L’incredibile storia di Wallenberg, lo Schindler svedese che salvò migliaia di ebrei

Le luci della Giornata della Memoria si sono spente da un paio di settimane. Vuoi per la brutalità dell’Olocausto, vuoi perché in tempi di crisi ci piace sentire di gesti eroici, ogni nazione cerca il suo Schindler, ogni Paese la sua figura di riferimento per urlare che qualcuno all’epoca salvò vite umane.

In Italia abbiamo avuto Perlasca, in Svezia ricordano con affetto Raoul Wallenberg, giovane funzionario del corpo diplomatico che arrivò in Ungheria al mutare della marea, quando le truppe naziste avevano invaso Budapest e le discriminazioni nei confronti degli ebrei ungheresi stavano per lasciare il passo alla loro sistematica eliminazione.

Le SS giunsero in Ungheria il 19 marzo 1944 e nel giro di due mesi – tramite la collaborazione dei corpi ungheresi – spedirono ad Aschwitz circa 440.000 persone. Di fronte all’evidente tragedia la Svezia – con appoggio statunitense – si guardò in casa alla ricerca di una persona sveglia da mandare sul posto per salvare il salvabile, tutelando ciò che restava della comunità ebraica di Budapest. La scelta ricadde sul giovane rampollo di una delle più ricche famiglie del Paese. Privo d’esperienza diplomatica, sulle spalle degli studi d’architettura e soltanto trentuno primavere, il giovane Raoul partì armato della sua unica arma: il carisma.

I primi contatti con un mondo che si stava sgretolando Wallenberg li aveva avuti lavorando presso la filiale della Holland Bank ad Haifa tra il 1935 ed il 1936, dove aveva incontrato i primi ebrei fuggiti dalla brutalità nazista. Le loro storie avevano smosso qualcosa dentro di lui, qualcosa nel profondo.

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Arrivò in una Budapest dove restavano gli ultimi superstiti della comunità ebraica ungherese: i rastrellamenti erano iniziati dalle campagne, stringendo la città in una morsa sempre più ravvicinata. All’ambasciata svedese già da prima del suo arrivo era in corso un sistema di rilascio documenti che forniva delle tutele agli ebrei, i quali entravano in possesso di una specie di passaporto svedese. Wallenberg si rese conto di come il sistema potesse e dovesse funzionare meglio e lavorò su questi documenti, al fine di renderli più ufficiali e quindi credibili. Difficile dire quanti ne fece stampare: alcune fonti parlano di 4.500, altre di oltre 15.000.

Non solo il giovane diplomatico migliorò l’affidabilità dei documenti, ma s’impegnò anche di persona nella loro distribuzione. Come riporta la BBC, informato di un treno in partenza per Auschwitz Wallenberg si arrampicò sul tetto del vagone ed iniziò ad allungare i pass ai prigionieri, sotto gli spari d’avvertimento delle SS e delle truppe ungheresi. Inutile dire che li salvò dalla mattanza.

La storia riporta altri atti volti al salvataggio di vite umane, come l’acquisto di svariati edifici usati come case ed ospedali, per non parlare di assunzioni presso l’ambasciata di Svezia. Senza contare che con i sovietici che avanzavano, il giovane diplomatico riuscì a convincere i Nazisti a ritirarsi senza distruggere il ghetto di Budapest: 70.000 vite vennero risparmiate.

Purtroppo, le vittime delle maree della storia spesso includono anche personaggi del calibro di Wallenberg, il cui carisma non riuscì a salvarlo alla deportazione per mano sovietica. Le notizie sul suo conto sono confuse e contrastanti: di lui e della sua storia si sono perse le tracce durante la prigionia. Una fine tragica e tuttora misteriosa, dato che altri funzionari svedesi caduti nelle mani di Mosca fecero ritorno a casa.

 

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“A Gerusalemme c’è un memoriale, Yad Vashem, dedicato ai sei milioni di ebrei assassinati dai Nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale. Una strada chiamata “Avenue of the Righteous’ si snoda attraverso l’area, delimitata da 600 alberi piantati in onore della memoria degli individui non ebrei che rischiarono la propria vita per salvare gli ebrei dai boia nazisti. Uno di questi alberi porta il nome di Raoul Wallenberg.” Inizia così la lunga scheda che il sito Sweden.se dedica alla sua figura, la figura di un uomo che è stato dichiarato cittadino onorario dagli Stati Uniti, dal Canada e da Israele; un uomo che pur di salvare delle vite le ha tentate tutte: dalla sua abilità di recitazione alla corruzione (minacce comprese).

Di lui, oltre alla memoria e al mistero circa la fine incerta, restano gli effetti personali: nell’ottobre del 1989 il governo di Mosca ha convocato la famiglia, restituendo fra le altre cose il passaporto e il calendario tascabile di Wallenberg. Gli archivi del KGB iniziavano a parlare di una nuova epoca, mentre la Svezia fatica ancora a perdonarsi di non essere riuscita a riportarlo a casa, ritenendo il caso un fallimento diplomatico.

È vero, i riflettori su Auschwitz si sono spenti, ma c’è sempre posto per la memoria di quanti di fronte al pericolo per la propria incolumità, hanno scelto parole forti: “Per me non c’è altra scelta. Ho accettato quest’incarico e non potrei mai tornare a Stoccolma senza sapere di avere fatto tutto ciò che un uomo può fare per salvare il maggior numero possibile di Ebrei.”

Per approfondire le sue straordinarie vicissitudini, vi consigliamo di visitare il sito ufficiale della International Raoul Wallenberg Foundation

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