YAAM, il club berlinese nato perché un ghanese una volta preparò un tè a bordo fiume

Colori intensi, sguardi rilassati e il suono pacato dell´acqua in sottofondo. Si respira un’aria di libertà ed allegria allo YAAM, storico club di Berlino situato accanto alla stazione di Ostbahnhof, sulle rive della Sprea.

Il locale – celebre a livello internazionale perché il giamaicano Usan Bolt vi festeggiò, improvvisandosi dj, i record del mondo dei 100 e 200 metri realizzati ai Mondiali di Berlino – si estende su quella che era l’area che ospitava un tempo il MAGDAlena, altro luogo famoso vittima del progetto Mediaspree (che ha portato alla demolizione di numerosi spazi alternativi per costruire sulle rive del fiume un’area piena di uffici e abitazioni).

 

Il locale

Si viene subito colpiti dallo stile dimesso ma originale dei banchetti ospitati al suo interno e posizionati seguendo la forma circolare del sito. Completamente esposto all’aria aperta e baciato dal sole. La peculiarità di questo posto, il cui acronimo sta per “young african arts market”, è quella di essere un vero e proprio centro culturale, diventato saldo punto di riferimento per la comunità africana di Berlino e luogo di ritrovo per chiunque voglia godersi musica e buona compagnia. Al suo interno, il contrasto tra i vivissimi e numerosi murales che lo adornano e la calda sabbia bianca cosparsa al suolo, sembra catapultarci nella Jamaica cantata da Bob Marley negli anni Ottanta.

Il legno chiaro dei banchetti, che vendono per lo più cibo, bevande e oggetti caratteristici della cultura africana, contribuisce a conferirgli quel tocco esotico così distintivo rispetto allo stile tipicamente aggressivo dei locali della capitale tedesca. Oltre ai banchi, nella parte anteriore c´è un’area dedicata ai bambini. Fornita di minuscole giostre in plastica colorata, affiancata da una stretta strada in discesa. Al termine di questo sentiero, emerge prorompente un’ampia spiaggia che occupa il lato interno del luogo. Qui gli ospiti abituali dello YAAM riposano al dolce suono della musica che proviene dal bar del locale.

Diffondere la cultura africana a Berlino

Al suo fianco, cattura l´attenzione dei turisti un piccolo negozio. Il proprietario si chiama Bax, ed ha gli occhi intensi e limpidi di chi è riuscito a sfuggire a testa alta ad un destino di miseria e sopraffazione. «Dopo essere scappato dal mio paese, la Gambia, ho vissuto molti anni in Ucraina. Non riuscivo ad arrivare a fine mese, finché grazie ad un amico sono venuto in Germania, e sono stato accolto allo YAAM. Possiedo il mio stand ormai da 4 anni e non potrei immaginare la mia esistenza senza questo posto. Conosco bene la sua storia. Lo YAAM è nato nel lontano 1994, ma non si trovava qui, bensì in quella che ora è l’Arena, il famoso club con la piscina. È stato fondato da un gruppo di attivisti di varia nazionalità con lo scopo di diffondere la cultura africana a Berlino e promuovere l’etnicità».

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Dal suo racconto emerge che, nel corso degli anni, il club sia stato costretto a spostarsi numerose volte, a causa delle manovre effettuate dalle imprese che possedevano i vari terreni che lo hanno ospitato. Il loro scopo era facilmente deducibile. Chiudere il sito per costruire in quell’area edifici che garantissero guadagni maggiori. «La solita, triste storia si ripete – continua Bax – tutte le cose belle vengono distrutte in nome del profitto. Si tratta di speculazione, pura e semplice speculazione». È così che, dal ’94 ad oggi, lo YAAM è sorto in diverse aree della città, dall’Arena a Curvystrasse (nel quartiere di Kreuzberg) per poi spostarsi accanto alla East Side Gallery. Dopo 4 anni di permanenza in quella zona, nel 2012, i suoi gestori hanno ricevuto l’ennesima ingiunzione di sfratto da parte di Urnova, la società spagnola proprietaria del terreno su cui sorgeva il locale.

Le sorti dello YAAM

Bax ricorda quel periodo con grande sofferenza. «Non ne potevamo più di vagare disperatamente da un punto all’altro della città, così questa volta abbiamo deciso di opporci al nostro destino. Lo YAAM è frutto della nostra passione e del nostro sudore. Lo amiamo e si deve essere disposti a lottare per ciò che si ama. Abbiamo organizzato proteste, abbiamo raccolto firme, ma è stato tutto inutile. Nel 2013 siamo stati costretti ad andarcene, ed è per questo che ora siamo qui».

D’altro canto, però, nel 2012 Cato Dill, legale di Urnova, difese a voce alta la buona fede della società: «Negli ultimi quattro anni, Yaam e Urnova hanno sempre avuto un buon rapporto e non c’è nulla di personale contro l’attività culturale dei ragazzi. Ora però, la compagnia ha deciso di disporre liberamente della sua proprietà». Dopo aver esposto con cura e dedizione la storia del posto, Bax ci regala, con parole di toccante genuinità, un omaggio a quella che è, a tutti gli effetti, la sua vera casa: «Lo YAAM è la mia famiglia, è il mio cuore, la mia anima. Non potrei mai separarmene.»

Lo YAAM non è solo un club

Dirigendosi verso la zona “chillout”, si scorge un gruppo di africani intenti a giocare a dama. Lo fanno con leggerezza, senza dare molta importanza al gioco in sé, ma utilizzandolo come un rituale di socializzazione. Cercano subito un forte contatto visivo con i loro interlocutori, e accolgono tutti con un sorriso disarmante. «Ciao, io sono della Gambia, mi chiamo Max, venite, sedetevi con noi». È straordinario il livello di gentilezza e di disponibilità della comunità africana che abita lo YAAM, e quanto si possa scoprire sulla sua storia, se si è pronti ad ascoltare.

«Sono venuto qui quattro anni fa – ci racconta Max – e non me ne voglio più andare. Grazie a questo club sono nato una seconda volta. Qui c´è tutto ciò di cui si ha bisogno per vivere un’esistenza dignitosa. Cibo, amici, calore umano, allegria, musica. Prima vivevo in Italia, a Milano, ma avevo molti problemi. Noi rifugiati non ricevevamo assistenza, ed eravamo relegati ai margini della società. In Germania ho riscontrato la stessa difficoltà ad integrarmi, ma almeno ho questo posto. Qui non importa chi sei, da dove vieni, quanto guadagni. Ognuno di noi ha valore in quanto essere umano, e chiunque varchi la sua soglia diventa automaticamente un nostro fratello. Ma lo YAAM non è solo un punto di ritrovo, è anche un centro che organizza attività di varia natura. Corsi di strumento musicale, giochi per i bambini, progetti per aiutare i ragazzi di strada. Inoltre, ogni settimana c´è un concerto».

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Un luogo di integrazione

Tra gli storici frequentatori dello spazio c’è Simone. Giamaicano di origine, Simone in realtà è un animo senza radici, uno spirito libero: «Ho viaggiato molto, in Europa e nel mondo, ma non ho mai trovato un luogo così. Per questo lo amo, per la sua unicità. Ogni giorno vengo qui e incontro nuovi amici. Parlo con ognuno di loro, ci scambiamo idee, sensazioni, e alla fine torno a casa e ed ho imparato qualcosa. Ho capito qualcosa in più sull’esistenza e su me stesso. Lo spirito dello YAAM è inimitabile, e per questo motivo merita di essere preservato e protetto. Sapete com’è nato davvero questo posto? Un giorno un ragazzo ghanese si trovava in mezzo ad altra gente per lo più sconosciuta. Ha fatto un tè con il fornellino portatile e, come si usa fare in Africa, lo ha offerto a chi gli stava accanto. Questa idea è piaciuta. Intorno ad un gesto così piccolo, è nata la comunità che avrebbe poi fondato lo YAAM.»

Tra i vari banchetti disposti in maniera disordinata, uno colpisce in particolar modo a causa di uno striscione che reca la scritta “Refugees Welcome”. Il ragazzo che vi lavora all´interno non vuole rivelare il suo nome. Ma nei suoi occhi si legge la bontà autentica di chi ha ancora fiducia nel prossimo, e così anche lui ci regala la sua storia. «Tre anni fa mi è stato proposto di tenere delle lezioni di batteria allo YAAM, e dopo ho decido di restare d lavorare in questo stand. Non sono un rifugiato, ma conosco molto bene lo stato d’animo di chi si sente solo al mondo e dal mondo rifiutato. È importante che si sappia che lo YAAM, in nome dei principi e degli ideali di cui si fa portavoce, accoglie tutti. Non respinge nessuno, neanche quegli esseri umani che sono giudicati illegali dalle leggi internazionali».

Lo YAAM esiste ormai da più di vent’anni, e, fin dalle sue origini, non ha avuto vita semplice. Forse rischierà nuovamente la chiusura, o forse no, ma, anche se ciò dovesse accadere, si può avere la serena certezza che il suo spirito, quello della gioiosa comunità che lo anima, sopravviverà e continuerà a battersi affinché un pezzo monumentale di storia berlinese non vada disperso al vento.

*articolo scritto con la collaborazione di Flavia Rea.

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YAAM

An der Schillingbrücke 3, 10243

Aperto tutti i giorni dalle 11:00 alle 24:00

Immagine di copertina: © Facebook/Yaam

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