Una canzone, una fermata: Potsdamer Platz e Welcome to the machine dei Pink Floyd

Avrei molte canzoni da dedicare a Berlino. È una città che si adatta bene alla musica. O forse è la musica che si adatta bene alla città, non saprei dire con precisione.

Passeggiando o andando in giro con la metro ci sono state centinaia di volte in cui un particolare, una persona o un rumore mi hanno riportato alla mente una canzone che avevo dimenticato chissà dove nella mia testa. E poi il motivo è rimasto lì per ore, come colonna sonora della giornata.

Welcome to the machine – Pink Floyd

Se però dovessi scegliere una ed una sola canzone da associare istintivamente alla capitale tedesca, non avrei alcun dubbio. Welcome to the machine dei Pink Floyd. Era il 2002 ed eravamo venuti in gita con la classe del liceo. Non so perché ma fu deciso che il mezzo migliore per portare tre classi di adolescenti in Germania fosse l’autobus. Ne fu prenotato uno di quelli a due piani, capace di sopportare un reggimento di ragazzi in stato di eccitazione per una delle loro prime esperienze all’estero.

La musica e Berlino

Dopo due giorni interi di viaggio (era prevista la sosta di una notte a Monaco di Baviera) avevamo completamente esaurito il repertorio musicale internazionale. L’eroico ragazzo che aveva portato con sé la chitarra acustica era completamente afono (non escludo avesse perso anche l’uso delle falangi a forza di suonare). Ci eravamo tutti ritirati nei nostri pensieri o rifugiati nell’ascolto dei lettori CD (se le pile non si erano scaricate). Ricordo che ero appoggiato con la testa al finestrino mentre stavamo entrando in città. Il primo impatto con Berlino sono stati i palazzoni grigi della periferia ad Est (avrei scoperto solo dopo che si chiamano Plattenbau). In quello stesso momento la canzone cambia e inizia il suono industriale che accompagna i primi secondi di Welcome to the machine. Raramente ho avuto la sensazione che qualcosa che stavo ascoltando si adattasse così bene a quello che vedevo. Ho immaginato il ronzio degli ascensori dei Plattenbau nello stesso momento in cui i Pink Floyd mi facevano scorrere nelle orecchie il rumore un montacarichi registrato chissà dove.

La loro canzone mi ha dato il benvenuto nella “macchina”. In una città che non conoscevo ma che immaginavo perfetta, precisa e meccanica. Come gli stereotipi ci abituano a pensare della Germania prima di conoscerla realmente. Ho ascoltato il suono cupo del sintetizzatore di Waters e Wright mentre guardavo il cielo grigio pieno di nuvole pesanti. Non poteva esserci una colonna sonora migliore per quello che stavo vedendo. Qualsiasi altra canzone sarebbe stata fuori posto, una con un ritmo più allegro addirittura fastidiosa.

Il legame tra i Punk Floyd e Berlino

Avrei scoperto successivamente che i Pink Floyd avevano cantato per Berlino a Potsdamer Platz, pochi mesi dopo la caduta del Muro. Quando la città era finalmente riuscita a ridiventare una sola. E poco importa che la “macchina” di cui canta Gilmour nella canzone sia in realtà l’industria discografica. Per me, dal 2002, è sempre e solo stata la città di Berlino. E se dovessi scegliere una fermata, dico Potsdamer Platz. Lì dove passava il Muro e Est e Ovest si incontravano e si dividevano simboleggiando due modi diversi di intendere non solo una città, ma un’intera società.

Sono passati molti anni e forse la capitale tedesca da allora è diventata più meccanica, meno disposta ad accettare e ad accettarsi. Molte cose che l’hanno resa leggendaria per almeno due generazioni di persone, stanno cambiando. Se sia in meglio o in peggio non spetta a me dirlo e si vedrà solo tra qualche anno. Chissà se allora qualche altro ragazzo che entra a Berlino per la prima volta potrà riconoscerla in questa canzone come è successo a me.

Welcome my son, welcome to the machine.

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=9qEsTCTuajE]

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Immagine di copertina: © Christian Maréchal  CC BY SA 3.0