Distruzioni, l’amara poesia di Gottfried Benn, il nazista pentito

Poeta ostico, Gottfried Benn. E figura oltremodo affascinante, ma sottovalutata, del panorama letterario tedesco del Novecento. Non a caso una larga fetta della critica contemporanea continua a definire il suo stile macabro, oscuro, sgradevolmente pretenzioso e specchio di un opportunismo ideologico che lo ha reso un personaggio molto controverso.

In età giovanile Benn esordisce nel mondo della letteratura inserendosi nel movimento poetico espressionista Die Brücke, per poi prendere le distanze dalle avanguardie e pubblicare una serie di saggi e scritti critici in cui l’ascesa del nazismo viene salutata come una forza irresistibile e innovativa, esteticamente ascrivibile ad un nuovo culto della forma. Nel 1933 il partito nazionalsocialista gli affida la direzione della sezione poetica dell’Accademia di Prussia, ma il sodalizio dura poco più di un anno; i gerarchi rispolverano i suoi scritti giovanili, li bollano come “degenerati” e lo allontanano dall’incarico. Profondamente afflitto, Benn si discosta – anche filosoficamente  – dalle idee del nazismo. Si ritira dalla scena pubblica, per subire gli attacchi degli intellettuali nazisti prima e il disprezzo degli americani poi.

Pietro Citati scrive, “Soltanto la tomba di Gottfried Benn, uno dei più grandi poeti del secolo, è polverosa, abbandonata, coperta di erbe e ragnatele.” L’uomo Benn ha espiato la colpa di un facile entusiasmo nella direzione sbagliata, ma il poeta fatica ad ottenere una doverosa riabilitazione agli occhi della critica internazionale. Eppure da componimenti preziosi come questo (inserito nella raccolta Fragmente. Neue Gedichte, del 1951), scritto a pochi anni dalla morte, traspare tutta la mestizia e l’impotenza spesso rabbiosa che caratterizza gli intellettuali del secondo dopoguerra. Consapevole degli errori commessi dalla sua epoca e del fatto che in un mondo dov’è rimasto poco da distruggere anche la memoria si logora, Gottfried Benn mette in versi un’amarezza malcelata per un esito disastroso degli eventi, che ha negato a un’intera generazione la spensieratezza e le dolcezze dell’estate.

Gottfried Benn, Distruzioni

Distruzioni –
ma dove non c’è più nulla da distruggere,
persino le rovine invecchiano
fra piantaggine e cicoria
sui loro abbozzi di humus,
rattrappite zolle di terra –

distruzioni –
il che dice pur sempre: qui una volta
c’erano masse, edifici, compattezze –
o bella parola
che echeggia
colme opulenze
e prode natie –

distruzioni –
o grigia parola dei sette dormienti
con nuvole, rovesci, ombra sotto il fogliame,
assicurati per un lungo tempo –
ove dovrebbe essere estate
con succhi di frutta,
coppe di gelato, appannate,
e party sulla spiaggia in notti chiare.


(Gottfried Benn, Frammenti e Distillazioni, a cura di Anna Maria Carpi, Einaudi, Torino, 2004)

Gottfried Benn, Zerstörungen – 1951

Zerstörungen –
aber wo nichts mehr zu zerstören ist,
selbst die Trümmer altern
mit Wegerich und Zichorie
auf ihren Humusandeutungen,
verkrampft als Erde –

Zerstörungen –
das sagt immerhin: hier war einmal
Masse, Gebautes, Festgefügtes –
o schönes Wort
voll Anklang
an Füllungsreichtum
und Heimatfluren –

Zerstörungen –
o graues Siebenschläferwort
mit Wolken, Schauern, Laubverdunkeltheiten,
gesichert für lange Zeit –
wo Sommer sein sollte
mit Fruchtgetränken,
Eisbechern, beschlagenen,
und Partys zu heller Nacht am Strande.

Foto: Archiv Landesdenkmalamt Berlin