©Andrea D'Addio

«Tanti sacrifici per fare il fisioterapista a Berlino, ma torno a Roma per fare il Vigile del fuoco»

Come un italiano arrivato a Berlino ha deciso di tornare in Italia quando ormai sembrava aver raggiunto l’obiettivo che si era prefissato.

Antonio Di Pietro, classe 1983, originario di Roma, quartiere Cinecittà, vive a Berlino dal 2013. La sua storia ha dell’assurdo, eppure è tutto vero. Arrivato nella capitale tedesca per ricongiungersi alla sua ormai ex-fidanzata, Antonio ha lavorato duramente e nel frattempo ha studiato fisioterapia. Ormai al termine del suo percorso, gli è giunta una notizia inaspettata: diventerà allievo dei Vigili del fuoco.

©Antonio Di Pietro

Una laurea mancata in Scienze motorie e un concorso andato male

«Dopo il diploma in un istituto tecnico per il turismo, mi sono iscritto a Scienze motorie presso l’Università di Tor Vergata. Non ho però concluso il percorso e mi sono fermato a sette esami dalla laurea. É un mio rimpianto non aver finito, soprattutto perché avrei avuto molte più opportunità in Germania se avessi avuto il famoso “pezzo di carta”. Tra il 2009 e il 2010, oltre a studiare, ho fatto il servizio civile presso la Scuola Centrale Antincendio di Capannelle. Girava voce che ci fosse un concorso per diventare allievo. Ho sostenuto le quattro prove previste. Prendevano soltanto i primi 814. Eravamo quasi centomila, io mi sono classificato 3779esimo e sono risultato solo “vincente”. Avrei potuto prepararmi meglio, col senno di poi. Nel 2011 mi sono fidanzato con una ragazza che conoscevo da anni. Siamo cresciuti insieme. L’ho seguita a Berlino nel gennaio del 2013».

Da Roma a Berlino per amore. Com’è lasciare casa a trent’anni

«Appena arrivato, non ero per niente sicuro della scelta che avevo fatto. Un conto è lasciare casa a vent’anni quando sei più impreparato ma hai anche meno paura di affrontare il mondo. A vent’anni lasci un mondo in costruzione. Hai ancora tutto da imparare. A trent’anni, quando un mondo te lo sei già costruito, sai che forse non puoi più permetterti di sbagliare. A vent’anni inizi da zero, a trenta ricominci da zero. Per tutto il 2012 ho lavorato in Italia come istruttore di nuoto e in un istituto di vigilanza privata per mettere qualcosa da parte prima di partire per Berlino. La cosa che mi sono detto appena arrivato a Berlino è stata: “non voglio finire nella ristorazione perché altrimenti ci rimango”. Dal gennaio del 2013 fino a giugno dello stesso anno, mi sono occupato di montaggio e smontaggio palchi. A maggio, però, avevo già cominciato, in contemporanea al primo, un nuovo lavoro, presso una ditta che si occupa di costruire giardini. Ho portato avanti questo secondo lavoro fino a dicembre 2014. Il lavoro dei palchi l’ho lasciato perché nel frattempo ho ottenuto un minijob al Columbiahalle, dove mi occupavo principalmente del guardaroba e del piano bar. A partire dal novembre del 2013 ho cominciato a studiare il tedesco presso la Volkshochschule. Dalle sette di mattina fino a metà pomeriggio mi occupavo di giardini, terrazze pensili e giardini condominiali. Dalle sei alle dieci di sera andavo a scuola. Ho poi lasciato quel lavoro per entrare a far parte di una ditta che ristruttura appartamenti, presso cui lavorava un mio amico».

La decisione di fare l’Ausbildung. Un tour de force tra lavoro e studio

«A un certo punto ho sentito di non volermi più accontentare. Avevo capito che senza un Ausbildung non avrei avuto nessuna grande opportunità. Ho deciso di studiare fisioterapia ma avevo bisogno di un lavoro con orari più flessibili. Mentre intanto continuavo a lavorare al Columbiahalle, nel maggio 2015, ho trovato lavoro in una pizzeria al taglio, vicino Kreuzberg. A settembre ho cominciato l’Ausbildung. Studiavo dalle otto e mezza fino alle 15 e 30, poi lavoravo in pizzeria tutti i giorni, più il sabato e la domenica in cui lavoravo dalle 12 alle 20. E quando non lavoravo in pizzeria, andavo al Columbiahalle dalle sei di sera fino alle due, tre di notte, e la mattina dopo alle otto trenta andavo a scuola. Ho fatto una vita senza pause, sette su sette. Mi piace andare a mille, sono fatto così, però mi rendo conto che un po’ di riposo serve sempre. Perché altrimenti il tempo per il riposo lo usi per lo svago e finisci per non riposarti affatto. La stanchezza si è fatta sentire spesso, a scuola ho fatto qualche assenza di troppo. Mi hanno prolungato l’Ausbildung di sei mesi, finisco ad aprile».

©Antonio Di Pietro

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Una serie di sfortunati eventi

«A gennaio 2016 io e la mia ragazza ci siamo lasciati. Ci conoscevamo da 25 anni, e stavamo insieme da 5 anni. Quando abbiamo rotto, tutto è diventato più difficile. Ho anche pensato di lasciare tutto e tornare in Italia. Non avevo la caparra per un appartamento e dovevo pagare l’Ausbildung. Alla fine ho trovato un appartamento in subaffitto, mi ci sono trasferito e poi l’ho condiviso con un amico. Sono passato dal convivere con la mia ragazza ed essere felice, a convivere in un monolocale con un mio amico e lavorare giorno e notte per pagare la scuola».

Tutto è diventato ancor più complicato

«Con l’Ausbildung è stata dura, tanto. Il problema grosso era che pagavo 350 euro al mese. In teoria si potrebbero richiedere gli aiuti statali ma solo fino ai trent’anni. Io ero troppo vecchio, ne avevo già 32 quando ho cominciato. L’unica possibilità che avevo era mettermi sotto, lavorare e studiare ogni giorno, lavorare anche il sabato e la domenica, lavorare di notte, andare a scuola la mattina presto, lavorare nelle vacanze. Per fortuna la mia famiglia mi ha aiutato molto per quel che poteva permettersi. Studiavo in tram, tra un lavoro e l’altro e anche un paio d’ore la sera dopo le nove, quando tornavo dalla pizzeria. Per fortuna apprendo velocemente, per la maggior parte guardando e ascoltando. Comunque, a parte anatomia e fisiologia, molte cose le ho imparate sul campo. Di sicuro, mi ha avvantaggiato aver fatto scienze motorie».

 

Una lettera insperata ha cambiato tutto

«A inizi giugno quando ho perso di nuovo la casa e la scuola mi ha prolungato di 6 mesi l’Ausbildung, è arrivata la lettera dei Vigili del fuoco, il famoso concorso fatto a cavallo tra il 2009 e il 2010. Mi hanno chiamato a fare le visite mediche e sono risultato idoneo. A ottobre comincio il corso di preparazione. Ho parlato con la scuola e ho chiesto sei mesi di pausa. Ad aprile-maggio, prima che il corso dei Vigili del fuoco finisca, chiederò l’aspettativa per motivi di studio e tornerò per fare gli ultimi esami qui a Berlino. Sono deciso a finire fisioterapia. Ci ho investito troppo. In più, paradossalmente, avrei la possibilità di fare carriera come fisioterapista dei Vigili del fuoco».

Aiutare gli altri: ecco cosa accomuna fisioterapia e i Vigili del fuoco

«Ho sempre voluto fare lavori in cui mi è possibile aiutare gli altri. Credo di aver scelto fisioterapia proprio per questo. Per le stesse ragioni sono entusiasta di iniziare con i Vigili del fuoco. Anche quando facevo l’istruttore di nuovo, ero felice di me stesso quando vedevo nuotare spensierato un bambino che prima aveva paura anche solo di avvicinarsi all’acqua. Ho sempre sentito l’esigenza di prendermi cura degli altri, di avere responsabilità, di intervenire per migliorare qualcosa, per risolvere un problema. Anche quando lavoravo in ospedale, mi piaceva vedere che la gente stava bene anche grazie a me».

Vivere a Berlino

«Berlino è una città particolare, piena di giovani e locali notturni dove ci sono party che durano anche tre giorni. Se non si ha la testa giusta è molto facile cadere nel vortice dell’alcool e delle droghe perché qui non c’è limite al divertimento. Se invece ti concentri troppo sul lavoro o non sei amante dei locali notturni, rischi di chiuderti in casa e cadere in un altro vortice: quello della solitudine. Per quanto mi riguarda, credo che si possa trovare il giusto equilibrio. Bisogna avere testa e lucidità, anche nello scegliere i propri divertimenti. Ai ragazzi di vent’anni che si sono trasferiti a Berlino e che si sentono un po’ spaesati dico “imparate il tedesco e fate l’Ausbildung“. Se impari il tedesco, ti si aprono tantissime porte. Se non lo impari sarai sempre limitato in tutto: dal lavoro, ai rapporti sociali, alla vita quotidiana: fare la spesa o occuparsi della burocrazia. E questo significa non essere mai veramente indipendenti, ma dover sempre chiedere un aiuto a chi il tedesco lo parla».

©Antonio Di Pietro

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L’Italia e la Germania

«L’Italia mi manca e mi mancherà sempre. Noi romani siamo molto attaccati alla città, un po’ come i napoletani. Tante cose mi mancano di casa, dal cibo agli affetti. All’inizio ho avuto qualche problema con i tedeschi, c’erano tante differenze culturali. Per esempio, in Italia se stai chiacchierando con qualcuno e una terza persona arriva, chiede di potersi inserire nella conversazione; invece il tedesco arriva senza troppe cerimonie e ti ritrovi a fissare la sua schiena. Queste differenze, all’inizio, creano dei limiti nei rapporti. Poi inizi a capire che è la loro cultura e lo accetti. Mi dispiace lasciare Berlino. Penso che una città come Roma abbia tanto da imparare da Berlino, dai trasporti al sistema degli Ausbildung che ti permette di inserirti davvero nel mondo del lavoro. Anche se mi sento di dire che anche loro potrebbero imparare qualcosa da noi. La mia esperienza mi fa dire che è vero che i tedeschi sono più freddi degli italiani e che una cosa che manca a Berlino è proprio la sensibilità. Qui i rapporti sono molto più razionali rispetto all’Italia e nei legami c’è come una barriera, ognuno fa il suo. Oltre questo, nient’altro. Ho ritrovato un po’ lo stesso atteggiamento anche nel sistema sanitario che ho vissuto in prima persona con il tirocinio in ospedale. E’ vero che in Germania è tutto molto più veloce, non ci sono attese di mesi o addirittura anni per una visita specialistica, come accade in Italia. Le strutture sono ottime, assolutamente all’avanguardia. Però il paziente è seguito meno che in Italia, lo si ascolta poco e il rapporto che si crea è quasi sempre molto standardizzato».

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Foto copertina:©Andrea D’Addio.