“Vuoi fare musica? Berlino ti fa crescere, ma ti lascia solo. Le relazioni durature? Un sogno”

“A quindici anni ho incontrato Brian May e Roger Taylor dei Queen mentre ero in vacanza in Svizzera, all’inaugurazione della statua di Freddie Mercury sul lago Leman, ed ho capito che se c’era una direzione che avrei voluto intraprendere nella mia vita, quella era la musica”. Matteo Tambussi quel sogno lo ha mantenuto. Per farlo ha seguito tante strade. L’ultima lo ha portato, si spera definitivamente, a Berlino. L’origine però è Torino. È lì che è nato e cresciuto e che per i dieci anni successivi a quell’incontro con i Queen si è impegnato a trasformare la sua passione in una ragione di vita (professionale, certo, ma è uno di quei casi in cui personale e professionale si fondono). È nel capoluogo piemontese che sono partiti i suoi primi due progetti musicali, il gruppo Baroque (con cui ha pubblicato quattro dischi tra cui singolo “La festa dell’alloro a lungo in rotazione su Radio DeeJay nel 2011) e gli Eskinzo (un solo album nel 2013). Dopo il primo album con i Baroque, Matteo si era in realtà trasferito a Londra per studiare sia musica e che creative economy, una tappa durata solo un anno, troppo forte il desiderio di incidere un secondo album con la sua  band per non tornare in Italia. Il tour che seguì il nuovo disco lo portò per la prima volta a Berlino. Gli piacque molto. e così decise di trasferircisi alla fine dell’estate. Tutto questo succedeva quasi due anni fa. Da allora Matteo ha deciso di dedicarsi alla carriera solista. Il suo primo Ep, uscito da poche settimane, si intitola Spiritual Slang. “Rappresenta la sintesi di questo mio periodo berlinese, di quanto sono cambiato sia a livello personale che musicale. Non potrebbe essere altrimenti, qui la città pesa sulla persona tanto quanto il crescere dell’età e delle esperienze”.

È anche questo che ti ha spinto ad intraprendere la strada da solista?

Single ti ci ritrovi, raramente lo cerchi… poi ok trovi la tua dimensione e giustificazione. Berlino incide, certo. Qui trovo sia molto difficile tessere relazioni durature, sia sentimentali sia musicali, quindi alla fine è un “fare sess(i)o(n)” con chi hai affinità, divertirsi e col tempo capire cosa si cerca veramente, chi si è, di cosa si ha bisogno. Spiritual Slang è solo un frammento musicale di un momento che ora non c’è più. Ora, probabilmente, sto cercando di trasformare lo “slang” in un “lessico”. Per farlo ho bisogno di viaggiare musicalmente, e mettermi a disposizione di altri per imparare nuovi termini.

Quando hai avuto l’idea per il tuo Ep? A cosa ti sei ispirato in particolare mentre gli davi forma?

Ho iniziato ad imbastire i pezzi dopo un arrivo burrascoso a Berlino. In qualche modo sto cercando di staccarmi dall’idea scolastica dei grandi album che mi hanno ispirato. Nell’immediatezza dei giorni presenti, trovo l’idea di album sempre valida, ma per me anacronistica. Voglio curare la musica, ma che piaccia o meno l’immediatezza della performance è un dato di fatto, per nulla negativo. Questo riflette un po’ l’ossimoro del titolo. L’Ep è un insieme di brani che da tempo mi giravano tra le dita, nel periodo a cavallo tra Torino e Berlino. Sono  dei sogni ad occhi aperti. Poi posso dire che nelle mie canzoni c’è sempre un bel po’ di eros e di tanathos, tanti Queen, gli scenari di Dalì, un buon pad thai con i gamberetti e le paranoie compulsive che mi prendono quando fumo dell’erba. “Island”, il singolo, è in realtà un pezzo abbastanza datato, più volte registrato e più volte scartato. Ha trovato fioritura nella forma attuale e in questo preciso momento, grazie anche all’apporto di un valido produttore come Maurizio Borgna.

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C’è una delle canzoni a cui sei particolarmente affezionato? 

“Island” mi ha aperto le porte della BBC e della playlist di Gilles Peterson, quindi le voglio tanto bene. Direi poi “Goodnight”, sono molto soddisfatto del lavoro di tessitura vocale che ho messo giù. Per anni ho cercato di capire come Mercury e co. facessero a creare tali background vocali, credo di essere vicino alla regola, con le dovute differenze.

Berlino è stata una meta pianificata o casuale? 

Ho iniziato a frequentarla un po’ per caso e non troppo interessato, ho cominciato quindi a riceverne i “segni” nelle cose più elementari della vita, quindi è diventata una meta, ma ancora da conquistare. E’ un vero e proprio rapporto, tra me e Lei, un amore, fatto di momenti di high e momenti di vaffanculo. Ma ad oggi, la amo e ne amo le imperfezioni.

L’ultima canzone, e anche la più lunga, si intitola proprio “Berlino”. Che ruolo ha avuto la città nella creazione dell’album?

E’ la mia canzone d’amore per la città, e per la persona che per prima l’ha incarnata, smuovendomi da Torino. L’Ep è pregno di desiderio fisico e mentale per Berlino. Lei mi ha offerto il materiale, le persone, le esperienze e i luoghi. Lei mi sta crescendo a trent’anni.

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