sul quale soffermarsi a ragionare: con le sue aree libere ed un potenziale di crescita enorme viene portata verso appiattimento uniforme dei panorami e delle vedute.

E gli architetti che ruolo giocano? A questa domanda Libeskind risponde, come rispondono tutti i professionisti ai quali viene rivolta, che “gli architetti da soli in questo non possono molto”. In parte è vero, spesso sono il primo capro espiatorio di una bruttura visiva, di uno skyline che cambia (ed a volte lo sono) ma del lato etico della professione nessuno parla, e per quanto sappiamo bene che con l’etica non ci si nutra, la domanda sorge spontanea: e se fossero proprio loro, quelle che vengono chiamate sarcasticamente Archistar, a ridare all’architettura il genetico ruolo creativo ed artistico? Non è in fondo questo il ruolo di un disegnatore degli spazi e delle città?

L’architetto del pluralismo progettuale, che deve consentire la diversità e le differenze di disegno, parla di sviluppo urbano sostenibile, inteso non più solo da un punto di vista di biocompatibilità costruttiva ma soprattutto come sostenibilità sociale. Libeskind sottolinea poi la sua disapprovazione alla linea (quale? ci chiediamo) ed alle scelte urbanistiche che il Dipartimento allo sviluppo mette in atto. “Progettare una città sostenibile vuol dire, metterla nelle condizioni di potersi sostenere da sola, immaginando alloggi a prezzi accessibili e differenziati, per non creare disparità eccessive tra le diverse aree della città.”

“Occorre pertanto acquisire, continua Libeskind, un diverso senso di ciò che costituisce il valore di una città, tenere sempre attive le discussioni e le condivisioni con i cittadini, e puntare alla pianificazione partecipata, confrontandosi anche con realtà urbane diverse dalle nostre. La democrazia è la chiave di tutto”.

“Questa città rimarrà soffocata dal suo stesso sviluppo se non si ferma e non si rende conto che nei nuovi quartieri, come Potsdamer Platz, manca la vita”.

[adrotate banner=”37”]

A lungo la forza di questa città è  stata proprio il non avere un’identità definita. La contraddizione delle costruzioni e i differenti piani di sviluppo, attuati quando la città era divisa, hanno fatto sì che la ricostruzione post guerra avvenisse in modo non uniforme. Quello che ne è risultato è un’immagine variegata fatta di accostamenti, a volte improbabili esteticamente, ma soprattutto porta con sé una differente socialità fatta di stili di vita e atmosfere che convivono.

E oggi? A sentire Libeskind, Berlino è già spacciata, noi qualche chance gliela daremmo: esistono ancora “isole felici” che valgono la pena di esser studiate ed apprezzate, nonostante ci si muova verso questo mare di nulla architettonico.

 

ricerche a cura di: Z.Munizza, responsabile del progetto Berlino Explorer che organizza periodicamente esplorazioni urbane e guide tematiche alla città, per informazioni scrivere a z.munizza@berlino-explorer.com.

Foto © Regina Ploschies 55 CC BY SA 2.0

[adrotate banner=”37”]
15219630_939322122867316_1048813033620156316_n

SEGUI TUTTE LE NEWS SU BERLINO, SEGUI BERLINO MAGAZINE SU FACEBOOK

[adrotate banner=”34″]