In Germania la parità dei sessi comincia dalla lingua: due esempi

Nel corso di tedesco che sto frequentando, per insegnante ho un linguista, Mike. Dopo cinque lezioni con lui, sento già di capirli di più, i tedeschi, e so finalmente che molti dei temi sociali che stanno loro a cuore si riflettono anche nel modo in cui parlano, scrivono e cambiano la loro lingua. Ho due esempi:

Man öffnet die Ausstellung VS. die Ausstellung wird eröffnet

Il significato di entrambe le frasi è che si inaugura la mostra, ma la prima è in forma attiva, la seconda al passivo. Notate quella parolina, “man”, nella prima versione? È l’equivalente del “si” italiano: si inaugura la mostra. Prediligendo la mostra viene aperta il vantaggio è di non dover usare “man”. Perché vantaggio? Perché per i tedeschi il maschilismo è sempre più condannabile e lo si combatte su tutti i fronti, a partire dalla lingua. Mike direbbe: “Perché, la mostra non può forse inaugurarla una donna?”. Nonostante man significhi “si” e non “uomo”( in tedesco uomo si dice mann, molto simile quindi a man), infatti, è inevitabile associarlo al genere maschile.

Il secondo esempio suona rivoluzionario, tenetevi forte:

BürgerInnen VS. Bürger_innen

Bürger = cittadino, Bürgerinnen = cittadina. BürgerInnen è il nostro “cittadino/a”, quello con cui iniziano le lettere che riceviamo dai politici in campagna elettorale. In Germania BügerInnen regnava indiscusso, fino a quando dal seno delle università non è spuntato quel Bürger_innen – e il mondo non fu più lo stesso. Quello spazietto fra la versione maschile e quella femminile del sostantivo sta per tutte quelle persone che non si sentono né uomo né donna, ma entrambi o né l’uno né l’altra. Una lineetta che è una battaglia enorme, tutta sintetizzata lì, fra due parole di genere definito. Il simpatico Mike sorrideva davanti ai visi increduli dei suoi studenti… Col tempo, non solo nelle università di linguistica si è adottato lo spazio fra maschile e femminile, ma anche e anzitutto nella politica.

Grazie a questa scoperta, capisco perché a Berlino sia così sentita la battaglia per l’introduzione dei bagni unisex al posto della classica divisione uomo-donna, sia nei WC pubblici che negli uffici, nelle scuole… – un tema che in Italia non immagino sulle pagine dei giornali così presto.

Nella mia università, la Alice Salomon Hochschule, questa è già realtà e, pur non avendo raccolto sufficienti opinioni a riguardo, mi pare che condividere uno spazio come il bagno non sia un problema insormontabile né per ragazzi né per ragazze, che comunque devono abituarsi all’idea di andare ai servizi e trovare il compagno di banco o lo sconosciuto di turno che fa pipì.

Sulla porta, al posto di “uomini” e “donne”, c’è scritto “All genders are welcome”.

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(l’articolo qui sopra si può trovare nella sua versione completa su Home is wherever.com, il sito di Giulia Zeni)