10 citazioni di libri che raccontano Berlino ai tempi di Hitler

di Giovanna Barca*

Berlino è da sempre una città letteraria

Conoscerne la storia o anche solo i momenti storici più salienti attraverso romanzi, biografie, saggi e spettacoli teatrali è una possibilità che, per fortuna, può essere intrapresa con la certezza che si andranno a leggere splendidi testi. Quanto segue è una selezione di citazioni da 10 libri della Berlino ai tempi di Hitler scelte da Giovanna Barca. Un articolo analogo, ma con citazioni di Berlino in generale, lo trovate cliccando qui.

Hammerstein o dell’ostinazione di Hans Magnus Enzensberger

Come si chiamava la talpa così ben informata su quanto era accaduto tra il 1933 e il 1936 nella Bendlerstrasse? è ancora oggi una questione non chiarita. Tuttavia, molti indizi fanno pensare che in quell’attività di ricognizione fosse coinvolto un uomo morto a Dresda nel 1990 e diventato celebre come artista. La sua biografia, al pari di quella di molti suoi contemporanei, è ambigua, intensa, dilaniata dal vorticoso procedere della storia. Gerd Kaden, nato a Berlino nel 1891, era figlio di un ufficiale sassone che in seguito avrebbe raggiunto il grado di generale di divisione della Wehrmacht. A quindici anni era entrato anche lui nell’esercito, si era diplomato alla scuola per cadetti e durante la prima guerra mondiale era stato mandato al fronte.

Ma il duro addestramento militare non gli piaceva e, dopo il 1918, aveva deciso di dedicarsi alla pittura. Negli anni Venti aveva scelto il nome d’arte Caden, probabilmente per prendere le distanze dalla famiglia, e aveva ottenuto grande successo come scenografo teatrale. Nelle sue note autobiografiche menziona i due più importanti teatri di rivista berlinesi, l’Admiralspalast e il Grosses Schauspielhaus: “L’Admiralspalast presenta nell’estate 1925 la prima grande rivista negra, Chocolate Kiddies, con una compagnia di negri newyorchesi”, mentre lo Schauspielhaus propone lo stesso anno una rivista spettacolare, “un’esibizione nello stile Americano di Broadway, nuovissima per quei tempi e che fece epoca”. Ma fu solo il primo passo in una vita diversa, che presto avrebbe assunto forme avventurose e radicali. Caden era capitato a una rappresentazione del Rotes Sprachrohr, un gruppo di agitprop di sinistra, e ne era rimasto talmente colpito da immergersi nella lettura degli scritti di Marx, Engels, Mehring e Stalin e iscriversi al KPD nel novembre del 1930”.

(Traduzione di Valentina Tortelli)

Il rogo di Berlino di Helga Schneider

Ricomincio a sbirciare fuori dal finestrino. Dopo la vista dei cadaveri non vorrei più guardare, ma quel funesto spettacolo mi attira come una calamita. Per settimane non ci siamo mossi dalla Lothar-Bucher-Strasse, abitazione e rifugio, in una folle girandola di allarmi e cessati allarmi, di terrore e cessato terrore, così sento una necessità urgente e irreprimibile di capire che cosa sia successo altrove nel frattempo, ma ciò che vedo mi atterrisce. Ovunque giri lo sguardo, mi imbatto in tetri ruderi e cumuli di macerie senza fine. Poco dopo percorriamo un’intera strada in fiamme, mentre il cielo si è tinto di viola. Il bus si sposta bruscamente sulla sinistra e striscia lungo le traversine del tram per evitare che ci cadano addosso le facciate roventi delle case. La vettura si riempie di fumo e di un odore di incendio che secca la gola; fuori pioviggina cenere.

Proseguiamo. Nel bus sta crescendo l’agitazione. Dappertutto si vedono rottami, tram rovesciati e crivellati come colabrodo; un magro cavallo tira un carretto carico di cadaveri.

Cadaveri, cadaveri, macerie ed edifici in fiamme: sembra che non ci sia nient’altro in questa città; nel bus pieno di bambini che si agitano e strillano di paura mi viene il fiato grosso dall’angoscia. Due di loro hanno accanto le madri, le quali però si preoccupano di tranquillizzare solo le proprie creature; il resto tocca a Marianne. Nel gran trambusto Peter si è svegliato e, guardandosi intorno attonito, decide di cercare rifugio dal suo disorientamento nel bavero del mio cappotto bisbigliando: «Io non ci vengo, voglio tornare a casa…».

Lei lo sapeva? I tedeschi rispondono di Walter Kempowski

Insomma, avevo già preso le distanze dal partito. Nel 1933-34 al primo anno di apprendistato eravamo naturalmente seguaci delle SA, il nostro capo era nel partito, era sindaco ecc. ed era ovvio che noi facessimo parte delle SA. Poi le abbiamo fatte anche noi le risse nei locali, noi contro i comunisti. Poi bisognava ridurre la disoccupazione e così il capo ha assunto alcuni disoccupati, dovevano ripulire gli stagni delle carpe e noi in quanto apprendisti portavamo via sempre i vagoncini con un cavallo, e quei disoccupati erano comunisti. E poi di colpo la domenica mattina, durante il servizio con le SA, questi se ne stavano lì composti in fila di fianco a noi. A quel punto ho detto che non avrei più partecipato a una cosa simile, che le persone contro le quali avevo combattuto fino al giorno prima ora tutt’a un tratto stavano lì di fianco a me e poi ho anche detto: «Ora il vecchio è morto, e si scatena la follia! » (Mi riferivo a Hindenburg). La cosa fu anche riferita in alto loco e il mio capo prese le mie difese, altrimenti mi avrebbero fatto fuori. E poi ricevetti una lettera dalla squadra delle SA: «Per riduzione delle SA, congedato dalle SA». Cosa interessante, più avanti, nel 1947, durante la prigionia in Jugoslavia, quando ci furono gli interrogatori per i crimini di guerra, i partigiani questa cosa la sapevano perfettamente. Che io fossi stato congedato dalle SA, più avanti mi tornò utile”.

(Traduzione sotto la supervisione di Anna Ruchat)

Ognuno muore solo di Hans Fallada

Tre minuti dopo l’attore Max Harteisen era nelle scale dello stabile e, tutto scombussolato, teneva una cartolina in mano: «Madre! Il Führer ha assassinato mio figlio…» – pensò – «Chi scrive di queste cose? Deve essere un pazzo! Si giuoca la testa!». Involontariamente voltò la cartolina. Ma invece del nome del mittente o del destinatario c’era scritto: L’attore guardò su. L’ascensore splendente di luci gli passò accanto. Ebbe la sensazione che molti occhi lo osservavano.  Rapido, si mise la cartolina in tasca, e ancora più rapidamente la trasse di nuovo fuori. Stava per rimetterla sul davanzale, ma gli venne un dubbio. Forse quelli dell’ascensore l’avevano visto fermo con la cartolina in mano… e il suo viso lo conoscevano molti. Se trovavano la cartolina, ci sarebbe stato qualcuno pronto a giurare che l’aveva deposta lui. Sì, l’aveva deposta lui, cioè l’aveva rimessa dove l’aveva trovata. Ma chi gli crederebbe, proprio ora che era in lite col ministro? Aveva tanti panni sporchi da lavare, proprio questa ci mancava!

(Traduzione di Clara Coïsson)

Bibliocausto- Storia Universale della distruzione dei libri di Fernando Baez

Il 6 dello stesso mese [maggio] le associazioni giovanili naziste portarono via un’enorme quantità di libri e opuscoli dall’Istituto di ricerca sulla sessualità di Berlino, fondato nel 1918 da Magnus Hirschfeld. È stato stimato che nell’azione siano stati sottratti 10.000 libri, oltre a lettere, rapporti e documenti confidenziali. A pochi passi dalla cattedrale di Münster vennero appesi a un albero i “libri della vergogna”. Goebbels organizzava riunioni tutte le sere nell’intento di intraprendere una grande azione di riparazione in favore della cultura tedesca. Come data possibile propose il 10 maggio. L’8 ci furono dei disordini a Friburgo, con distruzioni di libri alle quali partecipò anche Martin Heidegger. Il 9, a Kaiserhof, Goebbels si rivolse al sindacato degli attori e li ammonì: «L’artista non può chiamarsi fuori, ma deve sollevare la bandiera e marciare in testa». Circondato dai migliori interpreti del teatro di Goethe e Schiller, non perse tempo e lanciò la proposta di eliminare ogni traccia di influenza ebraica dalla cultura tedesca. Il 10 maggio alcuni membri dell’Associazione degli studenti tedeschi si impadronirono della biblioteca dell’Università Wilhelm von Humboldt e cominciarono ad ammassare i libri proibiti. C’era un’euforia inattesa e contagiosa. I libri vennero trasportati a Opernplatz insieme a quelli che erano stati prelevati da altri centri come l’Istituto di ricerca sulla sessualità o da biblioteche private di ebrei arrestati. In totale il numero di opere superava le 25.000. Subito si radunò una moltitudine intorno agli studenti. Questi cominciarono a cantare un inno che destò una grande impressione fra gli spettatori. La prima frase era fulminante: «Contro la classe materialista e utilitarista, per una comunità del popolo e una forma ideale di vita: Marx, Kautsky».

Donne mobili. L’emigrazione femminile dall’Italia alla Germania 1890-2010 di Lisa Mazzi

«Il 30 gennaio del 1933 Hitler diventò cancelliere del Reich. Berlino era in preda ad una gioia delirante. Nazisti isterici correvano per le strade urlando a squarciagola Heil Hitler. Fu uno scoppio di folle entusiasmo… la notte una interminabile fiaccolata si diresse alla cancelleria per acclamare Hitler, che stava al centro di una finestra illuminata… era uno spettacolo teatrale, tutte quelle luci, le fiaccole fiammeggianti… assistevo alla scena da una finestra lì accanto, in preda ad una inesprimibile ansia, senza poter tuttavia negare a me stessa che quell’impressionante spettacolo sembrava esprimere il volere di tutto il popolo tedesco». Tutto questo lo si è letto o visto in documentari dell’epoca, ma qui la voce narrante è quella di una donna italiana, che conosce non solo Berlino e la scena politica, ma osserva il tutto con gli occhi di chi guarda comunque dall’esterno. E questa è in fondo l’esperienza dell’immigrazione: essere dentro ad un paese, ma continuare a guardarlo, anche dopo anni, dal di fuori. «La mattina dopo la città si destò come ci si sveglia dopo una piacevole notte di baldoria. La gente passeggiava col volto radioso, la testa eretta e un sorriso trionfante sulle labbra: era il sorgere della Germania nazista, e tutta la città appariva in festa».

La mia vita di Marcel Reich-Ranicki

Più si avvicinava la prova d’esame, più cresceva la mia paura. Non temevo l’esame, né possibili angherie da parte degli insegnanti e ancor meno da parte dei compagni. Non temevo neppure che per strada o su un mezzo pubblico di trasporto mi potesse capitare qualcosa, a me facilmente riconoscibile come ebreo. No, allora a Berlino – e questo oggi può meravigliare – non fui oggetto di ostilità, quanto meno non ne notai. Ciò che invece costantemente temevo, erano nuove misure amministrative contro gli ebrei, norme che avrebbero potuto trasformare la mia vita in un inferno. Ogni giorno cercavo prima di tutto nel giornale – eravamo abbonati alle Deutsche Allgemeine Zeitung, dato che il Berliner Tagesblatt non esisteva più – notizie riguardanti disposizioni contro gli ebrei. Ce n’erano sempre di nuove, ma non ancora quelle che mi avrebbero toccato di più: ero ossessionato dall’idea che gli ebrei venissero cacciati dalle scuole o esclusi dalla maturità. Come, niente maturità? Per me, ne ero convinto, sarebbe stata la catastrofe. Alla fine i pochi studenti ebrei che nel 1938 erano ancora rimasti al Liceo Fichte non furono allontanati, e vennero ammessi all’esame. Perché? All’epoca non lo sapevo, sono venuto a conoscenza della ragione esattamente mezzo secolo dopo. Dipese da una decisione personale di Hitler. Alla fine del 1936 gli venne mostrato dal Ministro dell’Educazione il disegno per una “legge scolastica riguardante gli ebrei”, che prevedeva la separazione degli allievi ebrei dagli altri secondo criteri razziali. Questo avrebbe però implicato che gli alunni considerati ebrei in base alle “Leggi di Norimberga”, anche se di religione cattolica, avrebbero potuto frequentare solo scuole ebraiche – cosa che aveva suscitato le immediate proteste del cardinale Bertram di Breslavia, primate cattolico del Reich. Per non rendere ancora più tesi i rapporti con la chiesa cattolica, Hitler preferì rinviare a un momento successivo l’adozione della legge in questione.

(Traduzione di Simona Bellini)

Speer. Una biografia di Joachim Fest

La nuova Berlino sarebbe dovuta essere pronta nel 1950, dopo la vittoriosa conclusione di tutte le guerre già dichiarate e ancora da combattere. Nel corso di una cerimonia inaugurale senza precedenti, Hitler avrebbe proclamato l’impero mondiale e dato alla sua capitale il nome “Germania”. Nei momenti di euforia, precorreva con la fantasia la parata della vittoria, lo sfarzo, le invocazioni e i fuochi d’artificio che avrebbero incoronato il suo trionfo. Quando Speer, nel settembre del 1939, subito dopo l’inizio della guerra, ritenne di dover sospendere i lavori di costruzione a Berlino, Bormann gli inviò una lettera tanto brusca quanto palesemente suggerita da Hitler per intimargli di proseguirli e, poche settimane dopo, sconfitta la Francia, il dittatore gli ribadì personalmente che la ristrutturazione di Berlino aveva tuttora la “massima priorità”. In un decreto che retrodatò al giorno dell’armistizio, Hitler definì la realizzazione .Ormai era sempre più evidente che si voleva fare di Berlino il centro e il vanto del nuovo impero mondiale.

(Traduzione di Umberto Gandini)

Noi non molliamo!  – Germania Germania di Erich Kuby

«L’ora della liberazione suonerà. Parola d’ordine sacra: Berlino. La capitale del Reich è diventata la capitale della lotta. Da Berlino provenivano gli ordini del Führer che, avanzata dopo avanzata, pacificavano l’Europa. Oggi il bolscevismo concentra i colpi sull’odiata Berlino. Vuol colpire a morte il cuore dell’ordine tedesco, dell’ordine europeo. Noi ci assumiamo le responsabilità della battaglia. Per questa ragione il Führer è a Berlino». Così scriveva il 28 aprile 1945 il Panzenbär. Quando il novantanove virgola nove per cento della battaglia era già in mano sovietica! E il Führer, due giorni dopo, si suicidava. Berlino, 8 maggio 1945: «Noi sottoscritti dichiariamo di accettare, in nome del Comando supreme tedesco, la resa incondizionata delle nostre forze di terra, del mare e dell’aria, nonché di tutte le formazioni combattenti che attualmente si trovano sotto il comando tedesco». F.to von Friedeburg, ammiraglio d’armata Stumpf, generale di corpo d’armata. Il potere discrezionale sui tedeschi passava di mano. Toccava ai vincitori, che incominciarono ad esercitarlo con la punizione e la rieducazione.

(Traduzione di Lydia Magliano)

Piccolo viaggio nell’anima tedesca di Vanna Vannuccini e Francesca Predazzi

Questa è la lettera inedita scritta nel 1945 da un marito, un avvocato tedesco, cristiano, che viveva a Berlino con la moglie Hanne. Una famiglia prussiana come molte altre, di buone letture e buone frequentazioni, se non fosse stato che Hanne era ebrea. La loro era una Mischehe, come veniva chiamato secondo la terminologia nazista un matrimonio misto ariano/ebraico…

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*Giovanna Barca è una bibliotecaria interessata, per passione personale più che professionale, alla Literatur der Wende. Dopo aver letto molti autori (Tellkamp, Brussig, Schulze…), aver visto i film più importanti (Goodbye Lenin, le vite degli altri), visitato i luoghi della ex-DDR e i musei, è stata una delle traduttrici di Di tutto in mondo – Viaggio nello spazio e nel tempo della Svizzera fino al cielo

Berlino Schule tedesco a Berlino

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Immagine di copertina: JordanHoliday, CC0