Vivi all’estero anche per allontanarti dal dolore e dagli errori della tua famiglia

Non te ne rendi conto subito. A chi ti chiedeva perché partissi dicevi che volevi un lavoro migliore, un sistema che rispettasse le regole e premiasse chi si impegna, che in Italia, no, non c’è futuro, non almeno per te, che hai aspettato già tanto e che “dai, alla fine si prova, tanto alla fine c’è sempre il tempo di tornare”. I tuoi amici annuivano. Ve lo dite da anni. Chissà, magari un giorno ti raggiungeranno. Hai visto i tuoi genitori commuoversi senza lacrime, prima tuo padre e poi tua madre, entrambi consci che sì, è giusto che tu vada, ma nel fondo dei loro cuori ti vorrebbero lì accanto, non in casa, quella da anni non la condividi con loro, non almeno con tutti e due – storie di separazioni, divorzi e decisioni che sei costretto a prendere quando vorresti tutto tranne che scegliere, “vuoi stare con mamma o con papà” – ma almeno nella stessa città, o quantomeno a distanza “di treno”. Si augurano il meglio per te, ma se quel meglio fosse in Italia, beh, ne sarebbero più felici.

Arrivi. La casa, i corsi di lingua, la ricerca di un lavoretto se non direttamente di “il lavoro”, i nuovi amici. Ti sembra tutto forse non bello, ma almeno emozionante. Nuove sfide. La possibilità di reinventarsi. I tuoi non li senti spesso, ma quando lo fai, lì davanti al monitor su uno Skype che gli hai insegnato tu ad utilizzare, gli racconti finalmente di te. Di cosa fai, chi hai conosciuto, cosa ti aspetti che succeda domani e cosa stai capendo del Paese in cui sei ospitato. Parlate di progetti, scambiate opinioni. Siete finalmente dalla stessa parte. Loro ti incoraggiano, sanno che ne avete bisogno. E tu, così a distanza, dietro quel tono di voce rassicurante percepisci note di soppressa tristezza che sai bene ti riguardano. E un po’ ti senti in colpa. Non torneresti indietro per loro, ma cominci a sentire il debito di una gratitudine che un tempo non pensavi di dovere a nessuno. C’è sempre meno spazio per le recriminazioni. La seconda famiglia del papà, i fidanzati della mamma che non ti piacciono o che a te sì, ma non a tuo fratello, le persone che non puoi vedere perché sennò fai male ad uno dei due, le conseguenze di una famiglia separata capace di amarsi ed odiarsi con la stessa intensità e che se ancora ha senso chiamare tale è perché da quando sei piccolo hai imparato a fare da tramite, a riportare i complimenti e nascondere le offese, a cucire e rattoppare come un sarto di montagna rielabora l’ultimo pezzo di lana con cui scaldarsi durante un freddo inverno perché di alternative non ne ha se vuole vedere l’arrivo della primavera. Tutto questo ora che vivi all’estero è alle spalle. L’oggi è il rendersi conto che, nonostante tutto, ti staranno sempre affianco. E basta questo.

Natale. Torni a casa. Pensi che sarai invaso dalla malinconia. E all’inizio è davvero così. Gli abbracci, le coccole che non sono carezze sui visi, ma pensieri dolci che ti sommergono come figliol prodigo a cui è bene mostrare quanto bene si possa ancora volere rimanendo a casa. Passano le ore, passano i giorni. E a poco a poco, l’entusiasmo dei primi momenti lascia gradualmente il posto alla routine di un tempo, a quel continuo fare attenzioni a dire, non dire, fare, non fare, incontrare e non incontrare che, forse non i primi anni in cui vivevi all’estero, ma sicuramente dopo un po’, capisci che l’evitarli, il non dovervici confrontare quotidianamente, è una delle ragioni che ti hanno spinto a partire e vivere all’estero, lì dove gli errori, anche della tua famiglia del futuro, hai piena libertà di commetterli da solo, senza accumularli ai fardelli di un passato che ami e continuerai ad amare, ma che non vuoi portarti sempre con te. Perché la vita è la tua. Ed ha già le sue difficoltà così.

Photo: ©Hernán Piñera – Airport – CC BY SA 2.0