Ricordiamoci sempre che Freddie Mercury fu un richiedente asilo nato in Africa

L’incredibile storia di Freddie Mercury e le migrazioni dall’Africa negli anni ’60

Farrokh Bulsara, conosciuto come Freddie Mercury è stato un profugo che richiese asilo politico. La sua storia inizia, logicamente, con la sua nascita avvenuta il 5 settembre del 1946 a Stone Town a Zanzibar. Un arcipelago africano all’epoca protettorato britannico ora chiamato Tanzania. Visse sull’isola con i genitori e con la sorella minore Kashmira fino agli otto anni. In seguito fu mandato in India per studiare alla St Peter. una scuola nei pressi di Bombay (Mumbay ora), città natale dei genitori. Il padre Bomi, come molti suoi connazionali dell’epoca, lasciò l’India per lavorare in una delle colonie inglesi d’ Africa, portando con se la moglie Jer. Dopo il breve ritorno di Freddie (cosi chiamato dai tempi della scuola), i Bulsara lasciarono l’isola a causa di una violenta guerra civile: la cosiddetta “rivoluzione di Zanzibar”. Lasciata l’isola nel 1964 si trasferirono in Inghilterra, a Feltham. Qui trovarono una sistemazione ben più modesta rispetto alla casa che avevano (con servitù). Questa storia, per la sua famiglia, soprattutto dopo la morte di Freddie è parte essenziale della sua identità da dover ricordare.

A star is born – Baby Bulsara. #freddiemercury #zanzibar #legend

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Gli anni del college in Inghilterra, l’amore per il rock e la nascita del sogno

Gli anni di studio in India avevano già mostrato i primi molteplici talenti di Freddie. Doti sportive e ovviamente musicali. Durante l’adolescenza iniziò a studiare pianoforte e una volta entrato nel coro del suo college lavorò al controllo della sua incredibile potenza vocale (capace di coprire quattro ottave). Giunto in Inghilterra, proseguì con gli studi universitari dove scelse arte e disegno industriale. Quando ancora doveva terminare il suo percorso all’ Ealing College, strinse amicizia con un suo collega, Tim Staffel. I due condividevano un profondo amore per il rock. Tim era infatti anch’egli un cantante, con la sua band, gli “Smile” aveva un discreto successo. Gli Smile erano composti da un certo Brian May alla chitarra e alla batteria Roger Maddox Taylor.  Freddie chiese a Tim di entrar nel progetto anche come secondo cantante, ma Staffel non lo permise. Destino volle che questo gruppo si sciolse. Mercury convinse allora May e Taylor a unirsi al suo sogno e a lavorare assieme alla creazione di un gruppo che avrebbe puntato al successo mondiale. Conclusi gli studi universitari (May si laurea in Fisica e Taylor in Biologia) decidono tutti e tre di dedicarsi alla musica a tempo pieno. Poco dopo si unirà a loro come bassista Jhon Decay. Tutti e quattro sceglieranno di deviare i più sicuri percorsi professionali e universitari per  lavorare sodo al fine di creare una nuova pagina nella storia del rock. «Non diventerò una stella, diventerò una leggenda! Voglio essere il Rudolf Nureyev  del rock n’roll» dichiarerà qualche tempo dopo.

 

Siamo nel 1970 e nascono i Queen. Il nome, scelto da Freddie, doveva appunto dare l’dea di qualcosa di universale, di sfrontato. Voleva essere dandy e oltraggioso. Non vi era nessuna mezza ambizione, nessuna mezza misura. In una vecchia intervista dichiarò:«Ho pensato al nome Queen, è solo un nome ma è molto regale ovviamente e suona benissimo. Un nome forte, molto universale e immediato. Ha molte potenziali visuali ed è aperto a tutti i tipi di interpretazioni». Ancora una volta emerse il talento multiplo del giovane Bulsara: sapeva che una forte determinazione era imprescindibile e che era importante avere cura di tutti gli aspetti del progetto, non solo della musica. Dovevano avere un marchio riconoscibile. Utilizzò il suo talento grafico e disegnò nel 1972 il logo della band, ispirandosi allo stemma regale del Regno Unito al quale legava i segni zodiacali dei quattro membri. Musicalmente i suoi grandi ascolti furono Hendrix, suo idolo, i Led Zeppelin, Clapton, Elvis ( di cui suonavano spesso live qualche brano e a cui dedicò la rockabilly “Crazy little thing called love”) e Bowie. Le due icone del rock lavoreranno insieme al successo  mondiale Under Pressure del 1981, ma si conoscevano da molto prima, quando negli anni ’60, ancora lontani dalla fama mondiale, Mercury cercava di avere la possibilità di “entrare nel giro” e collaborare assieme. Come quella volta in cui  chiese a Bowie di portare la strumentazione per i suoi live, e ottenne come impiego la costruzione di alcuni dei suoi palchi. Dal “duca bianco”, apprese l’importanza del glam, della cura dell’immagine; che subito si tradusse in vera e propria teatralità. I live dei Queen sono storici proprio per la componente estetica cosi eccessiva e invadente, lui stesso dichiarava di non poter concepire un live solo suonando, doveva essere un vero “show”, sul palco dovevano essere personaggi irriconoscibili dal quotidiano. Freddie per molti anni terrà  la sua vita privata lontano dalle attenzioni del pubblico. Dopo aver chiuso la sua relazione con la sua ragazza Mary Austin, dichiarerà di essere omosessuale. Siamo negli anni ’80 e il virus dell’AIDS appena scoperto è dilagante. L’ultima apparizione pubblica è ai Brit Awards il 18 febbraio 1990. Indebolito e silenzioso, vince il “Premio Onorario per merito eccezionale per la musica britannica”. Continua a lavorare e nel 1991 rimane l’ultimo album “Innuendo”. La dichiarazione della malattia avviene in modo improvviso e profetico il giorno prima della sua morte. Dichiarò pubblicamente che soffriva di AIDS e mise fine alle speculazioni sulla sua salute. Muore il 24 novembre 1991 di polmonite a soli 45 anni.

 

#MercuryBowie

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Bohemian Rhapsody, una rivoluzione

Sarà il quarto LP della band “A Night at the Opera” di cui fa parte il loro capolavoro Bohemian Rhapsody, probabilmente la canzone più famosa di Mercury, a sancire la consacrazione del gruppo. Resterà per settimane ai vertici delle classifiche britanniche. E sarà simbolo di questa rivoluzione musicale che porterà il nome di “rock-opera”. I loro live saranno continuamente sold-out. Dopo anni nei quali non ricevono le attenzioni sperate (con lavori come “Now i’m here” e “Killer Queen”) nel 1975 giunge il successo tanto cercato che li lancerà senza più ritorno nell’olimpo del rock. Da allora saranno una serie di successi senza tempo, “somebody to love”, “we will rock you”, “we are the champions”,”radio gaga” e “the show must go on” per citarne alcuni. Il film di Singer intitolatosi appunto “Bohemian Rapsody” racconta i primi quindici anni del gruppo : dalla loro nascita al famoso live Aid del 1985. Ad interpretare il carismatico Mercury è Rami Malek (Una notte al museo, Mr.Robot, Enterteinment weekly) che per prepararsi all’interpretazione ha letto biografie, studiato e vissuto gli ambienti londinesi frequentati da Mercury. A questo ha unito i consigli di May e Taylor che hanno seguito l’intero progetto cinematografico. Dai conflitti interiori, alla sua sessualità, all’amore per la musica e per i suoi gatti, tutto è stato curato nel tentativo di rispettare ed essere il più fedeli possibili alla storia di questa star. Non ci resta che attenderne l’uscita nelle sale e godere oltre che della sua musica, di questo carismatico e coraggioso esempio di forza vitale, che con la storia ha dato un modello di fierezza, lotta e coraggio.

Immagine di copertina: © Youtube

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