Germania, primo processo a Facebook: «Favorisce la diffusione di bufale xenofobe»

Il prossimo 6 febbraio Facebook dovrà comparire di fronte a un tribunale tedesco. L’accusa, mossa dall’avvocato di Würzburg Chan-jo Jun, è di non aver impedito la diffusione di due fake news diventate virali, entrambe rivolte contro lo stesso rifugiato siriano, Anas Modamani.

Come riportano l’emittente n-tv e Deutsche Welle, è il primo processo di questo genere intentato in Germania. Chan-jo Jun, che è un esperto di diritto informatico e ha già presentato altre denunce contro il colosso di Mark Zuckerberg, ha spiegato in un video le ragioni dell’ultima azione legale intrapresa per conto del giovane siriano. Modamani, divenuto celebre in Germania dopo un selfie scattato nel 2015 con Angela Merkel e poi ampiamente diffuso dai media, è assurto nel tempo quasi a simbolo della politica di accoglienza promossa dalla Cancelliera.

Modamani

Da allora, però, sui social la sua immagine è stata più volte associata senza alcun fondamento a episodi criminali e atti terroristici. Durante la scorsa estate, ad esempio, qualcuno ha insinuato una somiglianza tra Modamani e uno degli attentatori di Bruxelles e diversi siti hanno titolato «La Merkel si è fatta un selfie con un terrorista?». Recentemente è invece circolata un’immagine in cui il giovane siriano confesserebbe di aver dato fuoco a un senzatetto nella metro di Berlino, episodio realmente successo lo scorso 25 dicembre e a cui però Modamani è totalmente estraneo. La bufala, condivisa più di 500 volte su Facebook, non sembra però violare gli “standard della comunità” del social network. Che infatti, secondo Chan-jo Jun, si sarebbe rifiutato di rimuoverla. A diffonderla, tra gli altri, è stato anche Theo Gottschalk, esponente di Alternative für Deutschland a sua volta denunciato dall’avvocato di Würzburg.

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Una delle bufale costruite in rete recita «Senzatetto bruciato: la Merkel nel 2015 si è scattata un selfie con uno degli aggressori!» © Facebook

Social network e istigazione all’odio

«Facebook è particolarmente restio a rispettare la legge», commenta Chan-jo Jun nel suo video. «Notizie false, ingiurie, istigazione all’odio non contravvengono agli standard della community, ma violano la legge tedesca». Il legale, messo in contatto con Modamani da un sito austriaco che si occupa di smascherare bufale, vuole ora difendere la reputazione del giovane siriano dalle diffamazioni costruite per convenienza politica e facilitate da una policy di Facebook troppo morbida al riguardo. La relazione tra social network, hate speech e post-verità, in realtà, è già da tempo un tema caldo nel dibattito politico tedesco: lo stesso Chan-jo Jun, nei mesi scorsi, ha raccolto 438 casi accertati di post xenofobi, violenti, che istigano all’omicidio o negano l’Olocausto, tutti debitamente segnalati e mai rimossi da Facebook.

La politica nell’era post-fattuale

La stessa Merkel, a fine ottobre, aveva messo in guardia dai pericoli legati a motori di ricerca e social network che «con i loro algoritmi poco trasparenti possono distorcere la nostra percezione della realtà». Dopo il trionfo di Trump alle presidenziali americane, che secondo alcuni analisti sarebbe stato favorito anche dal diffondersi incontrollato di bufale come quella dell’endorsement di papa Francesco per il candidato repubblicano (868mila condivisioni su Facebook), la Cancelliera teme forse un rischio analogo per le imminenti elezioni politiche tedesche. Insomma, anche in Germania si aggira lo spettro della post-verità. A tal punto che postfaktisch, l’equivalente del nostro “post-fattuale”, è stata nominata parola tedesca del 2016. Perché, parafrasando il vecchio Nietzsche, ormai i fatti non esistono più. Esistono solo  interpretazioni emozionali, eco chamber e visioni pregiudiziali del mondo.

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«Sono morti della Merkel» © Facebook

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Foto di copertina © Simon – CC0 Public Domain

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