«Tullio De Mauro, il suo libro “letto” da bambino, la mia laurea 15 anni dopo e quel racconto su quando lo lesse Totò»

di Francesco Castelnuovo*

Il 5 gennaio scorso se n’è andato Tullio De Mauro. Quando ho letto la notizia il primo pensiero è andato alla figlia Sabina, che ho conosciuto negli anni dell’università. E poi è andato al primo incontro che ho avuto con il nome di suo padre. Avvenne nel 1980, quando ancora non sapevo che avrei avuto la fortuna di studiare e di laurearmi con lui. Io avevo 10 anni… e grazie a una delle nostre più care amiche di famiglia che lavorava a Editori Riuniti, entrò in casa la “Guida all’uso delle parole”, libro che come sottotitolo recitava “Parlare e scrivere semplice e preciso per capire e farsi capire”. E che aveva in copertina una vignetta in cui da un lato c’era un professore occhialuto che aulicamente sentenziava “Intendesi per sale…” e dall’altro un omino con la sigaretta in bocca che diceva in napoletano “’ramm ‘o sale”. Era curioso quell’accostamento tra l’alto e il basso, tra l’aulico e il popolare, tra la lingua istituzional-letteraria e il parlare del popolo. Più tardi avrei imparato che quello era il cuore di quella che fu la non facile attività di innovazione del pensiero linguistico iniziata da De Mauro già con la pubblicazione de La storia linguistica dell’Italia unita”, nel lontano 1963, quando lui aveva 29 anni (!) e l’Italia accademica ne aveva ancora 800, quanto alla capacità di considerare la “lingua dell’uso” invece che esclusivamente quella dei dizionari.

Quel ragazzo di 29 anni avrebbe fatto molta strada…avrebbe visto la sua traduzione ed edizione critica del “Corso di linguistica generale” di De Saussure adottata in tutto il mondo… sarebbe diventato Ministro della pubblica istruzione…ma non si sarebbe mai scordato di essere nato a Torre Annunziata, dove a quel professore occhialuto che diceva “Intendesi per…” avrebbero risposto molto probabilmente co’ nu pernacchio (con la –o). Grazie a quelle origini e a quel saper porgere l’orecchio all’ “uso” delle parole, De Mauro non si mise mai troppo in cattedra a pontificare che “le parole sono importanti”, ma, piuttosto, che “gli usi delle parole sono importanti”. Un lavoro, come si può ben capire, molto più faticoso, perché basato su una continua ricerca sul campo, in mezzo al fluire delle diversità. Diversità, attraversata la quale, De Mauro arrivò a dire: “Quasi senza accorgercene, giorno dopo giorno, tutti insieme abbiamo realizzato un fatto che merita di essere definito storico: l’unità pressoché completa della popolazione italiana intorno a una stessa lingua.”. Lezione d’oro, parole da tenere a mente in questo nostro paese troppo amante di squadre e partiti.

Grazie a quel lavoro Tullio de Mauro ottenne, come giusto, riconoscimenti nazionali e internazionali, fino al lontano Giappone. Ma a lui stava a cuore più di tutti un riconoscimento extra-accademico: quello che un giorno, indirettamente, gli aveva fatto Totò. Eh sì… a Totò un giorno fu data in mano una copia de “La storia linguistica dell’Italia unita” in cui De Mauro diceva che il principe De Curtis aveva “promosso una rivoluzione, lottato contro l’aulicità, la tromboneria, la polverosità della nostra lingua” e che era “merito suo se oggi nessuno (salvo per scherzo) può permettersi di dire “è d’uopo”, “eziandio”, “a prescindere” o “quisquilie”. Ecco… il ricordo di quel giorno con il Principe, fatto dallo stesso Tullio de Mauro, mi sembra uno dei migliori per rendere omaggio a quel ragazzo che da Torre Annunziata è arrivato con le sue parole fino al Sol Levante.

“Nel 1963, quando il mio vecchio libro metteva, accanto ai nomi di Manzoni e di Croce, quelli di Petrolini, dei due De Filippo, di Sordi e, primus inter pares, di Totò, principe De Curtis era ancora ritenuto dai più una macchietta qualunque. Errore. Già allora non condivideva questa superficiale valutazione un’assai brava giornalista, che gìustamente vedeva in Totò qualcosa di assai più significativo. Andò a intervistarlo per il suo settimanale. Totò si schermiva, non voleva cedere a domande che gli parevano troppo lusinganti.
A un certo punto la giornalista estrasse dalla borsetta un libro,un libro di studio. Era appunto la mia vecchia Storia linguistica. Porse il libro a Totò, glielo aprì alle pagine che lo riguardavano. Totò lesse con attenzione, avvertì l’inatteso riconoscimento e, racconta la giornalista, si commosse. Quel momento di gioia commossa di Totò, confesso,me lo porto nel cuore come un ricordo prezioso, il mio personale nastrino della legion d’onore, non una palma accademica, un intero palmeto. E un prezioso vaccino contro altre vanità. Dopo aver fatto felice, sia pure per un attimo, il grande Totò, brigare per entrare nell’Accademia degli Impastati o dei Liocorni?
Ma mi facci il piacere!”


*Francesco Castelnuovo, giornalista professionista, dal 2003 è conduttore per Sky di diverse trasmissioni di cinema e spettacolo. Nato a Roma il 23 ottobre 197 è laureato in filosofia.

Photo: © Corriere.it (utilizzata a fini divulgativi)

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