Berlino al cinema: i 10 film che tutti dovrebbero conoscere

Qualcuno la detesta, tanti la adorano, quasi tutti si perdono nel suo vortice di spensieratezza e voglia di vivere; ma comunque la si pensi, qualunque sia stata la nostra personale esperienza con la capitale tedesca, Berlino è e resta una città dal fascino innegabile. Chiunque si sia fermato, anche solo per un attimo, in questo luogo magico, se ne va con la consapevolezza che in nessun altro posto si sentirà così, come risucchiato in un universo parallelo in cui tutto sembra possibile. La sua storia drammatica ed affascinante e questa atmosfera unica e particolare che la contraddistingue sono state oggetto non solo dei più grandi capolavori del cinema, ma anche di piccole produzioni che meritano di essere diffuse e conosciute dal grande pubblico (ps: lo sappiamo nella lista manca Lola corre di Tom Tykwer, la cui immagine è qui in copertina. nella nostra classifica sarebbe 11esimo)

È proprio uno dei maestri del cinema italiano, Roberto Rossellini, a renderle tra i primi omaggio in Germania anno zero, la storia di un ragazzino che nel secondo dopoguerra si lascia plagiare da un ex-nazista. La Berlino del 1948, che fa da sfondo a questo capolavoro senza tempo del neorealismo, è un luogo desolato, un cumulo di macerie che accoglie anime spaventate alla disperata ed inutile ricerca di un barlume di innocenza. Un’innocenza strappata via dalla guerra e mai più ritrovata; un candore perso a tal al punto che, quando il protagonista (dopo aver compiuto un delitto atroce) ode in lontananza la musica celestiale di un organo, non è in grado di seguirla, avendo perduto ogni speranza e fiducia nella vita.  Rossellini dedicò la pellicola non solo al figlio prematuramente scomparso, ma a tutti i bambini tedeschi che, nel secondo dopoguerra, vivevano la loro esistenza in condizioni di povertà estrema, incoraggiando la comunità internazionale ad offrire loro un aiuto concreto.

E come dimenticare la splendida Prenzlauer Berg di Solo Sunny, film diretto nel 1980 da Konrad Wolf? Nella prima metà degli anni ’60 lo sceneggiatore Wolfgang Kohlhaase conobbe Sanije Torka, attrice e cantante tedesca dotata di una personalità estremamente carismatica e tormentata. La sua vita avventurosa e le sue vicissitudini private e professionali ispirarono Kohlhaase nello scrivere quella che poi sarebbe diventata la sceneggiatura di Solo Sunny, la storia di una giovane donna che tenta di sfondare nel panorama pop della DDR e che vive la sua sregolata esistenza fuori dagli schemi.

Altro grande regista che celebra la Hauptstadt nel 1987 è Wim Wenders, nel suo film ormai cult Il cielo sopra Berlino, meravigliosa favola visiva nella quale filosofia, poesia e surrealismo si mescolano alle immagini malinconiche di una Berlino prima della caduta. Ispirato alle Elegie Duinesi di Rainer Maria Rilke e dedicato al maestro Andrej Tarkovskij, questo autentico capolavoro del cinema contemporaneo contiene una profonda riflessione non solo sulla Germania nazista, ma anche sull’esistenza ed il suo significato, insegnandoci che non basta la mera osservazione della realtà materiale: bisogna penetrarvi con passione ed essere pronti a sentire su di se tutto il peso della vita. Il film vive di numerose suggestioni che hanno influenzato il percorso creativo  di Wenders, dai quadri di Paul Klee alla poesia di Peter Handke, per non dimenticare la musica pop ed i suoi numerosi testi sui “fallen angels”, gli angeli caduti.

Tra i piccoli capolavori di fine secolo troviamo Lola corre di Tom Tykwer e Sonnenallee di Leander Haußmann, girati rispettivamente nel 1998 e 1999. La Lola di Tykwer ha i capelli rossi e lo splendido viso di Franka Potente, e corre frenetica sull’imponente Karl Marx Allee, sull’Oberbaum Brücke, nel dedalo di strade del quartiere Mitte, alla disperata ricerca di una soluzione per salvare il suo fidanzato da una banda di aguzzini. La Sonnenallee è un altro viale famoso di Berlino, un tempo diviso in due dal muro. Il lato orientale della strada fa da sfondo alle vicende di un gruppo di ragazzi che negli anni Settanta vivono la loro adolescenza all’ombra della DDR, in una spassosa commedia molto amata dai tedeschi. L’elemento  in assoluto più interessante  di questo film è il suo continuo riferimento ai classici del rock ed alla straordinaria capacità della musica di esercitare un potere salvifico. Assume, in questa ottica, un forte valore simbolico la scena in cui uno dei protagonisti viene colpito con un proiettile da una guardia della DDR ma si salva grazie ad un disco dei Rolling Stones, che para il colpo a lui diretto.

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Qualcuno ha mai invece sentito parlare della Rosenstrasse? Ebbene, Rosenstrasse non è solo una via di Berlino, ma anche uno splendido film girato nel 2003 da Margarethe von Trotta, regista tedesca che non sbaglia un colpo (ne abbiamo scritto qui). Anche questa volta la Von Trotta è riuscita a a raccontare con successo la storia realmente accaduta di un gruppo di donne berlinesi che, nel 1943, si riunirono nella Rosenstrasse e protestarono contro la deportazione dei loro mariti. Un meraviglioso sguardo al femminile che scruta nella memoria storica di un paese e offre allo spettatore un punto di vista mai esplorato.

Nello stesso anno, il 2003, la Germania ci ha deliziati con un altro capolavoro, Goodbye Lenin, commedia nostalgica e surreale sulla caduta del Muro. Il protagonista Alex, interpretato dalla star teutonica Daniel Brühl, cerca amorevolmente di evitare alla madre (riemersa dal coma subito dopo il 9 novembre 1989 e convinta sostenitrice della DDR) lo shock nel veder tramontare il mondo nel quale aveva fermamente creduto e insieme ad esso tutte le sue convinzioni. Il film è stato girato interamente tra la Karl Marx Allee ed Alexanderplatz, e in alcune scene compare la storica Kunsthaus Tacheles, un tempo laboratorio occupato da artisti che ha definito un’intera generazione di giovani berlinesi.

In Herr Lehmann, tratto dall’omonimo romanzo di Sven Regener (ne abbiamo parlato anche qui) e diretto da  Leander Haußmann nel 2003, possiamo ammirare ed esplorare il quartiere di Kreuzberg mediante le vicende di un giovane perdigiorno e lo scorrere della sua apatica esistenza alla vigilia della caduta. Qui il Muro diventa vero e proprio correlativo oggettivo dell’anima del protagonista, scissa tra la disperata ricerca di stimoli ed il desolante scontro con una realtà squallida e ripetitiva. Dando magistralmente vita al personaggio di questo antieroe berlinese e ponendolo al centro di dialoghi intrisi di pessimismo esistenziale, Haußmann sembra guardare e ispirarsi molto alla  geniale commedia di Woody Allen.

È del 2006 invece Le vite degli altri, una delle pellicole più acclamate del Ventunesimo secolo, nella quale una grigia Friedrichshain fa da sfondo alle vicende di una coppia di artisti che soffre dei limiti imposti dalla DDR e dell’arroganza della Stasi, l’inquietante e onnipresente polizia di Stato. Il tragico epilogo riporterà la storia di voyeurismo e soprusi a una dimensione più umana, in cui i parametri si ribaltano e le esistenze altrui diventano quasi più tangibili e reali di una vita condotta all’ombra delle direttive di partito. Memorabile l’interpretazione del grande attore Ulrich Mühe, morto poco dopo l’uscita del film nelle sale. La seconda moglie di Mühe era stata collaboratrice della Stasi, costretta probabilmente dalle mille pressioni politiche di un regime feroce e crudele ad annientare qualsiasi forma di libertà e creatività; per cui, quando la stampa gli chiese come fosse riuscito a costruire così splendidamente il personaggio del capitano della stasi Werd Giesler, impassibile e al tempo stesso profondamente umano, l’attore rispose semplicemente: “Ho ricordato”.

In ultimo, per terminare il nostro omaggio ad una delle città più affascinanti immortalate sul grande schermo, è opportuno ricordare un piccolo e recente gioiellino, Oh boy (qui la nostra recensione completa del film), nel quale l’intenso sguardo di Tom Shilling attraversa una incantevole Berlino in bianco e nero, baciata dalla splendida fotografia di Philipp Kirasmer. Shilling interpreta magistralmente un giovane figlio di papà indolente, la cui apparente fuga da qualsiasi responsabilità nasconde, in realtà, il disagio nei confronti di un mondo del quale non comprende le assurde regole. La sua vita acquisirà maggiore consapevolezza nel commovente ed indimenticabile finale.

Marlene Dietrich cantava “ich habe noch einen Koffer in Berlin”, ho ancora una valigia a Berlino, sintetizzando splendidamente il senso di mancanza e di perdita che si prova nel momento in cui si è costretti a lasciarla. Berlino racchiude sogni di autentica felicità, felicità che trascende la  ricchezza materiale ed investe tutto ciò che vi è di più prezioso nella nostra esistenza. Al di là delle parole, oltre le immagini, la sua bellezza resta nella pelle e nell’anima di chi la vive tutti i giorni.