Call me reality, a Berlino lo spettacolo performance di Daniela Lucato

Buio. Due attori giacciono su un pavimento irradiato dalla sola proiezione di piccole luci bianche, mentre  le loro voci fuori campo si alternano in battute ispirate a situazioni di vita quotidiana. Mentre uno dei due continua a rimanere disteso, l’altro – o meglio l’altra (sono un lui e una lei) –  si rivolge direttamente al pubblico proponendo una riflessione critica sul ruolo svolto dai beni materiali e dalla tecnologia ai giorni nostri (“Can you all please put your iPhone here on the floor please? […] Why won’t you give me your phone? I know why.. cause you’re dead without it, you’re dead!”). E’ difficile ottenere riscontri dal pubblico in questi casi, lo spettatore è intimidito, ma ciò non toglie che ormai la sua attenzione è catturata e la performer può ora guidarlo all’interno di un intricato percorso cognitivo. A metà fra un Virgilio dantesco e il Morpheus di Matrix, questa donna cibernetica interroga in maniera spietata e sprezzante il pubblico e, soprattutto, il personaggio maschile, Bob, da lei risvegliato e catapultato in una dimensione altra e la cui esistenza si rivela alquanto confusa, falsata, a tratti addirittura “negata” tanto che a volte gli si fa credere che si tratti solo di un gioco, di finzione (“It’s a game Bob, it’s just a game”) e che lui stesso, in realtà, non sia altro che il frutto dell’immaginazione di lei (o sarà forse il contrario?). Chi è “chi” e che opinione si deve avere di loro? La trama si fa sempre più complessa.

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