Conrad Schumann e quel salto oltre il Muro di Berlino

Fa freddo ed è buio. Siamo in fila stretti tra due lunghe e alte transenne. Nessuno parla. Sappiamo che ci controllano. Ci muoviamo lentamente verso l’edificio minaccioso solo in mezzo alla fanghiglia, spettrale. Un alto parallelepipedo grigio di cemento armato e noi come topini infreddoliti. La gente ha anche paura di tossire. Tutti vestiti di scuro. Si respira ansia. Sento le suppliche gli scongiuri di chi è arrivato all’ingresso. Non so perché, ma mi viene di pensare a Conrad Schumann, forse perché poco prima sono passato per l’Est Side Gallery. Il più grande tracciato del muro rimasto in piedi è pieno di murales. Quelli più belli sono la Trabant che spacca il muro e il bacio tra il capo della DDR e Breznev. C’è anche una caricatura di Conrad Schumann che salta il filo spinato. È un soldato modello. È stato il migliore della sua classe, è stato il migliore del suo corso. Solo i migliori venivano reclutati nella BePo, la polizia antisommossa della DDR. È la mia foto preferita. Ne ho comprato un manifesto che ho appeso in camera.

Conrad aveva 19 anni e veniva dalla Sassonia, l’avevano mandato a vigilare la costruzione del muro nel 1961. Lui era di guardia, aveva capito che avrebbe dovuto sparare a delle persone per non farle passare. Con uno scatto, rischiando la vita, lui che doveva difendere quella divisione, scattò dall’altra parte. E dall’altra parte c’era il fotografo Peter Leibling di Amburgo, coetaneo di Conrad, che siccome era giovane, era costretto a fotografare per il suo giornale corse e salti di cavalli. Ma data l’eccezionalità dell’evento l’avevano mandato a Berlino. Si dice che lui odiasse fotografare cavalli, ma forse proprio ciò fu la sua fortuna, perché impratichito dalla fotografia sportiva, riuscì a immortalare il balzo di Conrad verso la libertà, mentre disturbato dal peso del fucile appoggia lo stivale sul filo spinato rischiando d’inciampare. Gli avrebbero sicuramente sparato.

Tocca a me essere selezionato. Rispondo allein (da solo) alla domanda di un brutto ceffo. Faccia da cinghiale pieno di tatuaggi mi scruta dietro i suoi occhali viola. Con un gesto della mano m’indica di togliermi da mezzo: sono stato scartato. Faccio finta di nulla, mi allontano di un passo, do un ultimo tiro alla sigaretta, la lascio cadere. Appena tocca per terra mi lancio tra i brutti ceffi che presi alla sprovvista non riescono a fermarmi. Faccia da cinghiale inizia a urlare chissà cosa in tedesco. Sento che mi stanno per acciuffare, ma sguscio via. Un tipaccio mi mette uno sgambetto e io lo salto mentre una fotografa mi fa uno scatto e penso se anche lei si è impratichita a scattare foto ai cavalli. Ma forse è stata un’allucinazione, qui è vietato fare foto, eppure faccia da cinghiale è un fotografo professionista. Qualcuno ha detto che ogni muro è una porta. Corro senza fiato, m’inseguono. Arriva un’ondata di musica che mi stordisce, evito gente poi m’infilo dietro una porta: è tutto scuro. Sono salvo, non mi possono trovare. Le mani che mi sfiorano e mi accarezzano al buio non sono dei miei inseguitori. Grazie per l’ispirazione Conrad Schumann. Sono riuscito ad entrare al Berghain.

Foto di copertina: Bernauer Straße © Michael CC BY-ND 2.0