Valentina Rovelli

«Io italiana che studia ad Haifa, in Israele, grazie alla Germania e al suo desiderio di investire su chi fa ricerca»

Valentina Rovelli ha studiato a Roma e ora svolge una ricerca in Israele su due specie di salamandre, studiando il modo in cui si adattano al loro ambiente

Valentina ha 34 anni, è nata a Pesaro ma da quando aveva tre anni vive a Roma. Qui ha frequentato l’Università di Roma Tre, dove ha conseguito la laurea triennale in Scienze Biologiche e la magistrale in Biodiversità e Gestione degli Ecosistemi. «All’inizio un po’ per caso, in seguito perché sono diventati la mia passione, ho lavorato su anfibi, in particolare sugli anuri [anfibi senza coda] e sulla Rana Italica».

Successivamente ha ottenuto un dottorato presso la stessa università, concentrandosi sulla Salamandrina perspicillata, una specie che vive solo sul territorio italiano. «Per questo progetto ho cambiato “indirizzo” e sono passata dall’ecologia alla genetica. Dopo il primo anno mi sono trasferita a Bologna lavorando presso il laboratorio Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale) di Ozzano dell’Emilia. La mia ricerca originale si è ampliata, includendo altri due progetti su altre due specie di anfibi, sempre da un punto di vista genetico. Per uno dei due progetti ho anche trascorso 4 mesi a Madrid. Dopo il dottorato ho vinto due borse di studio. Una per il monitoraggio degli anfibi del parco nazionale d’Abruzzo e una presso l’università degli studi della Tuscia».

Il percorso dopo il dottorato

«Purtroppo il panorama italiano post-dottorato non offre quasi nulla. Il nostro è un Paese bellissimo, ma la meritocrazia è inesistente, la disponibilità di fondi è estremamente limitata e comunque pilotata. A febbraio 2016 sono stata selezionata per una posizione di postdoc presso l’Università di Haifa, in Israele che ho iniziato a luglio 2016. La posizione non sarebbe stata disponibile senza un finanziamento tedesco, il DIP, ovvero German Israeli Project Cooperation, frutto di una collaborazione israelo-tedesca. La Germania è parte del progetto in quanto esso nasce per studiare le due specie di salamandre che volevamo confrontare, la S. infraimmaculata in Israele e la S. salamandra in Europa. Tutti gli esperimenti che stiamo facendo sono in parallelo, e i risultati serviranno per comparare le due specie e suggerire nuove politiche ambientali per la loro conservazione»In Israele il sistema universitario è molto valido. «Vi è qualità, disponibilità di fondi, ottimo network internazionale. Lo consiglierei di certo per un’esperienza all’estero. Il background religioso può però a lungo diventare troppo pesante, e a meno di non essere ebrei o di metter su famiglia qui, credo che un europeo dopo qualche anno senta il bisogno di muoversi di nuovo».

Vita e lavoro in Israele

Da quasi due anni Valentina vive la sua quotidianità nella terza città israeliana. «Le mie giornate lavorative vanno solitamente dalle 9 alle 18, ma durante il periodo invernale (Novembre-Marzo), in cui le “nostre” salamandre sono attive, non ci sono orari. Ci capita di lavorare giorno e notte per settimane; di giorno per portare avanti gli esperimenti e di notte per andare a campionare (cioè a caccia di salamandre). E visto che escono allo scoperto solo con la pioggia, ovviamente torniamo sempre zuppi. Da qui abbiamo coniato il nostro nuovo modo di dire…invece che “tempo da lupi”, “tempo da salamandre”! Poiché la mia borsa di studio non prevede una parte di didattica, il mio tempo è destinato 100% alla ricerca».

Il progetto di ricerca

«Vogliamo investigare l’evoluzione adattativa parallela di due specie di salamandre, una europea e una israeliana. L’idea di base è che viviamo in un mondo che cambia continuamente, perciò l’adattamento a nuove condizioni ambientali è uno dei processi biologici più importanti, soprattutto per gli animali selvatici». Esiste già una cospicua quantità di informazioni sulle conseguenze dell’adattamento all’habitat a livello fenotipico (caratteristiche morfologiche e funzionali di un organismo) e di struttura di popolazione, ma l’impatto sul genotipo (il DNA, che rimane identico in tutta la vita) non è stato ancora adeguatamente approfondito. «Lo studio dell’evoluzione adattativa parallela può invece fare luce sui processi e i meccanismi alla base di questo fenomeno. Gli anfibi presentano una gamma molto varia di adattamenti habitat-specifici, in quanto sono legati sia ad ambienti acquatici sia terrestri. La scelta delle due specie è stata dettata dal fatto che esse rappresentano un modello perfetto per indagare questo fenomeno: pur trovandosi a migliaia di chilometri di distanza, vivono in tipologie di ambienti simili. In particolare la Salamandra infraimmaculata, che si trova in tutto il Medio Oriente, in Israele è soggetta a delle pressioni ambientali più estreme che altrove. Qui, inoltre, le “popolazioni” mischiano poco i geni tra di loro, e ciò le rende più vulnerabile a drastici cambiamenti del loro habitat».

Come si è svolto il lavoro sul campo

«Nel corso della mia prima stagione di campo qui in Israele abbiamo raccolto, per circa 18 popolazioni di salamandra, dati ambientali specifici e campioni genetici. Nel corso della seconda stagione di campo, che sta per concludersi, abbiamo invece condotto degli esperimenti sulle larve per misurare la loro curva di accrescimento a diverse temperature e per stabilire la temperatura massima a cui possono essere esposte prima di presentare evidenti reazioni comportamentali di disagio/malessere. L’obiettivo ultimo è quello di valutare il grado di vulnerabilità di ciascuna popolazione a futuri cambiamenti climatici (in particolare all’aumento delle temperature) e di stabilire quali popolazioni abbiano la priorità da un punto di vista conservazionistico. Le nostre indicazioni potranno essere utilizzate dalla Israel Nature and Park Authority, per indirizzare future azioni di management e conservazione. I Climate Change Vulnerability Assessments [stime sulla vulnerabilità derivante dal cambiamento climatico, NdR] sono ormai degli strumenti molto utilizzati in conservazione. Spesso però la componente genetica viene trascurata, mentre nel nostro studio essa avrà una parte fondamentale».

Italia e Israele a confronto

«Per quanto riguarda la ricerca, a mio avviso le principali differenze sono una maggiore disponibilità di fondi qui in Israele e una maggiore “flessibilità anagrafica”. Infatti, poiché in Israele la leva è obbligatoria sia per ragazzi sia per ragazze, e visto che dopo il periodo di leva molti di loro trascorrono parecchio tempo all’estero viaggiando, tutti iniziano l’università parecchio più tardi rispetto ai nostri standard. Molti iniziano a studiare anche dopo aver lavorato alcuni anni in società o aziende, per cui è normalissimo trovare studenti di bachelor (triennale) di anche quasi trent’anni. Questo fa sì che al momento di cercare una posizione come PhD o Postdoc, il curriculum di una persona venga valutato solo per i meriti accademici e non per l’età, cosa che invece in Europa e US conta moltissimo. Credo che l’idea che abbiamo di Israele sia un po’ distorta. Il substrato religioso e culturale è sicuramente molto presente e influenza molti aspetti della vita quotidiana, creando alcune “assurdità”. Basti pensare che la nostra settimana lavorativa è Domenica-Giovedì, quindi diversa da quella di tutto il resto del mondo, e che durante lo Shabbat non ci sono mezzi pubblici di trasporto, dal venerdì pomeriggio al sabato sera, perché è la loro festa del riposo. Questo ovviamente incide su quella parte di popolazione che non è di religione ebraica. Fortunatamente ad Haifa la situazione è migliore vista la percentuale piuttosto alta di popolazione araba. Credo che l’integrazione di diverse culture e religioni sia proprio la caratteristica migliore della città. Non ho mai avuto la sensazione di essere in pericolo. Giro regolarmente da sola a tutte le ore senza preoccuparmi di eventuali borseggiatori, cosa che a Roma mi sognerei. Inoltre Haifa, ospitando sia l’Università sia il Technion, l’Istituto israeliano di tecnologia, è una città piena di studenti internazionali, e quindi tutti parlano inglese. E poi c’è il mare, che è bellissimo e ottimamente collegato, per cui in 20 minuti sono in spiaggia». Pensa mai a tornare in Italia? «Tornerei perché mi mancano tante cose, prime fra tutte famiglia e amici, ma non adesso. Penso che sia estremamente importante per un ricercatore confrontarsi con diverse realtà accademiche, costruire un solido e produttivo network di collaborazioni, ampliare il più possibile le proprie conoscenze e competenze. E per spingersi veramente fino al limite delle proprie possibile, secondo me non si può rimanere al sicuro dentro “il nido” ma bisogna spiccare il volo, e non una ma più e più volte. Per cui dopo questa esperienza cercherò sicuramente un’altra posizione di post-doc all’estero, forse in Australia o chissà, per cercare di costruire un curriculum che sia davvero forte scientificamente. Tornerò in Italia solo quando mi sentirò abbastanza “matura” da poter contribuire ad incrementare la qualità scientifica delle nostre ricerche, e ovviamente se ci saranno delle valide opportunità».

   

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