Perché non dico che amo Berlino (io che vivo in Italia)

di Mr. Tambourine

Adoro quando Angelina Jolie completamente cosparsa di latte di soia mi chiede di migliorarle il record di Angry Birds mentre la delizio con la mia leggendaria imitazione del Diavolo della Tasmania, ma in mancanza di ciò mi piace anche quando la gente mi chiede quale sia la mia capitale europea preferita. Vorrei sempre rispondere “Berlino,” città per cui nutro una predilezione che deriva dalla mia passione per la musica elettronica, il cinema visionario e la cirrosi epatica.

Amo Berlino per la sua inarrivabile scena underground e a quanto pare non sono l’unico, dato che ultimamente un numero sempre crescente di alternativi duri e puri, di quelli al terzo anno fuoricorso in Relazioni Internazionali alla Luiss Guido Carli, rinviano a settembre l’esonero di Tutela Internazionale dei Diritti dell’Uomo in favore di un volo Easy Jet per la capitale tedesca. Poi vanno a strafarsi di MDMA in qualche centro sociale in compagnia di personaggi che sembrano ricalcare l’esatto profilo del cittadino cui il Partito Democratico sembra puntare per perseguire la propria politica di svecchiamento dell’elettorato.

Chi va a Berlino con l’obiettivo di passare le proprie serate tra cani randagi, birre alla spina in bicchieri di plastica e orecchini attaccati alla visiera di cappellini mangiucchiati sembra non capire che sarebbe di gran lunga più conveniente economicamente procurarsi una tessera gold per il festival Supersantos di San Lorenzo. E se proprio non si riesce a fare a meno di sentir parlare tedesco si può sempre sottoporre il proprio gruppo di amici a una trachetomia.

Una cosa che ho capito nel corso degli anni è che Berlino è bella ma la Germania non è Berlino. Lo stereotipo dell’abitante di questa città non è facilmente rintracciabile altrove nelle vastissime ed eterogenee terre teutoniche. Nella maggior parte dei casi, infatti, il Tedesco tipo è un soggetto ben diverso dall’anarco-squatter che affolla i locali della Deutsche Demokratische Republik, fonda gruppi punk filosovietici e si converteal cattolicesimo dopo aver superato un cancro alla pleura. Ho letto la morte in volto ai miei amici quando mi hanno raccontato che la figura più ribelle che hanno incontrato in Germania era quella rappresentata nella figura sottostante.

Io tendo a non dire che la mia città preferita in Europa è Berlino, perché quando lo faccio le possibili reazioni sono due. La prima è di sorpresa: “Berlino? E perché mai? Cosa c’è di bello a Berlino?” Generalmente quando la gente mi dice una cosa del genere rispondo “di bello a Berlino non c’è niente, infatti fai bene a restare a Soriano nel Cimino a modificare la marmitta del motorino e scolarti Peroni da sessantasei la sera in piazzetta, stronzo.” Ogni volta che mi trovo di fronte a una persona di questo tipopenso che vorrei cospargere la sua testa di miele dopo averla interrata fino al collo in prossimità di un covo di formiche rosse.

Poi però c’è anche la seconda reazione possibile, ovvero quella dell’intellettuale tutto pashmina e filmografia di Wim Wenders, che ti dice che adora Berlino e ci è andato a un concerto dei Radiohead ma se n’è andato prima che iniziassero a suonare perché a lui interessava solo il gruppo spalla. Ogni volta che mi trovo di fronte a una persona di questo tipo penso che vorrei cospargere la sua testa di miele dopo averla interrata fino al collo in prossimità di un covo di formiche rosse. I lettori più arguti mi faranno notare che non c’è poi una sostanziale differenza nel modo in cui tratterei le persone che rispondono alla mia passione per Berlino nei due modi sopraelencati. Ed è vero.

La realtà è che nessuna risposta mi va bene, perché io mi rapporto a questa città con un pizzico di gelosia.Mi duole condividere la passione che nutro per essa con quel genere di persone con cui, se il mondo fosse Windows 7, vorrei interagire solo tramite l’opzione “svuota cestino”.

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Foto di copertina: © AMKNL  CC0 Public Domain