Breve sintesi per capire perché la Germania non poteva non entrare in guerra in Siria

La complessità del quadro siriano e del pericolo di IS per l’Europa ha costretto il governo di Berlino ad abbandonare la dottrina del non-intervento e decidere d’intervenire militarmente in Siria, una svolta nella storia della recente politica estera tedesca. Angela Merkel desidera così dare alla Germania un nuovo ruolo internazionale, ma, sembra, soprattutto rilanciare internamente la sua politica, che parrebbe tutt’altro che sulla via del tramonto dopo 10 anni di cancellierato e la recente nomina, da parte di Time, di persona dell’anno.

La decisione della Germania d’intervenire in Siria segna una svolta nella storia della recente politica estera tedesca. Dopo che la Repubblica Federale si era astenuta dall’intervenire in Iraq (2003) e in Libia (2011), ora il governo di Berlino, sorprendendo gran parte dei commentatori, ha deciso di appoggiare il governo francese nella battaglia allo Stato Islamico (IS). La Germania ha così abbandonato la dottrina del non-intervento di cui si era fatta interprete dopo le conseguenze (considerate fallimentari a Berlino) delle guerre in Afghanistan e Iraq.

Perché la Germania stavolta ha deciso di impegnarsi in Siria? Se le astensioni dalle guerre precedenti erano condizionate da ragioni di equilibri interni (Iraq) e da motivazioni commerciali e geo-politiche (Libia), la scelta di partecipare alla missione militare in Siria ha varie motivazioni. La prima legata al nuovo ruolo internazionale della Germania, la seconda relativa alla necessità di Angela Merkel di rilanciarsi politicamente a livello interno e così ricompattare il fronte conservatore dopo le divisioni degli ultimi mesi per la gestione dei rifugiati.

Sin dalla crisi dell’eurozona la Germania, pur senza cercarlo direttamente, ha acquisito un sempre maggiore peso e una crescente responsabilità nelle crisi internazionali. Fino a ora Angela Merkel aveva utilizzato il suo potere e la sua capacità di persuasione per privilegiare la via diplomatica, anche su tavoli diversi, come la Grecia, l’Ucraina e la Crimea. La lotta all’IS però è diversa, gli attentati di Parigi ne sono stati l’ulteriore conferma. Pur riconoscendo l’importanza di trovare una soluzione politica in Siria con un accordo tra le varie fazioni in campo (oltreché con la Turchia con cui il governo tedesco dialoga da tempo), la complessità del quadro siriano e del pericolo che rappresenta l’IS per l’Europa (anche in Germania) ha costretto il governo di Berlino a non potersi tirare indietro.

Qui s’inserisce anche il secondo, fondamentale, fattore che ha spinto il governo tedesco all’azione militare. La crisi dei rifugiati ha rappresentato il momento più delicato per Angela Merkel da quando è cancelliere. Il punto di rottura con i cristiano-sociali e una parte della Cdu, partner di governo e di partito, è stato molto vicino. Del resto, nell’ultimo anno il fronte conservatore ha dovuto incassare sconfitte pesanti, dall’annullamento del Betreuungsgeld (sistema con il quale si sostenevano le donne a rimanere a casa per accudire i figli) al pedaggio autostradale per gli stranieri fino al terzo pacchetto di aiuti alla Grecia. Con l’apertura ai rifugiati si è toccato il punto di non ritorno. La linea del cancelliere, pur di grande responsabilità politica, ha rischiato di mettere realmente in crisi la coalizione di governo (non ovviamente sul fronte dell’alleanza con i socialdemocratici ma con i cristiano-sociali). La decisione di partecipare militarmente alla missione in Siria è anche una concessione strategica ai conservatori che spesso cavalcano con eccessiva retorica i temi della sicurezza e degli immigrati. Da sempre molto brava a fiutare il sentimento e le emozioni dei tedeschi, Merkel ha capito che buona parte dell’elettorato ritiene giusto appoggiare le azioni militari della Francia. Secondo il DeutschalndTrend ben il 58% dei tedeschi è favorevole. In questo modo Merkel spera di togliere anche argomenti all’estrema destra di Alternative für Deutschland che negli ultimi mesi, nei sondaggi, ha visto crescere di molto i suoi consensi. Con la partecipazione alla missione in Siria il Cancelliere appare forte e deciso dopo che con la crisi dei rifugiati aveva mostrato un volto forse fin troppo benevolo. Una mossa che molto probabilmente le riconsegnerà buona parte del consenso perso negli ultimi mesi e che dimostra come il cancelliere, diversamente da tante analisi troppo semplicistiche, sia tutt’altro che arrivato al capolinea.

Le scelte di Berlino in politica estera sono ancora una volta condizionate da fattori non strettamente legati al campo di intervento specifico. In ogni caso Berlino interverrà con sei tornado con compiti di proteggere gli aerei francesi. Del resto, i tornado tedeschi, che risalgono a una tecnologia degli anni Ottanta, non sembrano neanche i più adatti a operazioni militari chirurgiche come quella in atto in Siria. Saranno, invece, 1200 i soldati tedeschi che parteciperanno alla missione. Si tratta del maggior numero di militari impegnati, sebbene, ricordiamolo, non sia previsto alcun utilizzo di truppe di terra. Lo stesso vice cancelliere, il socialdemocratico Sigmar Gabriel (SPD), ha ricordato in una recente intervista che: «per un intervento delle truppe di terra avremmo bisogno di un chiaro mandato delle Nazione Unite. E in ogni caso dovremmo comunque chiederci se noi, come europei e occidentali, siamo le persone giuste per un simile intervento. I terroristi islamisti non aspettano altro che americani ed europei inviino le truppe di guerra, in modo da alimentare la loro propaganda contro l’Occidente». Inoltre, ha aggiunto Gabriel, «dovremmo interrogarci sulle nostre responsabilità della nascita dell’IS. Noi socialdemocratici siamo orgogliosi che Gerhard Schröder si sia opposto alla guerra in Iraq (2003) che la CDU, al contrario, voleva appoggiare».

L’intervista di Gabriel apre una serie di interrogativi sull’intervento in Siria che, vista la storia recente delle guerre contro il terrorismo islamico, rischia di destabilizzare ancora di più una zona il cui caos è stato creato in gran parte dalle forze occidentali con la guerra in Iraq e la caduta di Saddam Hussein.

Nella coalizione anti-IS al momento ognuno sembra perseguire i propri interessi nazionali, la Turchia bombarda principalmente i curdi, i russi rafforzano Bashar al-Assad, la Francia attacca l’IS. In questo quadro confuso la posizione del governo tedesco è certamente in seconda linea e sembra più interessata a sfruttare la situazione per rafforzarsi a livello interno. Tuttavia, l’intervento di Berlino resta paradossale perché, come ha sottolineato Robin Alexander sulla Welt, la Repubblica federale ha intrapreso ufficialmente una guerra al fianco del regime di al-Assad da cui fuggono migliaia di cittadini che vengono accolti in Germania.

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Articolo precedentemente pubblicato su ISPI online.
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Photo: Airwolfhound CC BY Sa 2.0