La maglia a righe di Zara che ricorda l’olocausto ritirata dal mercato. Ecco cosa è successo.

Che se ne parli bene o male, l’importante è parlarne: mentre la polemica infuria sul web, la catena d’abbigliamento Zara ha deciso di ritirare il capo incriminato dal mercato. Ma ormai, la frittata è fatta: che si tratti della nuova frontiera delle strategie di marketing?

Il sito del Guardian ha pubblicato la notizia alle ore 11:51 di questa mattina; alle 16:38, digitando “Zara Sheriff t shirt” su Google, il motore rigurgitava circa 109.000 risultati; nel migliore dei casi, si trattava delle testate di tutto il mondo che si rimbalzavano la patata bollente. “Zara Sheriff”, questo il nome della maglietta oggi al centro dell’attenzione mondiale, con cassa di amplificazione viscerale dei social media: per esser precisi, la parte superiore di un pigiama per bambini dai tre mesi ai tre anni. Il design lascia spazio a ben pochi dubbi: le righe bianche e blu, la stella gialla sulla parte sinistra del petto ricordano le divise degli internati Ebrei nei campi di concentramento.

Tra i primi a notare la – palese – somiglianza, un giornalista israeliano: Israele figurava infatti tra i Paesi in cui il capo era in commercio. In seguito alla reazione dei media su scala internazionale, la catena di moda spagnola ha reagito allo sdegno collettivo ritirando la “Sheriff T-shirt” dal mercato, tanté che sul sito di Zara non ne è rimasta traccia. I portavoce della casa di moda si sono pubblicamente scusati via twitter, declinando in varie lingue lo stesso messaggio: fondamentalmente, il design s’ispirava alle stelle degli sceriffi del Far West (da qui il nome). Di fatto, sulla stella campeggiava la scritta “sheriff”, ma poco visibile (come alcuni osservatori hanno fatto notare) e a sei invece che cinque punte (http://www.devries.fr/2014/08/27/zara-goes-retro/?lang=en).

Non si tratta della prima volta che la catena spagnola Zara viene accusata di fare poca attenzione al politically correct, soprattutto quando si tratta di temi legati al razzismo: come alcuni ricorderanno, nel 2007 una cliente riportò sconvolta la borsa al negozio, dopo essersi accorta della presenza di una svastica neanche troppo nascosta dal design floreale; ma non serve andare tanto indietro per trovare la catena nuovamente nell’occhio del ciclone: un paio di settimane fa’ la scritta “WHITE IS THE NEW BLACK” in nero su sfondo bianco, da molti interpretata come razzista.

Tornando alla maglia dello sceriffo: certo, qualche differenza rispetto alle divise dei lager si può trovare, come il fatto che là le strisce fossero verticali e non orizzontali. Resta la domanda fondamentale, così declinata dallo Spiegel: “Die Frage, die jetzt gestellt wird, ist überall dieselbe: Was haben die sich dabei nur gedacht?”. Appunto, che cosa avevano in mente, mettendo sul mercato un capo tanto più vicino all’evidenza che all’ambiguità?

Ognuno è libero di trovare le proprie risposte: dalle teorie di cospirazione alle osservazioni degli indignati perenni, fino alla mancanza di buongusto e di tatto; della risma, sarà sempre pieno il web e non solo. Resta il fatto, che più si accende la polemica, più un punto emerge lampante: come (triste) strategia di marketing, funziona alla perfezione.

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