Berlino non è la città di tutti i sogni, ma lo è del mio

di Melissa Cordoni

Berlin ist keine Traumstadt, Berlino non è la città dei sogni. Anche perché: i sogni di chi? Del manager britannico, che non sa delle luci – e ombre – di Kreuzberg, troppo impegnato a scivolare svelto tra gli uffici ordinati di Potsdamer Platz e il terminal tre dell’aeroporto di Schönefeld che annuncia il suo terzo volo settimanale verso casa? O i sogni del turista italiano che fotografa la torre ad Alexanderplatz, riflessa nelle lenti del Carrera pietrificate dal freddo di metà gennaio? Oppure quelli del ragazzo seduto nel pavimento grigio della metro, che ha la musica stampata negli occhi, la chitarra tra le mani e un cappello rovesciato con qualche spiccio al suo fianco? I sogni del ragazzo di periferia, che si lascia ancora trascinare dalla corrente di passi e visi e storie, che scendono decisi allo Zoologischer Garten per cercare di saltare in tempo sul vagone giallo per Osloer Straße prima che la voce della BVG ricordi a tutti di zurückbleiben (bitte)? Oppure i tuoi, di sogni, che cerchi ostinato, nel vento, il modo per decifrare il disegno impenetrabile del tuo futuro, quello che sfugge troppe volte dalla traiettoria dei tuoi sguardi attenti?

Berlino non è la città dei sogni. O forse sì. E lo è per chiunque abbia la fede e la dedizione necessaria per cercar-si. Lo è per chiunque saprà, ancora una volta, di non essersi cercato abbastanza. Berlino è la città dei sogni per chiunque, alla fine, in qualche modo, saprà di essersi trovato. Tra le sirene che squillano per le strade di Görlitzer Bahnhof , nelle attese ordinate davanti ai semafori, nelle voci infinite di persone infinite nei viaggi infiniti in una città che infinita non è. Se non ai tuoi occhi. Gli occhi di chi, nelle passeggiate solitarie, ha trovato la sua risposta. Gli occhi di chi ha capito che sì, bisogna perdersi nel traffico di metro, auto e possibilità, per saper e voler ritrovarsi di nuovo. Gli occhi di chi ha capito che sì, per sentirsi liberi è necessario avere coraggio. Il coraggio di cambiare senso di marcia e andare contro la corrente di passi e visi e storie che, ogni giorno, allo stesso modo, scendono allo Zoologischer Garten. Il coraggio di perdere il volo, anche una sola volta, e sentirsi cittadino del mondo, tra le vie di Kreuzberg. Il coraggio di togliersi gli occhiali da sole e fissare le luci rosse in cima alla torre, nel freddo di metà gennaio. Il coraggio di sentirsi se stesso e dire a tutti che sì, la risposta che stanno cercando è nelle sei corde di una chitarra, che suona lenta mentre la scritta arancione lampeggia e annuncia l’arrivo dell’ennesima metro. Il coraggio di spalancare gli occhi e, nel vento, seguirlo, il disegno stropicciato del proprio futuro.

Berlin ist keine Traumstadt. O forse sì. E lo è per chiunque, nelle voci infinite di persone infinite nei viaggi infiniti in una città che infinita non è, avrà il coraggio necessario per essere, a suo modo, infinito. Lo è del mio.

Photo (C) Sibe Kokke CC BY SA 2.0