© Cesar Dezfuli - IUVENTA

«Cosa ho scoperto mentre giravo Iuventa, il film girato sulla nave dell’ONG tedesca più discussa del Mediterraneo»

Un film su una delle imbarcazioni più discusse quando si parla di migranti e ONG

Il nuovo film di Michele Cinque non si poteva che chiamare Iuventa, ovvero come la nave che lo ha ospitato per alcune settimane per girare un eccezionale documentario che documenta come operano normalmente le ONG nel Mediterraneo. La Iuventa è stata acquistata nel 2015 da un gruppo di ragazzi tedeschi tramite crowdfounding con lo scopo di salvare i migranti nel Mediterraneo. Dietro c’è una ONG, la Jugend Rette, fondata dagli stessi ragazzi. Per più di un anno la nave ha operato sul Mediterraneo, ovvero fin quando – il 2 agosto 2017 – non è stata sequestrata nel porto di Lampedusa con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Il documentario di Michele Cinque attraversa la vita sulla barca, le speranze e i timori dei ragazzi della ONG, il ritrovamento dei barconi e i drammatici salvataggi. Dopo essere stato presentato al Biografilm Festival di Bologna, il film sarà presentato in estate in  diverse città tedesche tra cui Dresda, Lipsia, Magdeburgo, Norimberga, Hannover e Halle.

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La genesi di Iuventa il film documentario di Michele Cinque

«Era la tarda primavera del 2016 e la Iuventa, il vecchio peschereccio acquistato da Jugend Rettet grazie a un crowdfunding, era in partenza dalla Germania verso Malta, da cui sarebbe salpato pochi giorni dopo per la prima missione di salvataggio nel Mediterraneo Centrale. Appena ho letto questa notizia sulla stampa italiana mi sono subito innamorato della storia, non tanto per la componente sensazionalistica dei salvataggi in mare, ma piuttosto per lo slancio utopico di questi ventenni tedeschi che avevano deciso di non arrendersi di fronte a un mondo che sembra impossibile da cambiare».

I giovani ragazzi a bordo della Iuventa

«I ragazzi provengono da famiglie della classe media tedesca ed europea. Il minimo comune denominatore tra tutti i ragazzi che in oltre un anno di operazioni hanno partecipato al progetto (oltre 200) è la giovane età. Questo penso rappresenti un esempio per un’Europa che sta pericolosamente sprofondando nell’intolleranza e nella paura, una grande lezione data da un gruppo di ragazzi provenienti da molti paesi europei». I ragazzi della giovane ONG erano quasi tutti tedeschi, ma questo non ha fermato il regista: «Ci sono state molte difficoltà, forse tra le più grandi direi la barriera linguistica. Io purtroppo non parlo tedesco e la maggior parte del tempo i protagonisti parlavano fra loro in tedesco. Presto però mi sono abituato facendo di questo handicap un punto di forza: non capendo razionalmente i discorsi ero focalizzato sul linguaggio del corpo e del viso, su quel livello di comunicazione universale che va oltre la comprensione logica. Penso che questo processo, assolutamente non convenzionale, abbia restituito qualcosa di veramente autentico al film».

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La realtà a bordo delle ONG

«Ho scoperto molte cose che chi non è stato a bordo di una nave di ricerca e soccorso non può immaginare. Intanto che le operazioni nel Mediterraneo erano coordinate secondo regole ferree dal Centro di Coordinamento della Guardia Costiera di Roma, che negli anni ha svolto un incredibile lavoro, gestendo le emergenze in quell’immenso tratto di mare tra l’Italia e la Libia. Nessun salvataggio o azione propedeutica ad esso  – come lo sconfinamento in acque libiche di cui spesso vengono accusate le ONG –  è mai stato fatto senza il consenso di Roma. Ho scoperto che ci sono altri, oltre alle ONG, in quel tratto di mare. Gli Engine Fishers ad esempio che in piccole imbarcazioni veloci gravitano intorno ai barconi stracolmi di migranti come avvoltoi. Questi intervengono nel bel mezzo dei salvataggi, recuperano il motore dell’imbarcazione e in fretta e furia si dirigono verso la Libia. Spesso questi personaggi sono armati e possono mettere a rischio la riuscita di un salvataggio. Nell’ultima fase della produzione, quando mi sono trovato nel mezzo della tempesta mediatica e delle accuse che hanno travolto la Iuventa, ho scoperto che l’indagine contro le ONG partiva da lontano e che dietro c’erano interessi di organizzazioni di estrema destra. Ho scoperto che questa storia è molto più complicata di quanto sembri. Ho anche scoperto però che un gruppo di ragazzi, se determinato e ben organizzato, può riuscire a generare un cambiamento di cui forse ancora non comprendiamo la portata».

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L’opinione pubblica in merito a IUVENTA e le impressioni dei ragazzi tedeschi dopo il sequestro della nave in Italia

«Penso che si è scritto molto e a volte a sproposito. Spesso chi ha scritto non ha la minima idea della realtà che si vive nell’area di ricerca e soccorso, che forse non conosceva nemmeno i trattati internazionali che l’Italia ha firmato come tutti i paesi Europei, trattati che sanciscono l’obbligo di aiutare le imbarcazioni in difficoltà, per non incorrere nel reato di naufragio colposo e omicidio colposo». Penso che la narrazione sulle ONG e su quello che succede nel Mediterraneo sia stata pericolosamente semplificata e strumentalizzata per generare consensi». In merito al sequestro della nave, Michele Cinque ci racconta della reazione dei ragazzi: «Non me la sento di generalizzare, ma sicuramente le esperienze vissute in Italia non sono state piacevoli per i ragazzi della Jugend Rettet. Nonostante questo hanno sempre difeso l’Italia e sottolineato come fosse stata lasciata sola dall’Europa a far fronte all’emergenza. La generazione dei ragazzi della Iuventa si sente profondamente europea e la loro critica non è mai andata contro un singolo stato ma è sempre stata rivolta alle istituzioni europee affinché si potesse ristabilire un programma di salvataggio statale sull’esempio di Mare Nostrum».

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L’immigrazione in Europa secondo Michele Cinque

«Io non sono un politico, ma penso che i migranti economici rappresentino una ricchezza per degli stati che come l’Italia sono costantemente in calo demografico, come dimostrato da molte ricerche di noti economisti». «Non dimentichiamoci che un secolo fa eravamo noi Italiani ed Europei i migranti economici che partivano a cercare “l’America” e che abbiamo dato un immenso contributo culturale ed economico alla ricchezza di paesi come gli Stati Uniti, l’Argentina o il Brasile. Questo non vuol dire che sono a favore di un’apertura totale di tutte le frontiere, ma penso che la definizione di “migrante economico” abbia subito un graduale sfasamento semantico che si riflette nei sentimenti che questa definizione ormai scatena nell’opinione pubblica, oggi estremamente negativi. Ci siamo dimenticati della nostra storia e che questo ancora una volta è molto pericoloso».

 

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