Quegli italiani (all’estero) feroci con chi scappa da guerra e povertà

Una vecchia vignetta di Vauro recitava: «gli immigrati sono l’emergenza, i razzisti e gli imbecilli la norma». É una frase che sintetizza molto bene quanto successo ultimamente in Sassonia, regione che ormai può essere definita a buon diritto il cuore di tenebra della civile e accogliente Germania.

Sabato scorso a Clausnitz, al grido di «wir sind das Volk», una folla inferocita ha provato a impedire che un bus di migranti arrivasse al centro di accoglienza. A bordo c’erano donne e bambini in lacrime, uomini con una lunga odissea alle spalle. Sempre nel weekend, sempre Sassonia, Bautzen: brucia un hotel destinato ai migranti, gli abitanti esultano, tre di loro addirittura ostacolano le operazioni dei pompieri. Tra gli spettatori ci sono anche dei bambini, che applaudono inconsapevoli imitando i genitori. Nel frattempo in Baviera rispuntano inquietanti marce neonaziste, con tanto di torce e saluti a Hitler.

Anche noi di Berlino Magazine abbiamo parlato dei fatti accaduti in Sassonia, che la stampa e la politica tedesche non hanno esitato a definire «vergognosi». Ebbene, cosa fa l’italiano medio, spesso emigrato in Germania o a Londra, che commenta sulla nostra pagina Facebook? Scrive che i tedeschi hanno fatto bene, che sono anzi «da medaglia», e che si tratta della reazione giusta di fronte a «ignobili scansafatiche» venuti a rubare i loro diritti e la loro terra.

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Premettiamo: si tratta di una minoranza che, incoraggiata dal (semi)anonimato della dimensione virtuale, non si vergogna a presentare alla sfera pubblica opinioni tanto becere. Ma già il fatto che un commento come quello riportato sopra nello screenshot riceva 6 mi piace non dovrebbe farci dormire sonni tranquilli: esiste un oscuro sottobosco di xenofobi rancorosi, il cui sinistro potenziale è a disposizione di ogni forza politica reazionaria.

Certo, parafrasando Ennio Flaiano, verrebbe da dire che la situazione è grave, ma non seria: gli stessi personaggi che contestano ai rifugiati di sottrarre terra, lavoro e diritti agli autoctoni scrivono (si fa per dire) da Londra, Berlino, Monaco, totalmente in barba al principio di non contraddizione e dimentichi del fatto che gli «ignobili emigrati» siamo in molti casi noi italiani, pur partendo da condizioni infinitamente meno disperate di un profugo di guerra. Ci troviamo insomma di fronte a una riedizione ancora più triste, se possibile, della consueta guerra tra poveri così comoda e funzionale a chi comanda.

Forse, nell’immaginario etnocentrico di questi prodi analisti, un europeo, anzi, un occidentale che si trasferisce all’estero non è definibile come emigrato: è sempre un cervello in fuga, talmente disincarnato che non causa costi al sistema-paese in cui va a vivere. Di “migranti”, “emigranti”, “immigrati” pare si possa parlare solo se si proviene dal sud del mondo, se si fugge l’orrore della guerra e della miseria. Poco importa che i profughi siriani, ad esempio, siano spesso laureati iperspecializzati: nell’immaginario di questi campioni del web sono sempre lazzaroni, stupratori o saraceni pronti ad abbeverare i loro cavalli nelle fontane di Potsdam. Non meno risibile, poi, è una forma di razzismo apparentemente più “lieve”, quella di chi sentenzia: «vada per l’accoglienza dei profughi di guerra, ma i migranti economici no, quelli se ne stiano a casa loro». E i milioni di italiani all’estero, di grazia, cosa altro sarebbero, se non migranti economici in cerca di un futuro negato nel loro Paese? O, spostandoci in Germania, cosa altro erano se non Wirtschaftsflüchtlinge gli Ossi, i tedeschi dell’Est che in poco tempo hanno dimenticato cosa significa scappare da un regime opprimente e ora sbarrano la strada a chi si trova nella stessa condizione?

La verità è che i nostri leoni da tastiera appartengono a una categoria sempre affollata in Italia, almeno da quando esiste la società di massa: i conformisti pavidi, feroci con i deboli, sottomessi con i (presunti) forti. Sono i piccolo-borghesi frustrati degli anni ’30, pronti a saltare sul carro della violenza fascista; gli impiegatucci fantozziani, ossequiosi con il capo e dispotici con i loro sottoposti; i meridionali emigrati al Nord, che diventano i primi leghisti. Il fatto che agiscano sui social network non li rende meno pericolosi e inquietanti: oggi il virtuale non può più essere considerato l’antitesi del reale, anzi, costituisce in qualche modo un’iperrealtà. State certi che costoro, magari innocui in condizioni di normalità, sarebbero i primi a seguire docili la corrente se soffiassero venti di violenza.

Di seguito vi offriamo una poco edificante carrellata delle recenti esternazioni di alcuni tipi umani che incarnano perfettamente i vizi capitali dell’italiano contemporaneo: analfabetismo funzionale, razzismo, habitus fascista – involontario o esplicitamente sbandierato – mancanza di senso storico e un sessismo che si ammanta spesso del paternalistico «difendiamo le nostre donne dai barbari musulmani» e sottintende invece un «il monopolio della violenza sulle nostre donne dobbiamo detenerlo noi».

Piccoli Kapo crescono:

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Il bombarolo:

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Il complottista:

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Il salviniano:

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Il censore della violenza sulle donne con inconfessate fantasie sadiche:

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Che danni hanno causato decenni di conformismo e distruzione sistematica del pensiero al nostro povero Paese. Restiamo umani, invocava Vittorio Arrigoni. Ma che stanchezza di fronte a questa miseria.

Foto: Syrian and Iraqi immigrants getting off a boat from Turkey on the Greek island of Lesbos © Ggia – CC BY-SA 4.0