«Vi racconto come si vive a Moria, il campo profughi alle porte d’Europa»

Jean-Paul muore di freddo nella “prigione d’Europa”, il campo profughi dell’isola greca di Lesbo

Jean-Paul è un’altra vittima di Moria, il campo profughi dell’isola greca di Lesbo. Il ventiquattrenne richiedente asilo cameronese è morto di freddo durante la notte, ma la notizia non ha fatto scalpore. La stampa internazionale si è forse stancata di parlare di quella che in molti chiamano “la prigione d’Europa”. Tuttavia sono ancora in migliaia i richiedenti asilo bloccati nel campo, in cui non c’è riscaldamento, non c’è acqua calda e spesso salta la corrente elettrica. Vengono da Siria, Afghanistan, Iran, Somalia e altri paesi africani.

Una delle tende dell’Olive Grove, insediamento spontaneo di profughi che non hanno trovato posto all’interno del campo di Moria (foto di Giacomo Rota)

L’accordo tra Europa e Turchia

Il campo profughi di Moria è uno dei risultati cui ha portato l’accordo tra Europa e Turchia sulla gestione dei profughi siriani, siglato nel marzo 2016. A due anni dall’inizio della collaborazione, la Commissione Europea si dice soddisfatta e pubblica un resoconto molto positivo sugli obbiettivi raggiunti. Il numero degli sbarchi sulle isole dell’Egeo si è ridotto del 97% e quello dei morti durante le traversate è sceso da 1.175 – nei 20 mesi prima del marzo 2016 – a 130. Non si tiene conto però delle condizioni in cui versano i profughi sulle isole greche al confine con la Turchia, bloccate da una burocrazia complicatissima. Sono costrette ad aspettare mesi prima di avere il colloquio che decreta l’idoneità della loro richiesta d’asilo. In caso di rifiuto, hanno diritto di fare ricorso, ma ciò allunga ulteriormente le tempistiche: c’è chi è costretto ad aspettare per anni vivendo nei campi profughi.

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Le molte problematiche

Durante la mia recente visita a Moria ho intervistato Caroline Willemsen, project coordinator di Medici Senza Frontiere. Si è soffermata su uno dei problemi più incombenti che MSf cerca di affrontare: le psicosi cui moltissimi profughi sono soggetti. Tante persone, tra cui bambini, soffrono di manie suicide e altre tendenze autolesioniste. Comprensibile se si pensa che alcuni di loro scappano dalla guerra. Non li aiuta certo vivere a Moria: pensavano di essere arrivati in Europa, di trovare sostegno, e invece si sentono dire che dovranno aspettare anni per avere una risposta circa la loro domanda d’asilo.

Profuga afgana (foto di Giacomo Rota)

È questa l’Europa che vogliamo?

Quello che sconvolge di più, visitando Moria, è pensare che anche questa è Europa. Anche quest’isola sperduta nel Mare Egeo, così vicina alla Turchia, fa parte della Comunità Europea. Com’è possibile allora che qualcuno muoia di freddo, che soffra di manie depressive, che si senta del tutto abbandonato? Forse l’accordo con la Turchia non è stato così positivo come la Commissione Europea vuole far credere?

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Immagine di copertina: © Francesca Giani