Se i romanzi di Dostoevskij fossero stati ambientati a Berlino

Il legame esistente fra Berlino e la Russia ha riempito negli anni pagine e pagine di libri di storia e le conseguenze di questo rapporto sono ben visibili ancora oggi. Monumenti evocativi, palazzoni ansiogeni, scritte in cirillico qua e là… Ma cosa succederebbe se volessimo elevare questo sodalizio oltre le evidenze tangibili della realtà?

E dove se non a Berlino, il luogo dove tutto è possibile?

Proviamo a immaginare la città come se Fëdor Dostoevskij l’avesse scelta per l’ambientazione dei suoi romanzi. Le grandi introspezioni dei personaggi, i loro dilemmi interiori, il nichilismo, l’innocenza, l’odio più cieco e l’amore più puro non riguardano soltanto il foro interno di ciascuno di essi, ma sono strettamente coordinati e connessi, grazie alle straordinarie abilità dell’Autore, all’ambiente in cui vivono. Nei romanzi non mancano i riferimenti che ci permettono di capire perfettamente il luogo dove si sta svolgendo una scena: i vicoli angusti e le umide bettole frequentate da Raskol’nikov, i salotti dell’alta società dove il principe Myškin si rende allo stesso tempo così amorevole e ridicolo, la casa borghese e decadente dei Karamazov e così via.

Allora pensiamo a Potsdamer Platz negli anni della Guerra Fredda. Un luogo segnato dalla devastazione, desolato eppure pieno di sofferenza; forse si tratta della migliore rappresentazione plastica del concetto astratto di nichilismo. Perché allora non ambientare in questi luoghi i dialoghi fra Kirillov e Pëtr Stepànovič, il primo convinto che tutti dovrebbero coerentemente suicidarsi se non fosse per la paura del dolore e del “dopo”, il secondo cinico manipolatore che lo spinge a realizzare il folle gesto. L’intero romanzo dei Demoni è una descrizione di devastazione e morte, ma in particolare il rapporto fra questi due personaggi si può sintetizzare nel nulla più assoluto e tremendo. Come Potsdamer Platz in quei terribili anni.

Spostiamoci ora allo Schloss Charlottenburg, luogo ideale per il placido e sensibile principe Myškin (L’Idiota). Lo potremmo scorgere nella celebre Galleria dorata a danzare con la bella e perduta Nastasja Filipovna o intrattenersi con la capricciosa ed esuberante Aglaja Ivanovna.

Invece è nei pressi delle rovine della Gedächtniskirche che immaginiamo Ivan Karamazov (I fratelli Karamazov) tormentarsi nei dubbi sulla fede, per l’ingiustizia profonda della sofferenza degli innocenti. Davanti ai resti della chiesa dedicata a Guglielmo il Grande potrebbe negare con ancora più forza, magari davanti al pio fratello Alëša in uno dei loro profondissimi e accorati dialoghi, il dogma della redenzione finale esigendo con tutta la forza del suo intelletto che venga fatta giustizia qui, nel mondo terreno, qui, dove c’è più bisogno di amore e conforto.

Chiudiamo con Raskol’nikov di Delitto e castigo. Ex studente di legge, povero e solo, vive alla giornata nei sobborghi della grande città sconvolto nel più profondo dell’anima per il duplice omicidio da lui commesso ai danni di una vecchia usuraia e della di lei sorella minore, più mite, vittima casuale e non preventivata. Immaginiamolo allora mentre, schivo e febbricitante, percorre il Warschauer Brűcke diretto al suo piccolo appartamento a Freidrichshain oppure verso uno shisha bar a Kreuzberg, intento a fuggire dagli investigatori ma ancora prima da se stesso e dai suoi rimorsi.

Berlino e Dostoevskij, un legame tanto fantasioso quanto interessante. Com’è noto, i grandi autori sono tali se universali, slegati dal loro tempo, così come le grandi città, pur trasformandosi continuamente, distruggersi ed essere ricostruite, restano tali grazie alla forza della propria identità.