Di Muro in muro: l’Ucraina chiede aiuto a Berlino per fortificare il confine con la Russia

Che ci fosse in progetto di ergere un muro tra l’Ucraina e la Russia (un muro fisico, una barriera di mattoni e quant’altro) lo sapevamo da giugno. Quello che però c’invoglia a guardare da vicino la questione è il possibile intervento della Germania, alla quale il governo ucraino ha chiesto di fornire il know-how: in pratica, a 25 anni dalla caduta del Muro di Berlino, proprio ai tedeschi viene chiesto di dare una mano ad innalzarne uno nuovo.

La situazione in Ucraina ha costretto il Vecchio Continente a confrontarsi con l’interrogativo che aveva tentato d’ignorare durante i conflitti nei Balcani: è possibile che la guerra torni a tormentare l’Europa? Proprio l’Europa? Abbiamo capito che sì, non solo è possibile, ma anche che ciò permette di aprire un nuovo capitolo nella storia dell’ordine mondiale: azzardiamo l’ipotesi di una seconda Guerra Fredda? Non corriamo troppo, restiamo ai fatti: l’Ucraina sta vivendo un conflitto cui si cerca di porre fine. Da mesi si ventila la costruzione di una barriera impenetrabile tra i due Stati coinvolti: un muro alto due metri, spesso tra i 25 ed i 30 centimetri e soprattutto lungo 2.300 chilometri sul confine con la Russia, con tanto di metallo, filo spinato e corrente elettrica, a cui si aggiungano le mine antiuomo, laddove ciò non dovesse bastare. Una linea impenetrabile proposta all’amministrazione presidenziale ucraina da Ihor Kolomoisky, 51 anni, secondo uomo più ricco d’Ucraina (il suo patrimonio è stiamo intorno ai 4 miliardi di dollari) e uomo politico (Governatore della regione Dnipropetrowsk).

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Quando se ne parlava a giugno in via ipotetica, c’era chi accusava Kolomoisky di voler fare la figura del patriota per guadagnare consenso, chi si soffermava sulla necessità di portare avanti il progetto e chi invece rimpiangeva non lo si fosse già fatto da tempo. Il Moscow Times riportava anche le parole di una pensionata ucraina: “O costruiamo un muro e ci dimentichiamo della Russia, o permettiamo che questi pazzi del Donbass vivano sotto Putin. Preferirei il muro e sarei disposta a sborsare soldi di tasca mia per contribuire alla costruzione”. Pare che il progetto non abbia infatti conquistato solo il vertice, ma che abbia anche offerto l’occasione per mobilitare una campagna di attivisti ucraini pro-costruzione: come riportava il Vocativ, a metà giugno il gruppo facebook  pro-muro contava già 6.000 membri (oggi sono 6.590). Non solo, ma si erano già impegnati nel cercare ingegneri ed operai per tramutare il sogno in realtà. A capo dell’idea, il trentottenne Andrei Kamenyar che in una mail al Vocativ scriveva: “Putin è l’Hitler del Ventunesimo Secolo. Il nostro governo ufficiale non è in grado di proteggere il Paese, quindi noi cittadini comuni abbiamo deciso di farlo da noi. Noi abbiamo dato vita alla Rivoluzione di Maidan… Solo costruendo un muro come Israele ha fatto con la Palestina, o gli Stati Uniti con il Messico, possiamo proteggere i nostri figli dal nostro vicino dalla mentalità nazista.” L’attivista proseguiva poi con i risvolti patriottici ed economici del progetto, già definito “Idea Nazionale dell’Ucraina”: “L’economia avrà una bella spinta… progettiamo di realizzare questo muro in modo che divenga una mecca turistica e che ripaghi alla grande quanto speso. C’è già una proposta di chiamarlo “Il Muro della Pace” e di invitare gente da tutto il mondo a disegnare messaggi.”

Passano i mesi e la situazione si complica: all’insegna dell’escalation, l’Ucraina si sente il fiato sul collo e si torna a parlare di muro. Il 3 settembre il sito RIA Novosti riporta: “L’Ucraina progetta di costruire un muro lungo il confine con la Russia in sei mesi, il Governo di Kiev lo ha scritto nel suo National Renewal Plan, rilasciato mercoledì”. Seguono le parole rilasciate lo stesso giorno del Piano dal Primo Ministro ucraino Arseniy Yatsenyuk: “questa è la costruzione di un confine di Stato concreto tra l’Ucraina e la Federazione Russa.”. Quindi la decisione è presa: il Muro si fa! La Russia mette le mani avanti e diventa improvvisamente ambientalista, come ci dà modo d’intendere la Pravda il 12 settembre: “I leader ucraini non pensano né alla loro gente, né alla loro natura, ma noi dobbiamo pensarci. La propaganda americana potrà anche dividere le persone, ma non può dividere la natura.” Dice Mikhail Degtyarev, Deputy Chairman of the Duma Committee for Science and High Technology, chiedendo al Ministero Russo per la Natura e addirittura al WWF di studiare i possibili danni del muro, ostacolo notevole alla migrazione animale (oltre che umana). Pretese ecologiste a parte, nel frattempo la situazione è lievemente mutata: come fa presente il Die Welt: “Circa 400 chilometri di confine non sono attualmente nelle mani delle autorità ucraine. Laggiù sono i ribelli ad avere il controllo”: costruzione in loco rimandata a data da destinarsi. Intanto, hanno inizio i lavori della parte sotto controllo ucraino e inizia anche la polemica: pare che manchino i soldi e pare anche, soprattutto, che costruttori di muri non ci s’improvvisi.

Puntuale e preciso arriva allora l’appello all’Occidente, con maggior precisione alla Germania: sì proprio alla Germania, l’alleato che ha avuto il coraggio di denunciare apertamente le malefatte di Putin (Gauck), pur cercando la via del dialogo (Merkel). Il perno di questa Unione Europea vacillante, il giocatore internazionale che ha inviato le armi ai Curdi. La Germania, lo Stato che dal blocco commerciale verso la Russia sta emergendo danneggiato, non da ultimo per via della super produzione di mele di quest’anno. Portavoce della richiesta di aiuto è il Sindaco di Kiev, Vitali Klitschko, che lancia pubblicamente l’appello venerdì scorso a Berlino; non è chiaro il tipo di aiuto che è stato richiesto, più che entrare nel concreto si resta sul generico: “Abbiamo bisogno di sostegno tedesco di ogni sorta”. Amo lanciato, nelle acque di una città che attorno ad un muro ha visto la propria storia configurarsi.

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Ma è davvero tanto importante questo nuovo muro? C’è chi si diverte a fare la lista delle barriere fisiche più famose della storia: Grande Muraglia Cinese, il muro tra Palestina ed Israele, quello tra Messico e Stati Uniti, il confine tra le due Coree, il Vallo di Adriano (lungo il quale si combatte oggi una nuova battaglia politica) e, ovviamente, il Muro di Berlino. Come spesso accade, ci si dimentica le Peace Lines che attualmente dividono la città di Belfast secondo linee etnico-religiose. Tanti muri, tanta storia: esempi diversi di come una barriera fisica a volte sia sufficiente per proteggersi, altre volte diventi un simbolo di sicurezza, altrove di mancanza di libertà. Ma dal punto di vista pratico, sarà utile a fermare la minaccia russa? Interessante il titolo del Washington Post: “La Linea Maginot non fermò i Nazisti. Un muro potrebbe salvare l’Ucraina?” Come fra le altre cose che fa presente l’articolo, si tratterebbe di un muro lungo un confine di per sé ancora impalpabile: difficile tracciare con esattezza dove finisca il mio e dove cominci il tuo dopo che per anni non ce n’è stato bisogno. Un passo simbolico quindi, volto secondo gli esperti a cementare il cambiamento di orientamento dell’Ucraina e la rottura con la Russia; utile per fermare gruppi di persone, esso infatti ben poco potrebbe fare nei confronti di un’invasione armata con tanto di attacchi aerei (Sungurowsky allo Spiegel).

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Due sono le cose che al momento emergono sicure dalla vicenda: il ruolo centrale della Germania in Europa (Unione ed oltre) e come l’entità Stato pare essere tornata di moda; mentre noi Europei figli di Schengen respiriamo infatti un “mondo senza frontiere”, nel resto del pianeta i confini statali restano un punto di riferimento, un monito importante circa la natura dell’arena internazionale. A chi quindi dovrebbe fare più impressione o dare più fastidio la costruzione di questa nuova barriera fortificata? Questo nuovo tassello della cornice “Fortezza Europa”? L’impatto simbolico del nuovo muro veniva già sottolineato a giugno dal Courrier International: “Esistono anche delle barriere virtuali, invisibili ma robuste. Per esempio, la barriera immaginaria che separa, nella testa dei Russi, i valori democratici ed autocratici. Dove potrebbe dunque trovarsi il loro Check Point Charlie…? Probabilmente in Crimea…

 

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