La lingua è un ponte tra le culture e Berlino è piena di ponti

Language is a bridge, so that you can get safely from a place to another”. La lingua è un ponte per andare sani e salvi da un posto all’altro. Così sostiene il commediografo inglese Wesker. Ed é vero. È proprio grazie alle conoscenze delle lingue straniere che abbiamo modo di andare in uno spazio che va oltre la nostra cultura, uno spazio che ci permette di esplorare spazi sociali diversi dai nostri, idee, angolazioni e punti di vista sempre nuovi. È conoscendo le altre lingue e culture che si impara a conoscere e a gustare le peculiarità della propria. Mai il suono di certe parole italiane mi é sembrato così armonioso e poetico accanto a certe corrispondenze! In ogni caso, nonostante l´inevitabile bellezza della nostra lingua, l´importanza e la necessità di certi ponti linguistici non va sottovaluta. Se la lingua inglese fosse un ponte, ahimé, questo ponte non sarebbe facilmente attraversabile dagli italiani, nemmeno se questi ultimi volessero noleggiare una macchina in quella che geograficamente (ma non solo) è la città al centro dell´Europa.

Diversi studi lo confermano, secondo una una ricerca effettuata su 60 Paesi del Mondo da EF (Education First), gli italiani risulterebbero tra i linguisticamente più scarsi in Europa. L’Italia occupa la 32esima posizione in classifica. Tra gli europei riusciamo a superare solamente i francesi, dietro di noi al 35°posto. (fonte: La Stampa) È risaputo, la lingua internazionale per eccellenza non è abbastanza conosciuta da noi italiani. Avendo iniziato a lavorare come sales agent in aeroporto per una compagnia di noleggio auto, ho spesso occasione di esplorare diverse reazioni e punti di vista. Da una parte ci sono i clienti del mio bel paese, dall´altra i miei colleghi tedeschi.

Esiste una tipologia di italiano che con l´inglese non ci prova nemmeno, perché forse non lo conosce proprio. Arriva preoccupato, senza nemmeno salutare, emettendo un suono acuto: “ITALIANO?”
Ed il mio collega tedesco: -”No, can you speak english?”
E lui continua, alzando la voce, provando a tradurre quantomeno un´unica parola: ITALIAN?
Da quanto mi raccontano, non è sempre facile per i miei colleghi spiegare con un foglietto i termini dell´assicurazione e redigere il contratto d´affitto. Riescono giusto ad essere veloci con la mappetta per spiegare dove si trova la macchina.
“E allora provano con i gesti, si muovono addirittura più di te” mi fa il mio collega berlinese descrivendo i miei conterranei. Si muovono così tanto da spostare grosse correnti d’aria con il voucher della prenotazione. Dallo sforzo della riproduzione linguistica nasce un gesticolare, uno sgranare gli occhi e un´energia onnipresente che ammiro nonostante le gravi carenze linguistiche. Dopo questo tipo di esperienze è lecita la domanda del mio collega: “Ma a scuola, in Italia, l´inglese non si studia per niente?!?”

Un´altra collega tedesca, quella più solare e più positiva di tutte, (non a caso ha gli incrementals delle vendite più sviluppati: è, cioè, quella che vende e guadagna di più del team) recentemente mi ha detto, che se è vero che l’inglese degli italiani è carente, non vanno però sottovalutate le nostre capacità di comunicazione, anche non verbale, che sarebbero secondo lei sviluppatissime a prescindere dalle lingue generalmente poco conosciute. “Io non ho nessun problema a farmi capire dagli italiani, siete un popolo di menti abili e veloci, che afferrano le cose in fretta”.

Mi vengono poi in mente mia madre e mia zia, che a scuola hanno studiato soltanto il francese e che una grammatica d´inglese non l´hanno nemmeno sfiorata. Esiste infatti una generazione che come mezzo di comunicazione ha soltanto la propria lingua, pur rendendosi conto sia una mancanza che si trasforma in handicap quando si viaggia. Ripenso ad un’affermazione illuminante mia zia, che é venuta recentemente a trovarmi: “Alice, mi aspettavo un´apertura mentale e una gentilezza maggiore a Berlino; quando si rendono conto che non parlo nemmeno l´inglese, nonostante voglia provare a comunicare, mi rispondono sgarbati e sbuffano. Non è facile al giorno d´oggi non sapere l´inglese, purtroppo finora non ho avuto modo di impararlo.”

Esiste poi anche una tipologia di Italiano che l’inglese lo padroneggia alla perfezione e desidera parlarlo e tirarlo fuori a tutti i costi. Probabilmente ha studiato, lavorato, vissuto in qualche paese anglofono. Pur consapevole della mia italianità, continua a parlarmi con un inglese dalla pronuncia così impeccabile che il mio accento sardo che sbuca qua e là prova a nascondersi dietro la scrivania.

E poi ci sono io, che le lingue straniere le ho imparate studiandole e viaggiando. Sono felice di poterle utilizzare quotidianamente al lavoro. A volte, anche quando parlo italiano, prendo vocaboli inglesi o tedeschi qua e là e li incorporo nel mio linguaggio da giovane immigrata. La mia è una lingua mista che ha il suono di tutte le esperienze che si ritrovano insieme, una lingua che gli italiani berlinesi possono afferrare in pieno. Non è sempre facile trovare velocemente l´equivalente italiano di alcune parole che occupano pensieri e quotidianità. A tratti appaio dislessica, lo ammetto. Ormai è chiaro, le lingue straniere le adoro, mi piace parlarle e migliorarle ogni giorno. A questo punto però, vedendo il sollievo farsi largo sia sui volti dei clienti italiani che sui volti dei miei colleghi che si rilassano non appena inizio il turno al lavoro, mi chiedo: “Mi hanno assunto per le mie capacità linguistiche oppure devo ringraziare i latini dal sangue energetico scarsi in inglese per questa recente assunzione?”
Beh, in ogni caso momentaneamente saluto con affetto e nostalgia questo popolo di santi, di navigatori, di nipoti, di cognati e di poeti che non sanno bene le lingue, sperando però che attraverso la loro curiosità e le loro innumerevoli capacità possano impararle sempre meglio, per attraversare sempre più ponti…

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I ponti non finiscono di essere attraversati

Ostkreuz

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ponte2

Foto copyright: © Marialice Pilia