Mammoni? Ecco perché agli under 34 italiani non è data (quasi) nessuna altra scelta

Secondo un sondaggio Eurostat del 2016 sulle percentuali di «giovani adulti» europei che vivono con i propri genitori, In Italia a restare a casa è il 67,3% dei giovani tra i 18 e i 34 anni.

Nnel 2014 era il 65,4%. Un dato altissimo, se paragonato alla media europea (47,9 percento) e alle percentuali dei Paesi del Nord Europa. Ma le statistiche si fanno ancora più preoccupanti quando si prende in considerazione la fascia di età 25-34, quella in cui si sono conclusi gli studi e si dovrebbe cominciare a lavorare. Qui la percentuale di chi vive ancora coi propri genitori è del 50,6%  (nel 2014 era del 48,4%). La situazione non migliora se si restringe il focus alla fascia 18-24, quella in cui molti frequentano ancora l’università: in questo gruppo resta a casa il 94,5% dei ragazzi.

Dati allarmanti

I risultati ci collocano in tutte le fasce nelle primissime posizioni di questa poco invidiabile classifica. Nella graduatoria generale peggio di noi fanno soltanto Croazia (70,1%) e Slovacchia (69,6%), mentre ci seguono a ruota Malta (66,1%), Grecia (63,8%) e Portogallo (62,9%). Percentuali che fanno registrare una distanza siderale da Paesi come Svezia, Norvegia, Finlandia, Danimarca e – in misura minore – Germania, Olanda, Francia e Inghilterra: nei Paesi scandinavi i giovani tra i 18 e i 34 anni che restano a casa si attestano intorno al 20% (in Danimarca addirittura al 19,7%), in Germania al 43,1%, in Francia al 34,5%, nel Regno Unito al 34,3%.

Il dramma degli under 34

Ancora più drammatica la situazione italiana della fascia 25-34, parcheggiata nel limbo di un’eterna adolescenza senza lavoro: se da noi un giovane su due continua a vivere coi propri genitori, in Germania resta a casa solo il 19,1%, nel Regno Unito il 16%, in Francia il 10,1%. Impietoso poi il confronto coi Paesi Scandinavi, tutti al di sotto del 10% con la Danimarca che registra addirittura un microscopico 3,7%. Non che il 94,5% dei giovani italiani a casa nella fascia 18-24 faccia dormire sonni tranquilli: se qui la Germania non fa molto meglio di noi (85,3%), Regno Unito e Francia riescono a mantenersi sotto il 70% mentre i Paesi scandinavi sotto il 50%, con la solita Danimarca addirittura al 41,4%. Negli anni decisivi per la formazione professionale e lo sviluppo del senso di indipendenza, non è difficile immaginare i danni sociali e psicologici del costringere intere generazioni a casa, tra scarsità di borse di studio e alloggi studenteschi, impossibilità delle famiglie a sostenere i figli durante il percorso accademico, pregiudizi culturali che spesso vedono come inconciliabili studio e lavoro e rendono i figli degli eterni mantenuti.

Mammoni? Forse, ma il problema politico-economico è abissale.

 Nei giorni scorsi il sondaggio Eurostat ha dato a molti quotidiani l’opportunità di rispolverare un vecchio motivo caro alla nostra classe dirigente: quello dei giovani italiani mammoni. Ormai è un ritornello che si ripresenta ciclicamente nel dibattito pubblico italiano, e pare offrire una valida giustificazione politica e persino morale al sacrificio di quella che Mario Monti (ipse dixit) definì la generazione perdutamillennials, ragazzi – ma spesso, anagraficamente, bisognerebbe parlare di uomini – che non hanno un ruolo sociale, non lavorano, non studiano, non influiscono sui processi decisionali, non percepiranno pensione. Una generazione “saltata”, che, come se non bastasse la tragedia epocale di una crisi che l’ha travolta in pieno, deve anche vedersi insolentita da una classe dirigente iper-tutelata, che lavora costantemente alla sua precarizzazione: bamboccioni, sfigati e choosy sono solo alcuni degli epiteti pronunciati in questa campagna di introiezione della colpa, mirante a far ingoiare più docilmente voucher, infiniti stage non retribuiti, stipendi da fame, disoccupazione. Non solo, la clava ideologica del bamboccione torna sempre utile quando si tratta di motivare una particolare allocazione delle risorse: se i dati sull’occupazione giovanile precipitano, non è certo colpa di politiche scellerate e clientelari che destinano i fondi verso categorie più garantite, più influenti e che vanno a votare; no, il problema sono i giovani sfaticati e senza ambizione, anche se poi quei giovani sono spesso molto più qualificati dei loro padri e magari, per mettere insieme 900 euro al mese, devono barcamenarsi tra due lavori. Così per molti millennials, specie in un Mezzogiorno ormai desertificato, le opzioni di sopravvivenza rimaste sembrano essere due: scappare all’estero verso Stati come la Germania, recentemente definita da uno studio inglese il miglior Paese per giovani al mondo, oppure stiparsi in casa con mamma e papà per ammortizzare i costi, dividere le spese, far fruttare stipendi altrimenti irrisori. Una convivenza coatta che sarebbe già patologica a 18 anni, figuriamoci a 30, o a 35.

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Le ragioni culturali

 L’impennata post 2008 delle percentuali di giovani che vivono in famiglia sembra confermare questa tesi: il fenomeno è infatti in crescita in tutta Europa, compresi quei Paesi nordici sicuramente non tacciabili di mammonismo. In Paesi come l’Italia, però, dove preesistente situazione economica e gravi responsabilità politiche hanno aggravato gli effetti della crisi, è autenticamente esploso. Ciò detto, le ragioni economiche e quelle culturali non necessariamente si autoescludono. Anzi, come dimostra il caso italiano, possono potenziarsi vicendevolmente. Così, nel disastro post crisi, l’innegabile tendenza italiana a restare a casa fino a tardi e a farsi stirare le camicie da mammà sicuramente non ha aiutato; si è solo trasformata, da discutibile opzione che era, in necessità forzosa. Mutatis mutandis, che in Danimarca, Svezia e Germania i ragazzi escano di casa a 18 anni per non farvi più ritorno e vengano responsabilizzati all’indipendenza economica e di vita è certamente dovuto a un differente – e più sano – modello antropologico e culturale. Ma è dovuto anche – e tanto – a economie che tirano, a tassi di disoccupazione contenuti, alle leggi sul salario minimo, agli aiuti allo studio e alle giovani coppie, nonché a decine di altri provvedimenti simili che farebbe male al cuore elencare distesamente. Giovani italiani mammoni, dunque? Forse, ma la statistica Eurostat non diventi pretesto per sparare ancora una volta a zero su una generazione che è prima di tutto vittima di un disastro economico-politico senza precedenti. Anche perché, se dovesse venire meno l’unico vero ammortizzatore sociale italiano, la famiglia con la tanto vituperata casa di mamma e papà, chi parla irresponsabilmente di bamboccioni potrebbe un giorno dover constatare gli effetti della sua cattiva coscienza.

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Foto di copertina © YouTube – screenshot