Gaza, Israele e quei superficiali status su Facebook che hanno rotto…

di Guadagno e Mondello

….sappiate che avete superato il limite con questi post commossi e falsi e finti e superficiali in appoggio alla popolazione di Gaza.

Nell’epoca dei social network scopriamo migliaia di persone, di colpo, in angoscia per i raid israeliani sulla striscia palestinese di Gaza. La sera prima hanno fatto le 4 sventrandosi di birra e cannoni in giro per la città, poi tornano a casa e mettono una banda nera sul loro profilo facebook per solidarizzare con la Palestina. Si moltiplicano così nel giro di poche ore gli utenti che pubblicano contenuti di ogni genere e tipo per mostrare il loro appoggio alla causa araba. Di solito non si tratta di news, che tutto sommato quelle si potrebbero, se mantenute nei limiti dell’informazione, persino comprendere. No. Siamo piuttosto davanti ad una galassia di fumetti, disegni, video animati, iniziative pseudoparartisticulturali, citazioni, commenti al vetriolo, appelli accorati, catene, forum (virtuali), canzoni di protesta. Tanto indignarsi online non costa niente. Ovviamente tutti elementi ad orologeria, nel senso che appena i media nazionali ne parlano di meno, di Gaza, di colpo anche le botte di dramma e dolore sugli account social si spengono.

Ti sorprendi a vederli, questi atti di amore civile supposto, perchè la notte precedente non siete stati a parlare del lavoro di Hamas nei territori occupati o della politica militare sanguinaria di Netanyahu o di un’azione diretta e concreta per far arrivare un supporto alla gente che sta soffrendo nella Striscia, no, avete invece perso due ore a discutere del ragazzo che le piace tanto ma non la guarda nemmeno, dello shot di vodka che una volta lo facevano più grande e costava la metà, della ricerca di una casa in affitto più grande di quella dove si vive adesso “perchè abbiamo un sacco di cose da sistemare ed ho bisogno dei miei spazi” (certo il vostro interlocutore però indossava una kefiah “per omaggiare il sofferente popolo arabo”). Eppure, a giudicare dalla quantitá di post che avevi trovato su facebook, immaginavi di entrare nei bar e di trovare tavoli pubblici di discussione, forum, conferenze, persone accapigliandosi parlando di Abu Mazen, dell’Intifada, della guerra dei 6 giorni del 1967. Invece no, invece niente.

D’altronde, adottare dei comportamenti adeguati e coerenti rispetto a quello che si posta sui social network non è ormai nemmeno un’opzione, i nostri account non sono dunque delle estensioni della personalità di chi li gestisce, ma una vetrina per quello che si vuole gli altri pensino di noi. Vale per Gaza così come per milioni di diversi contenuti. Siamo coerenti a tempo: alle 14.30 in angoscia per i bombardamenti di Gaza ed alle 15 a bere una birra con un amico parlando del prossimo viaggio negli Stati Uniti. E invece l’impegno di una persona, se reale, non dovrebbe essere limitato nel tempo e nello spazio, ma costante, altrimenti siamo bravi tutti e diventa, l´impegno, soltanto uno strumento individuale ed interessato che ha come obiettivo non la reale trasmissione, il reale supporto, alla causa in oggetto, ma solo ed unicamente la nostra collocazione intellettuale in questa galassia di immagine e apparenza che sono i social network, un mero supporto alla costruzione di un “IO” personale di tutto rispetto nell’attesa di presentarci sul mondo reale.

La reazione quindi non può essere che una: carrettate di bestemmie assortite ed un’angoscia profonda nel rendersi conto che il nostro tempo ha messo insieme una società così ridicola, così intellettualmente scadente, così mediocre, grossolana, miserabile, politicamente approssimativa.

La ragione è sempre la stessa. Se ad una tavola imbandita e con 100 persone chiedessi quanti sarebbero disposti a firmare l’ennesimo appello in cui si invitano i paesi ONU a prendere provvedimenti per contrastare la fame nel mondo, tutti sarebbero d’accordo, nessuno escluso. Se a quelle stesse 100 persone di quella stessa tavola chiedessi invece di rinunciare alla metà perfetta del cibo che hanno nel piatto di fronte, da quel momento in avanti e per sempre, si può stare certi che raccoglierei molto meno del consenso compatto registrato qualche secondo prima. Si capisce, mettere una firma non richiede un grande sforzo, altra storia è togliere la pasta dal mio piatto.

Ecco io non giudico le vite degli altri. Se volete fare le 5 di mattina girovagando di club in club, spendere 50 euro al ristorante “perchè ogni tanto ci sta”, guardarvi le partite del mondiale felici e contenti perchè la vostra squadra sta vincendo, parlare principalmente e solo e soltanto di gnocca, perdervi in una domenica mattina per i mercati più belli della vostra città acquistando cianfrusaglie inutili che tanto non metterete mai ed un milione di altre dignitosissime ed accettabilissime attività contemporanee, siete liberissimi di farlo: sono pure io dei vostri, per almeno due delle situazioni appena citate.

Poi però fatemi un favore, non postate status in cui vi fingete, perchè di questo si tratta, preoccupati per Gaza: fra due ore sarete di nuovo fuori a ubriacarvi con i vostri amici o a parlare in leggerezza di cose che con Gaza non hanno nulla a che vedere, e quindi non è corretto, non è serio, non è, semplicemente, giusto, prendere posizione su temi tanto delicati soltanto nei momenti in cui fa comodo a noi ed a condizione che non ci sia niente da perderci di concreto. Se volete davvero cambiare il mondo, accomodatevi, ma se avete soltanto intenzione di dimostrare urbi et orbi quanto siano giuste le vostre idee, quanto siate impegnati, zelanti, intellettualmente onesti, non state dimostrando solidarietà, ma egoismo, e allora l’unica azione degna che potreste intraprendere, l’unica attività che almeno parzialmente vi riabiliterebbe, è quella di andarvene a quel paese, immediatamente.

Perchè nessuno ci ha obbligato a ribellarci, nessuno si aspetta atti dinamitardi o insurrezioni nel salotto, soltanto bisogna ricordare che la rivoluzione non si fa nei fine settimana, non si fa durante il mese di vacanza o quando non abbiamo da studiare o quando non ci dobbiamo rintronare di whisky con gli amici in discoteca. La rivoluzione, quella vera, si porta avanti tutti i giorni e non con uno status su facebook che alimenti il nostro guerrigliero ego sommerso. È una mancanza di rispetto troppo grande verso noi stessi e verso tutte quelle persone che lottano davvero in giro per il mondo, e non perché lo abbiano deciso: non hanno mai avuto altra scelta.

 

Foto di copertina: Facebook © Remko van Dokkum CC BY 2.0