Marco Papa

A tu per tu con Marco Papa, jazzista specializzato in improvvisazione di scena a Berlino

Davanti al jazz non si rimane indifferenti, non vi si può rimanere. Quei ritmi, quei suoni, quella musica che tanto sanno di libertà e che coinvolgono anche chi, come me, nulla o poco sa di musica.

Nella mia ignoranza, non conoscevo la musica jazz e devo questa scoperta a Marco Papa. Toscano di Prato, ha studiato al Conservatorio di Vicenza e si è trasferito a Berlino nel 2014. Il luogo di questa scoperta, un locale di Wedding, sembra la sintesi, per dirla in modo atecnico ma affettuoso, dell’arte dell’improvvisazione. Tante componenti diverse fra loro, che si fondono in un’armonia incredibile. Marco sorride e pensa che io sia senza speranza. Allora gli chiedo di parlarci di lui e della sua arte.

Perché la musica?

Marco, ci pensa un attimo, poi, tutto d’un fiato risponde. «Hai presente una coppia di 80enni che passeggia a braccetto sorridendo e ricordandosi dell’avvenimento accaduto. Non so, magari quando avevano 30 anni, e ancora oggi ridono e ne portano il ricordo con gioia? Ecco, questa è la musica per me. Come si fa a farne a meno? Non si può fare a meno di viverla ed amarla. Esperienze di qualsiasi genere che rimangono in te. Ti formano e ti danno il modo di crescere, sviluppando un’idea sempre più chiara di cosa ti fa felice. Questo è il mio modo di vivere la musica, ed anche il mio modo di condividerla durante i concerti. Credo sia molto importante mettere a nudo le proprie emozioni quando si suona. Alla fine gli strumenti musicali sono un mezzo di comunicazione, quindi o si comunica una cosa già stata detta o si comunica se stessi. Ecco, tendenzialmente mi ritrovo di più nella seconda ipotesi».

Si ferma un istante e poi riprende. « Vivo di musica, e anche se in passato ho fatto altro nella vita, la mia testa è sempre stata lì. Sempre a generare idee collegate al suono e a farmi domande a riguardo. Poi non c’è da sottovalutare il fatto che vivere di musica raggruppa tantissimi aspetti. Dai concerti all’insegnamento, alle commissioni ecc. e sono tutti aspetti davvero differenti fra loro.. Aspetti che richiedono capacità e livelli di concentrazione alle volte molto distanti fra loro».

La musica preferita

«Sono cresciuto circondato da LP di qualsiasi genere musicale. Mio padre è un collezionista e in casa si ascoltava di tutto, dalla musica classica alle ricerche più disparate nel campo dell’ elettronica. Ricordo che ogni volta che sentivo qualcosa di nuovo ero curioso, e mi domandavo chi era che aveva pensato di produrre quelle sonorità. Ora che mi ci fai pensare realizzo che sono sempre stato molto attratto dal lato umano del musicista. Credo che la musica rispecchi molto la persona che la crea ed i suoi tratti caratteriali. Una volta intrapresa la strada dello strumentista ci sono stati periodi di studio che si incentravano più su un musicista o su un genere specifico che su un altro, e via dicendo. Questo fattore però riguarda più l’apprendimento di un bagaglio tecnico strumentale e di consapevolezza esecutiva  che un amore verso un genere o verso un musicista. E non si pensi che questo lavoro abbia una fine. Un musicista attivo ogni giorno scopre che c’è un aspetto musicale che vorrebbe approfondire, e a quanto pare sembra che una vita sola sia troppo poca. Credo che non esista un “perfetto” in musica. Penso invece che esistono tante qualità, ed ognuna racchiuse in un musicista/compositore differente».

Come si arriva all’improvvisazione musicale

«All’improvvisazione ci sono arrivato dall’esigenza di voler suonare una musica libera, che non fosse racchiusa in schemi predefiniti. Allora ho scoperto il mondo dell’improvvisazione, che anche se nel corso della storia ha assunto dei linguaggi diversi. Lascia sempre aperta la strada della composizione estemporanea, dove le forme musicali vengono create sul momento e tutto in rispetto della musica. Senza forzarla o costringerla a dover per forza fare qualcosa. Credo sia il fattore che mi attrae di più. Una forma di sensibilità magnifica nei confronti di questa materia e che ho trovato solo in questo canale. L’improvvisazione non pone limiti né costrizioni di genere. Tutto è inseribile se il momento musicale lo richiede. Chi fa improvvisazione sviluppa una ricerca talmente forte da trasformarsi in un proprio linguaggio. Alle volte mi capita di incontrare degli improvvisatori che non sono dei musicisti laureati in conservatorio o che non vivono di musica, ma che mettono una passione talmente forte nella loro ricerca e nello sviluppo del loro metodo da essere dei veri e propri maestri in quello che fanno. E lo fanno bene, perché la loro mente è concentrata e le loro idee esecutive sono chiare».

Suonare con altri musicisti

«Non esiste una coesione fra due cose, perché stiamo parlando della solita cosa, o forse non ho capto bene la domanda che mi volevi fare!». Mi scuso per la domanda poco chiara, sto per riformularla, quando Marco riprende. «Con i colleghi ci suono quello che so che ci posso suonare. Non chiederei mai ad un musicista jazz di fare un concerto di improvvisazione. Al massimo sarà lui a dirmi che è interessato alla materia e vorrà sicuramente capire di cosa si tratta prima di affrontare un concerto. L’improvvisazione, pur essendo una musica libera, ha delle vere e proprie regole. Anche se non sono scritte. Non basta mettere delle persone a caso e dirgli suonate quello che vi pare, non funziona proprio così. L’improvvisazione richiede un ascolto, una lucidità ed una consapevolezza esecutiva molto forte. E questo livello si raggiunge con esercizi, ascolti e ricerca e pratica». Ed in effetti, era proprio questo l’aspetto che mi incuriosiva.

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L’unicità dell’improvvisazione

«Non mi dispiace, anzi, è il gioco forza della musica improvvisata. Altrimenti è un gruppo, un progetto musicale  che magari è basato su tecniche di improvvisazione. Credo che quando le persone iniziano a suonare troppo assieme si perda un po’ dell’elemento sorpresa, anche nell’improvvisazione. Perché si iniziano a capire i linguaggi degli altri e quindi a realizzare consapevolmente come si comporterà un determinato musicista quando succede un certo evento musicale. Questa è una grande forza in un certo senso, la forza del gruppo appunto. È molto divertente invece quando conosci già un musicista, ci suoni improvvisazione assieme, ma con formazioni differenti. Allora escono fuori varie sfaccettature che magari la volta prima non erano venute allo scoperto. Nelle esibizioni successive si riprende tutto e niente allo stesso tempo. Tutto come esperienza e come bagaglio personale esecutivo e di linguaggio. Niente per non aver nessuna memoria storica e non andare a ricercare le solite idee della volta prima».

Ma nell’improvvisazione, come nel Jazz, si può accompagnare la musica col canto?

«Nell’improvvisazione, la voce, come tutti i mezzi di espressione artistica, è un strumento per mettersi in comunicazione con gli altri improvvisatori/performer, durante una session. La voce accompagna, viene accompagnata e ricopre un ruolo pari a qualsiasi altro mezzo di espressione artistica. Tutto quello che accade nell’improvvisazione dipenderà sempre da cosa si sta musicalmente sviluppando in quel preciso momento e da come viene contestualizzato».

Un musicista è anche, in parte, un ideatore di strumenti: sbaglio? Tu ad esempio, possiedi, fra altre, una chitarra fantastica che è stata costruita ad hoc e che hai personalmente modificato. Quanto studio e quanto passione ci sono nella scelta dello strumento?

Ci pensa un attimo, e riprende. «La scelta di uno strumento nasce dall’esigenza di aver la possibilità di riprodurre un determinato suono. Alle volte il suono che cerchi è già stato introdotto in commercio, e allora basta comprare quel che ti serve, metterlo assieme, e il gioco è fatto. Alle volte il suono che cerchi ce lo hai in testa tu, e devi trovare dei modi per riprodurlo. Essendo principalmente un chitarrista elettrico faccio una ricerca molto precisa e dettagliata sull’utilizzo dell’elettronica interfacciata allo strumento. Questo mi permette di avere una rosa timbrica e delle scelte sonore molto ampie. Un po’ come la tavolozza di un pittore con i suoi colori. Procurarseli sarà facile, poi è il modo in cui la sua testa li stende sulla tela che fa la differenza e lo rende riconoscibile».

E, sorridendo, aggiunge: «Un’altra ricerca interessante è quella di come far entrare tutto in un trolley. In modo da poter prendere rapidamente un aereo e riuscire a portare con me il mio suono».

Poi, riprende. «Altre persone invece fanno una ricerca di preparazione acustica. Una cosa che trovo molto interessante. Decontestualizzano il proprio strumento inserendo oggetti oppure cercando tecniche nuove per suonarlo. Capita spesso di incontrare batteristi che suonano i piatti con gli archetti del violino. Oppure chi si costruisce strumenti con molle ed oggettistica varia per riprodurre determinati timbri. Ecco, trovo la cosa molto interessante ma in questo caso, il mio strumento, non essendo in possesso di una acustica forte, mi pone dei limiti tecnici. Potrei inserire della carta fra le corde o utilizzare dei legnetti per sfregare le corde e riprodurre un timbro, ma nulla cambia. Per produrre un suono sarò sempre costretto a passare da un cavo che finisce in un amplificatore e fare i conti con l’elettricità».

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Veniamo a Berlino. Cosa ti ha dato e cosa ti ha tolto questa meravigliosa città?

«Berlino non mi ha tolto niente, anzi, mi ha dato molto. Non nego che come tutti i posti ha i suoi pregi e i suoi difetti. Mi sono mosso in questa città perché avevo intenzione di fare una crescita musicale ben precisa e di essere circondato da persone con le quali potessi affrontare questa esigenza. Il mio focus è sempre stato su questa idea e a Berlino sono riuscito a trovare tutte le cose che cercavo. Sono molto contento di aver fatto questa scelta in passato. Nell’arco di tre anni ho registrato svariati dischi, pubblicati con varie etichette, sia berlinesi che italiane. Ho organizzato dei tour assieme a colleghi con i quali collaboro anche attualmente, e queste sono le cose che mi fanno felice. Le cose che faccio e che continuerò a fare. Attualmente ho molte persone alle quali sono legato che vivono a Berlino e con le quali collaboro tutte le volte che posso».

Il tuo progetto di vita musicale sta prendendo forme e suoni anche in Italia. Come pensi che s’influenzeranno fra loro le due realtà musicali?

«Ho deciso di spostare la mia “casa base” in Italia per questo inverno. Ho intenzione di conoscere musicisti nel territorio italiano ed attivare collaborazioni inerenti alla musica improvvisata e all’avanguardia. Per fare questo c’è bisogno di una presenza fisica costante, non basta prendere un aereo per venire a fare un concerto ogni tanto. Ho bisogno di conoscere o creare realtà che diano spazio a determinati tipi di musica. Realtà che al momento conosco davvero in modo limitato nel mio territorio natio. Poi chissà cosa succederà e dove mi porterà la mia vita! Sicuramente Berlino mi ha formato molto, sia dal punto di vista pratico che intellettivo. Credo che qualsiasi cosa succederà nella mia vita, non potrò fare a meno di comportarmi come se fossi ancora li. In Berlino ho trovato tutta la libertà di pensiero e di azione di cui avevo bisogno. Ed ho avuto la fortuna, che ho anche adesso, di essere circondato da persone che hanno voglia di fare perché credono davvero nelle cose che fanno».

Qualche consiglio per chi s’avvicina all’improvvisazione a Berlino?

«Dare un occhio al sito Echtzeitmusik. Ci si trova un bell’elenco di concerti con programmazione giornaliera, e sono tutti dedicati all’improvvisazione o alle performance. Il resto è abbastanza automatico. Conoscere persone con le quali collaborare se si è musicisti oppure andare ad ascoltare i concerti se si è amanti del genere o se ci si vuole avvicinare a questo tipo di musica. Riconosco che se si è ascoltatori all’inizio si potrà delle piccole difficoltà nel capire quel che succede durante un concerto. Ma non vi preoccupate, passa subito come sensazione se si ascolta con una mente proiettata verso il concetto».

Marco sorride e mi saluta.

Lo ringrazio e ci diamo appuntamento al 29 settembre a Wedding. Ironia della sorte, non molto lontano da dove per la prima volta, mi ha parlato dell’improvvisazione.

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