I nostri genitori in visita in Germania. Fenomenologia del pre-partenza

Che sia la prima o l’ennesima volta che ci vengono a trovare, a chi non è mai capitato di raccontare in modo canzonatorio agli amici le mirabolanti avventure dei nostri genitori intenti ad organizzare il loro viaggio in Germania? Tra questi spiccano le mamme che sfidano la paura del volo, quelle che resistono alla tentazione di ribaltare un armadio intero in valigia, i papà esagitati che però non vogliono mostrare la loro parte più emotiva, chi inizia a fare il conto alla rovescia cento giorni prima e persino gli eroi che affrontano la traversata in auto. Sebbene questi siano solo alcuni esempi, tutti sono accomunati da un desiderio di precipua importanza: portare ai loro figli la maggiore quantità di provviste e/o tutto ciò che questi ultimi hanno dovuto lasciare nel Bel Paese. Di seguito troverete una serie di costanti tratte dalla mia esperienza diretta o da stralci di racconti dei molti connazionali che nel corso degli anni ho avuto il piacere di incontrare all’estero.

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“È ufficiale: arriviamo!”

“Tua madre ed io abbiamo acquistato i biglietti: non prendere impegni per …” È in questi casi che talvolta ci si trova ad interrogare l’universo su quale sia la forza sconosciuta che li ha portati a trovare dei biglietti aerei economici per l’unico giorno dell’anno in cui possiamo permetterci di andare al concerto dei nostri idoli, o prima di un colloquio importantissimo, oppure quando viene a trovarci una persona che aspettavamo da tempo e alla quale pensiamo un giorno sì e l’altro pure. Ma tant’è: stanno arrivando, perciò “tieniti libero, eh!”

Il mezzo di trasporto prescelto

In aereo: i nostri genitori, giovani o meno che siano, appartengono ad una generazione che ahimé non ha mai avuto la possibilità di volare a prezzi stracciati se non fino a qualche anno fa, di conseguenza se abbiamo difficoltà noi a fare le valigie, figuriamoci loro che vanno a trovare il figliol prodigo all’estero. La parola d’ordine è quasi sempre: “Portiamoci solo l’indispensabile, dobbiamo fare la spesa per il ragazzo!” In ogni caso una giacca pesante non può certamente mancare, del resto si sa: la Germania non è una Bundesrepublik bensì un Bundesland russo situato a pochi chilometri dalla Siberia.

In auto: c’è chi predilige quest’opzione perché non ama volare, chi è terrorizzato solo all’idea o chi semplicemente vive al confine con la Svizzera anziché a Reggio Calabria. Sta di fatto che la priorità rimane sempre la medesima: “Mio figlio deve mangiare!” Ebbene sì, questa è la frase che molte madri pronunciano con pathos in simili contesti, defraudando temporaneamente il proprio marito della paternità del figliolo in questione. Gli impavidi che optano per l’auto sono spesso fervidi sostenitori della filosofia: “Va beh, abbiamo fatto trenta, facciamo trentuno”. In questi casi capita di sentirsi proporre qualcosa di simile: “Che ne diresti se venissimo in furgone? Lo chiederei in prestito all’amico dell’amico dell’ex-cognato di Mario, come si chiama, Giuseppe? Sì dai, quello del ristorante!”

Il pernottamento

Casa dolce… casetta. Sono i nostri genitori, quindi ovviamente devono stare comodi e sentirsi a proprio agio anche da noi a Berlino. Peccato che il nostro focolare sia davvero minuscolo, perciò riusciamo ad immaginare senza difficoltà le piroette che ci toccherà fare da un materasso all’altro per raggiungere la porta del bagno in piena notte.

Se vivi con un partner tedesco. Le preoccupazioni in questo caso sono per definizione di varia natura. La più comune si riassume sempre nelle seguenti due frasi: “In qualche lingua parleremo? Tu non ci abbandonerai, vero?” Eh no. In effetti proprio in quei giorni ho segretamente in programma un interrail in solitaria.
Per non parlare poi del tema cibo: siamo italiani, quindi i nostri genitori si sentono in dovere di introdurre il nostro compagno alla vera cucina ergo devono necessariamente preparargli tutte le loro specialità. E con tutte intendono proprio tutte. Non solo, si sentono ufficialmente investiti della carica di ambasciatori delle nostre numerose eccellenze culinarie.

“La vuoi la mozzarella?”
“Volentieri, se c’è abbastanza spazio”.
“Ovvio che troviamo posto, che sciocchezze! Piuttosto dimmi, lui la conosce la mozzarella di bufala?”
“Sì certo, non è nato su Marte”.
“Va beh insomma è tedesco..”
“…”
“Ma gli piace?”
“Sì, molto”.
“Bene, allora vi portiamo un assaggino: non so, un chilo e mezzo può bastare?”

La lista

Che siamo stati bambini viziati o meno non fa la benché minima differenza, adesso viviamo in Germania e abbiamo diritto a ben più di un ovetto Kinder strategicamente piazzato nel carrello mentre la mamma è alla cassa: la famosa lista. In essa abbiamo elencato con dovizia certosina tutto ciò che desideriamo, poiché abbiamo carta bianca su ogni cosa; dobbiamo solo chiedere. Ed è in quei momenti che ricordiamo con grande malinconia le prelibatezze della nostra terra e i nostri supermercati. I pomodori cresciuti al sole, quello vero, e non in Olanda, la panna da cucina, quella densa, la pasta che dopo quindici minuti è comunque ancora al dente, gli affettati che hanno un colore esistente in natura, il pesto buono, il Parmigiano Reggiano… e molto altro ancora.

Inoltre ci sono le richieste di noi donne riguardanti, talvolta, alcuni (per fortuna pochissimi) prodotti per la cura del corpo che qui costano inspiegabilmente una fortuna. In queste situazioni vorremmo semplicemente parlare con le nostre madri, ma tali magiche creature si dileguano in momenti per noi di vitale importanza o semplicemente hanno il cellulare spento – tanto per cambiare – ed eccoci quindi inciampare in dialoghi inverosimili.

“Papà, non posso crederci: ho finito le ricariche del rullo. Potresti portarmele? Devo farmi la ceretta!”
“Dove le compro e a che gusto le vuoi?”
‪”Non lo so. Coca-Cola?” – ci verrebbe da rispondere.

La serata con gli amici volge al termine e con essa anche i racconti sui nostri amabili e buffi genitori, condivisi, e ora ce ne rendiamo davvero conto, solo per cercare di smorzare la forte tensione che ha caratterizzato le settimane dell’attesa. Torniamo a casa ed è già domani: la sveglia suona presto, siamo ancora assonnati e dobbiamo precipitarci in aeroporto mentre fuori ovviamente piove. Ecco finalmente la S-Bahn che ci porterà a Schönefeld; forse stavolta non saremo in ritardo. La stanchezza è forte e ad essa si mescolano una miriade di emozioni, immagini, volti sconosciuti e i duri suoni di quella lingua che mai come oggi abbiamo sentito così distante da noi. Abbiamo raggiunto gli arrivi, dove ci ritroviamo a fissare impazienti le porte che si aprono e tali istanti sembrano non passare mai, fino a quando veniamo nuovamente avvolti da quei caldi abbracci carichi di sentimento che così bene conosciamo e che ci fanno sentire finalmente a casa. Abbracci che vorremmo non finissero mai.

Photo: (C) Sascha Kohlmann CC BY SA 2.0

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